Foto Imagoeconomica

Adecco vede il rischio di una crisi sociale a causa del decreto dignità

Guido Fontanelli

Nei quattro mesi successivi all’approvazione del decreto l’agenzia del lavoro ha registrato 50 mila assunzioni temporanee in meno rispetto a un anno fa

Milano. Centinaia di migliaia di occupati in meno, circa 250 mila solo nel mercato gestito dalle agenzie per il lavoro. Sono le prime conseguenze del decreto dignità, il provvedimento varato l’11 agosto scorso dal governo M5s-Lega che ha introdotto la causale nei rinnovi dei contratti a tempo determinato, senza la quale diventa obbligatoria, superati i 12 mesi, l’assunzione a tempo indeterminato. Una norma giudicata molto negativamente dagli operatori del settore perché irrigidisce il mercato del lavoro proprio quando l’economia italiana rallenta e scivola verso la recessione.

 

“Sono molto preoccupato”, dice al Foglio Andrea Malacrida, amministratore delegato di Adecco Group, la maggiore agenzia del lavoro in Italia con un giro d’affari da 2 miliardi di euro. “Vedo il pericolo di una crisi sociale dalla prossima primavera, con un netto aumento della disoccupazione. Il problema è che le aziende sono ingessate e il governo ha tolto uno strumento di flessibilità utile per far crescere l’occupazione”.

 

I dati rilevati dalla Adecco sono gravi: nei quattro mesi successivi all’approvazione del decreto, cioè da settembre a dicembre, l’agenzia del lavoro guidata da Malacrida ha registrato 50 mila assunzioni temporanee in meno rispetto agli stessi mesi del 2017. Un vero crollo. “E poiché Adecco rappresenta circa un quinto del mercato delle agenzie per il lavoro – dice il manager – si può stimare che dal varo del provvedimento non siano stati rinnovati i contratti a termine di 250 mila persone”. Senza contare poi le imprese e i call center che non si avvalgono dei servizi delle agenzie come Adecco e che lasceranno a casa altre decine di migliaia di donne e giovani.

 

Una tendenza che, secondo Malacrida, continuerà anche nel 2019: “Dopo il decreto e fino al 31 ottobre scorso le aziende hanno potuto sfruttare un periodo transitorio e hanno posticipato una parte dei contratti, ma ora questa possibilità non ci sarà più”. Se l’intento del governo giallo-verde era quello di fare aumentare l’occupazione stabile, l’obiettivo non è stato affatto raggiunto: “Poche imprese trasformano i contratti a tempo determinato in indeterminato perché non si arrischiano ad aumentare i costi fissi in una fase economica come questa, quasi recessiva”, spiega il numero uno di Adecco, che questa mattina ne discuterà a Milano nel corso di un incontro presso la sede dello studio legale Dla Piper al quale interverranno, tra gli altri, Marco Bentivogli della Fim Cisl e Claudio Durigon, sottosegretario del Lavoro.

 

La soluzione che probabilmente verrà proposta al governo è di intervenire sulla causale, lasciando alle parti il compito di definirne l’applicazione nei singoli contratti di lavoro. Intanto però M5s e Lega hanno gettato altra sabbia negli ingranaggi dell’economia proprio nel momento peggiore: smontando il Jobs Act, che aveva dato all’Italia un sistema di leggi sul mercato del lavoro particolarmente avanzato con molta flessibilità ma anche un forte incentivo alle assunzioni a tempo indeterminato, il governo rischia di trovarsi ad affrontare nei prossimi mesi una bomba sociale e una rivolta dei propri elettori. “Il paradosso è che hanno danneggiato chi crea lavoro vero: il 40 per cento delle assunzioni a termine di Adecco si trasformano in contratti a tempo indeterminato”, sottolinea Malacrida. E fa sorridere, se non piangere, che i primi “navigator” dei centri per l’impiego saranno assunti, se le indiscrezioni verranno confermate, attraverso contratti di collaborazione continuativa. Cioè con meno tutele di un normale contratto a tempo determinato. Sembra una barzelletta, come Lino Banfi all’Unesco, ma non fa ridere.

Di più su questi argomenti: