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Alitalia a bagnomaria

Redazione

Passano le europee, mica i guai. Il governo non avvicina né Toto né Benetton

Nessuna situazione di crisi industriale è stata risolta prima delle europee. La strategia del “bagnomaria” ha funzionato ancora una volta, almeno per i media. Il gruppo Toto ha smentito di essere interessato a mettere un quattrino in Alitalia. Il gruppo Atlantia nemmeno ha prodotto offerte formali. C’era l’impressione che dal ministero dello Sviluppo guidato da Luigi Di Maio e dal ministero dei Trasporti di Danilo Toninelli arrivassero aperture concrete ai due gruppi che sono anche concessionari autostradali. Il gruppo Toto aveva annunciato la chiusura del traforo del Gran Sasso dal 20 maggio e in risposta dal ministero di Toninelli si è minacciata la “revoca immediata della concessione” per interruzione di pubblico servizio. Per quanto riguarda Atlantia, la risposta alla possibilità di un ingresso nella compagnia aerea è stata che ci sono “troppi fronti aperti” prima di aprire il dossier Alitalia come le autorizzazioni per costruire la Gronda a Genova e il Passante di Bologna o il ritiro definitivo della minaccia di revocare le concessioni autostradali al gruppo della famiglia Benetton, minaccia in essere da quando è crollato il ponte Morandi a Genova nell’agosto scorso per cui è in corso un contenzioso. “Se i Benetton sono interessati si faranno avanti, io non ho preclusioni”, ha detto ieri il sottosegretario agli Affari regionali, Stefano Buffagni, del M5s. “Soprattutto va detto che non c’è nessun concambio sul tavolo”, ha aggiunto. Insomma nessun avvicinamento tra governo e concessionari da coinvolgere insieme a Ferrovie dello stato e l’americana Delta Airlines per risolvere l’impasse Alitalia che dura da due anni. L’unico risultato ottenuto da una trattativa improvvisata condotta ai ministeri di Di Maio e Toninelli, non priva di finti colpi di scena, è stato uno sciopero del settore del trasporto aereo con la cancellazione di trecento voli martedì scorso. Le europee passano ma Alitalia resta sul groppone del contribuente collettivo che sta finanziando una società a “bagnomaria” con un prestito da 900 milioni di euro che forse non rivedrà mai.