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Tutto quello che manca nel Def. Disinnesco dell'Iva e sviluppismo

Maria Carla Sicilia

Il governo promette di non aumentare le tasse ma non dice come. E alle audizioni preliminari piovono critiche

Roma. I due giorni di audizioni sul Documento di economia e finanza (Def) appena trascorsi hanno messo in evidenza un problema di cui il governo non potrà evitare di occuparsi presto: spiegare come sia possibile garantire il raggiungimento degli obiettivi previsti in manovra senza ricorrere all’aumento dell’Iva e continuando a indicare un calo del deficit. La prima occasione utile per fare chiarezza rispetto alla contraddizione quello che dicono Lega e M5s – “Fermeremo l’aumento dell’Iva nel 2020” – e quello che è scritto nel Def – che prevede l'attivazione delle clausole di salvaguardia dal primo gennaio 2020 – è quella che ha il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giovanni Tria, atteso domani mattina dai parlamentari delle commissioni Bilancio di Camera e Senato.

   

Il ministro dovrà rispondere alle osservazioni, tra gli altri, di Banca d’Italia, che oggi ha spiegato come “il raggiungimento degli obiettivi richiederà l’individuazione di coperture di notevole entità, nel caso si voglia evitare l’attivazione delle clausole di salvaguardia, aumentare la spesa per investimenti pubblici, avviare una graduale riduzione della pressione fiscale, rafforzare gli incentivi all'investimento e all'innovazione”. Secondo il capo economista Eugenio Gaiotti, sterilizzare l’aumento dell’Iva porterebbe il disavanzo al 3,4 per cento del pil nel 2020, l’1,3 per cento in più di quanto previsto nel Def. Un dato “non compatibile con l’avvio di un credibile percorso di riduzione duratura del peso del debito”, ha detto Gaiotti. L’alternativa che la stessa Banca d’Italia indica è compensare la spesa per le misure previste in manovra con la razionalizzazione di altri programmi di spesa e con effettivi risultati nel contrasto all’evasione, in attesa di conoscere le “misure alternative di copertura” che il governo dovrà inserire nella prossima legge di Bilancio. “Definire le priorità politiche con chiarezza” è anche la richiesta dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) che sulla base delle “poche indicazioni” contenute nel Def ha avanzato alcuni dubbi sull’effettiva possibilità di contenere l’aumento del debito pubblico con gli strumenti fino a questo momento considerati. Due esempi: le entrate stimate dal contrasto all’evasione sembrano “piuttosto ambiziose a confronto con gli attuali risultati raggiunti dall’Agenzia delle Entrate”, mentre gli incassi da privatizzazioni sembrano “in tutto o in parte inattuabili”, visto quanto è stato realizzato negli anni scorsi. Le coperture necessarie, secondo l’Upb, sono pari a circa 25 miliardi nel 2020, che salirebbero a circa 36 miliardi nel 2021 per raggiungere circa 45 miliardi a fine periodo. Il tutto senza tenere conto della flat tax così come promessa dalla Lega e del generale processo di semplificazione del sistema fiscale che il governo avrebbe intenzione di avviare.

   

L’effetto sui consumi delle clausole di salvaguardia

Martedì è stato ascoltato anche il presidente dell’Istat, Giancarlo Blangiardo. Il demografo nominato al vertice dell’Istituto di statistica in quota Lega ha detto di riscontrare un quadro di crescita “verosimile” nelle previsioni del Def, confermando lo scenario di un pil pari allo 0,2 per cento nell'anno in corso. Positive anche le valutazioni sugli effetti della manovra rispetto alle tasse per le imprese. L’elemento più interessante della sua analisi, tuttavia, è proprio quello relativo alle clausole di salvaguardia. Secondo l’Istat, l’aumento dei prezzi conseguente allo scatto dell’Iva a partire da gennaio 2020 “porterebbe a un effetto depressivo sui consumi che, nel quadro delineato, potrebbe essere nell’ordine di 0,2 punti percentuali” ripercuotendosi anche sul pil. Uno scenario di cui il Def, scrive l’Istat nella sua memoria, non tiene sufficientemente conto: “La stima contenuta nel quadro – ha detto Blangiardo – appare compatibile con un scenario di non pieno passaggio dell’aumento dell’Iva sui prezzi”. Insomma, se i conti del governo coincidono con le previsioni dell’Istat nel 2019, non è detto che sia lo stesso per il 2020, a meno che il governo non trovi coperture diverse dall’Iva.

   

Lasciando da parte i passaggi vaghi del documento che gli economisti hanno messo in luce oggi, l’altra metà del Def è quella fatta di vuoti e dimenticanze che le parti sociali hanno raccontato lunedì in audizione. E’ sufficiente scorrere le dichiarazioni registrate dalle agenzie di stampa per notare quanto ricorrente sia la parola “mancanze” tra le dichiarazioni di centri studi, industriali e sindacati. A partire dallo Svimez, secondo cui “manca una strategia per il sud”. Non basta il reddito di cittadinanza a risollevare le sorti di un’economia debole, ha detto l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, ma serve invece “un massiccio rilancio degli investimenti pubblici”, l’unico strumento per “attivare un moltiplicatore del tasso di sviluppo in grado di garantire la sostenibilità del quadro finanziario nazionale”. Sugli investimenti hanno insistito anche Confindustria e sindacati Cgil, Cisl e Uil. Le sigle confederali hanno osservato che senza un piano mirato a stimolare la crescita non ci saranno ricadute positive per l’occupazione. “Il Def – ha detto il segretario generale aggiunto della Uil, Pierpaolo Bombardieri – tiene sì sotto controllo i conti pubblici ma senza dare risposte concrete ai problemi del paese”. Mancano riferimenti agli investimenti pubblici, ha detto Bombardieri, alle politiche industriali, e anche in tema di infrastrutture ci sono aspetti incerti. “Non c’è nessun riferimento per programmare la spesa, ma nemmeno sul piano di intervento straordinario per le assunzioni di cui tanto si è parlato”. Mancano poi – ha fatto notare Davide Caparini coordinatore degli assessori al Bilancio della Conferenza delle Regioni nel suo intervento in audizione – 300 milioni senza i quali da dicembre il trasporto pubblico locale rischia di fermarsi. Anche in questo caso il riferimento è alle clausole di salvaguardia che bloccano due miliardi di spesa pubblica, una riduzione che per gli enti locali si traduce appunto in 300 milioni di euro in meno. Risorse che verranno tagliate dal Fondo nazionale trasporti. “Non si pagano autisti, non si paga la benzina, non si paga la manutenzione – il rappresentante delle regioni, assessore lombardo e leghista, – Il motivo è che non ci sono i soldi”. O meglio, i soldi ci sarebbero, ma non abbastanza per coprire tutto: senza aumentare le tasse e mantenendo gli stessi obiettivi, qualcosa inevitabilmente resterebbe senza copertura.

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