Luigi Di Maio (foto LaPresse)

C'è l'idea di spingere Cdp in Atlantia per risolvere il pasticcio Alitalia

Valerio Valentini

Usare la Cassa per fare pace con i Benetton e convincerli a volare. Così lo stato entra in aziende sane per salvare quelle decotte

Roma. Al momento, più che un piano, è ancora un’ipotesi, un’idea che circola tra gli addetti ai lavori nei corridoi dei ministeri romani senza che nessuno si azzardi a illustrarla davvero. Ma in sostanza, l’ipotesi in questione prevedrebbe l’ingresso di Cdp nell’azionariato di Atlantia. Un progetto di cui per ora si è discusso solo preliminarmente tra alcuni degli attori istituzionali coinvolti, senza che però l’argomento sia stato trattato direttamente dai due partiti al governo.

   

Un progetto, però, che secondo gli sherpa grilloleghisti potrebbe portare alla risoluzione di più di un problema. Da un lato, questa mossa sarebbe propedeutica ad una riappacificazione tra il Mise di Luigi Di Maio e l’ad di Autostrade, Giovanni Castellucci. L’esecutivo gialloverde, pur negandolo ufficialmente, brancola nel buio sulla questione Alitalia, al punto che ormai i tecnici di Via Veneto faticano perfino ad aggiornare i dossier: “È un vicolo cieco da cui non si esce”, sbuffano. A meno che non si trovi qualche partner privato davvero solido, che possa in qualche modo dare credibilità all’intera operazione ed evitare che perfino chi si è finora detto interessato a un possibile coinvolgimento, e cioè l’americana Delta Airways, finisca con l’abbandonare il campo. Di ricorrere al sostegno della compagnia aerea italiana, in questo senso, si è parlato non poco nei giorni scorsi. “Abbiamo tanti fronti aperti al momento che non possiamo pensare di impegnarci su un altro fronte così complesso come Alitalia”, aveva detto e ribadito Castellucci, con un’allusione alla minaccia di revoca delle concessioni autostradali.

 

Anche da lì, di certo, il governo dovrà passare se vorrà riattivare un canale con Atlantia, holding della famiglia Benetton che controlla Autostrade, interrotto dopo il crollo del viadotto Polcevera, a Genova, nell’agosto scorso. Certo, per Di Maio l’imbarazzo sarebbe evidente: retrocedere rispetto ai bellicosi intenti contro i “prenditori” delle autostrade sarebbe mediaticamente una disfatta. Ecco allora che, l’ingresso di Cdp – ancora tutto da valutare, e poi in caso da definire nelle cifre e nei dettagli – potrebbe costituire un punto di caduta accettabile per tutti: la Cassa entrerebbe in una società sana, con notevoli garanzie di condividere una parte degli utili; Atlantia, poi, verrebbe di fatto riabilitata a tutti gli effetti; e anche il governo grilloleghista, infine, potrebbe rivendicare un’eventuale riapertura del dialogo con Castellucci in virtù dell’ingresso di Cdp sotto forma di “controllore pubblico” capace di garantire un effettivo reinvestimento dei profitti sulla sicurezza e il potenziamento della rete autostradale. Il tutto, ovviamente, nella speranza di riuscire così a non fare abortire il piano di rilancio di Alitalia.

  

D’altronde, un percorso analogo il governo gialloverde lo sta già seguendo su un altro fronte: quello di Salini-Impregilo. Qui, un possibile intervento della Cdp, guidata da Fabrizio Palermo, è stato ventilato dallo stesso Di Maio: “Cdp mi ha informato che un eventuale coinvolgimento, congiuntamente ad altri partner finanziari e industriali potrebbe essere valutato solo nell’ambito di un’operazione di sistema e di mercato”, ha detto il vicepremier grillino. Insomma, il piano c’è, e potrebbe realizzarsi per andare a sostenere lo sforzo della stessa Salini per acquisire, e dunque salvare, Astaldi, colosso ormai pericolante delle costruzioni. E certo può sembrare solo una coincidenza, ma nel prospettare l’ingresso di Cdp in Atlantia per spingere Castellucci in soccorso di Alitalia si intravede lo stesso metodo: fare entrare la Cassa in imprese sane per aiutarle a salvare imprese decotte.

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