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La recessione trumpiana sta arrivando sui caravan di lusso

Ugo Bertone

Anche sul fronte dei consumi più popolari si moltiplicano i segnali di cautela

Milano. “Non vedo ombra di recessione” continua a ripetere Larry Kudlow, il consigliere economico di Donald Trump. Ma Kudlow, tra un’apparizione e l’altra sugli schermi di Fox News, non ha evidentemente trovato il tempo per leggere i segnali in arrivo da Elkhart nell’Indiana, la capitale di un’industria simbolo dell’America che produce, quella dei caravan di lusso, le abitazioni mobili simbolo di un paese da sempre “on the road”. E per questo da sempre termometro fedele degli umori e delle disponibilità i reddito della classe media: gli acquisti di Recreational Vehicles, dopo un 2018 debole, segnano quest’anno un ulteriore calo del 20 per cento. “E non c’è un indicatore più preciso dell’arrivo della recessione di quest’industria”, ha dichiarato al Wall Street Journal Michael Hicks, un economista della Ball State University, l’ateneo di riferimento di questo distretto made in Usa. “Il mercato del caravan di lusso – spiega – è estremamente ciclico, sensibile com’è alla fiducia dei compratori. Quando scende l’ottimismo, i compratori si defilano in attesa di tempi migliori quando sarà possibile permettersi un nuovo acquisto”. Per questo il segnale impressiona gli analisti. “Uno non rinuncia ad un vestito e a mangiare, ma quando comincia a preoccuparsi del posto di lavoro o dei contributo per la pensione può rinviare o addirittura rinunciare ad un nuovo caravan”. O, magari, ripiegare sull’usato che sta riempiendo i depositi.

 

Ma anche sul fronte dei consumi più popolari, cioè quelli destinati anche ai consumatori che non possono permettersi un caravan equipaggiato con le ultime meraviglie per il turismo sulla strada, si moltiplicano i segnali di cautela, se non d’allarme. Home Depot, gigante del commercio non alimentare che in 3 mila punti vendita tratta un po’ di tutto, dalle candele alle cucine, ha ieri ridotto di un punto le previsioni di crescita delle vendite per l’esercizio in corso. Certo, dal mercato emergono indicazioni contrastanti: c’è che, come Goldman Sachs, ritiene eccessivo l’allarme recessione ma altri, come JP Morgan, pensano che l’impatto delle tariffe comporterà un salasso per i consumatori nell’ordine di un migliaio di dollari pro capite. 

 

Insomma, dall’America profonda emerge il fantasma del malanno che il presidente tenta di cacciare in ogni modo, lanciando anatemi contro la Fed, colpevole di muoversi in ritardo e prorogando la data di entrata in vigore dei nuovi dazi contro Pechino al 15 dicembre, per non danneggiare le vendite natalizie. Senza trascurare l’arma finale: un taglio temporaneo delle imposte sulla busta paga rivelato dal Wall Street Journal. Ma questi rimedi non rincuorano Elkhart, una sorta di Sassuolo o Prato della grande America, capoluogo di comprensorio che conta poco più di 200 mila abitanti ma che sforna due caravan su tre che corrono per le strade degli Stati Uniti. Qui più che altrove pesa il lungo elenco degli accessori made in China colpiti dalla scure dei presidente che rischino di far salire il costo dei caravan, orgoglio americano ormai zeppo di accessori prodotti in Cina: 523 in tutto, dagli assi per il water (anche questo umile ma prezioso oggetto è entrato nel mirino della Casa Bianca) alle rifiniture in cuoio e all’anima del veicolo (tra e 200 e i 350 mila dollari i più esclusivi) in acciaio ed alluminio i cui costi sono in forte ascesa, tra il 22 ed il 35 per cento a fronte dello stop alle importazioni cinesi. A prima vista l’allarme sembra esagerato. Quest’anno le aziende di questo distretto, che si occupa di tutti gli aspetti della filiera, chiuderanno ancora con il segno più. Ma la frenata rispetto al 2017, l’anno del boom con un forte aumento delle consegne e depositi di lavoro è già cominciata. Una delle aziende più forti del distretto ha ridotto l’orario a quattro giorni alla settimana. E nessuno prende alla leggera la flessione in una città oggi vicina al pieno impiego ma che nel 2009, sotto la pressione della crisi di Lehman Brothers, registrava un tasso di disoccupazione del 20 per cento.

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