I mercati si sono abituati al governo più eterodosso d'Europa

Mariarosaria Marchesano

L'Italia in ricerca costante di un equilibrio finanziario

Milano. Dopo un anno vissuto pericolosamente, il rapporto dell’Italia con i mercati si è in parte stabilizzato. Il rendimento dei titoli di stato decennali è sceso all’1,6 per cento circa – tornando ai livelli di dicembre 2017 – e lo spread tra Btp e Bund tedeschi è scivolato ieri appena sotto la soglia di 200 punti base, ai minimi del maggio scorso, stimolando una pioggia di acquisti a Piazza Affari, che ha guadagnato il 2,4 per cento in una sola seduta. “E’ come se gli investitori avessero cominciato a familiarizzare con il governo più eterodosso d’Europa – dice al Foglio Alessandro Tentori, chief investment officer di Axa IM – la procedura d’infrazione da parte dell’Unione europea è stata scongiurata per i progressi fatti sul fronte della spesa pubblica e anche se il confronto con Bruxelles è ancora aperto, il rischio percepito sull’Italia si è ridimensionato rispetto agli scenari catastrofici che erano stati paventati lo scorso anno”.

 

Tentori fa notare che neanche due mesi fa la Banca d’Italia sottolineava nel suo rapporto di stabilità come gli elevati rendimenti dei Btp costituissero motivo di preoccupazione per 76 miliardi di obbligazioni bancarie che scadono nel 2020, di cui 27 miliardi sono nelle mani di famiglie e la restante parte nei portafogli degli istituzionali. “Il timore era rappresentato dalla prospettiva che le banche potessero essere costrette a sopportare costi troppo elevati per riuscire a rifinanziarsi di un ammontare analogo. Diciamo che se i rendimenti dei btp restano ampiamente sotto il 2 per cento, questa prospettiva si allontana con grande sollievo del settore bancario e anche dell’economia reale”. Tutto è, dunque, tornato come prima o quasi? “In finanza si guarda sempre dov’era l’aspettativa e poi come si è realizzato lo scenario. Nel caso dell’Italia, lo scenario attuale è migliore delle previsioni, almeno per ora”, conclude Tentori. I mercati tendono a essere ottimisti e a guardare avanti, ma sono anche estremamente sensibili. Se i rendimenti dei titoli di stato sono tornati ai livelli pre-elezioni 2018 (il biennale è addirittura sotto zero), il rischio percepito dagli investitori nei confronti del nostro paese – di cui lo spread è la cartina al tornasole – resta più elevato rispetto a Spagna e Portogallo e inferiore solo rispetto alla Grecia.

 

“Concordo sul fatto che gli investitori abbiano familiarizzato con le dinamiche politiche dell’Italia e che alcuni timori che prevalevano nella parte finale del 2018 si siano smorzati, ma è stata la virata delle banche centrali a fare la differenza”, dice Luca Cazzulani, strategist di Unicredit. In effetti, i rendimenti delle emissioni sovrane sono scesi un po’ dappertutto grazie all’approccio accomodante delle politiche monetarie, e l’Italia non fa eccezione avendo beneficiato come e più degli altri paesi dell’Eurozona della disponibilità della Bce a dare il via a nuovi stimoli nel breve-medio periodo. Ora che al vertice della banca centrale europea potrebbe insediarsi la “colomba” Christine Lagarde c’è da attendersi che il percorso tracciato da Mario Draghi prosegua. “Non si può, però, fare a meno di rilevare che l’Italia ha perso un anno, durante il quale il costo delle emissioni di debito pubblico è stato relativamente elevato”, prosegue Cazzulani. Ma alla fine qual è stato il prezzo pagato sull’altare dell’incertezza politica? “Considerando l’aumento di un punto percentuale nei rendimenti dei Btp decennali, che è stato registrato nel periodo di massima tensione, cioè tra maggio e luglio 2018, si può arrivare a stimare un costo aggiuntivo per lo stato pari a 3-3,5 miliardi di euro . Va detto, però, che dato il basso livello dei rendimenti, il costo medio dello stock delle obbligazioni pubbliche non è salito”. Insomma, nell’insieme c’è più ottimismo rispetto al 2018, ma l’attuale livello di spread, seppure in costante discesa, secondo lo strategist di Unicredit, evidenzia ancora una certa posizione di cautela da parte degli investitori, nella cui agenda hanno appuntato i prossimi pronunciamenti delle agenzie di rating: Fitch i primi di agosto, Moody’s a settembre e Standard&Poor’s a fine ottobre.

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