Operai al lavoro nella fabbrica Whirlpool di Melano (foto Imagoeconomica)

Quando il “triangolo del pil” italiano cresceva più della Germania

Marco Fortis

In Lombardia-Veneto-Emilia Romagna l’economia aumentava del 2,4 per cento, era il 2017. Ma ora non più

Mentre la produzione industriale sprofonda, la domanda privata di consumo e di investimento frena a causa del crollo della fiducia e la manovra del cambiamento rischia di scontrarsi nel 2019 con una crescita del pil che Prometeia prevede solo a più 0,5 per cento, la crescita degli anni e mesi scorsi sembra ormai solo un ricordo lontano.

  

Eppure c’è un’Italia che non è certamente un “fanalino di coda” in Europa ed è il nuovo triangolo economico Lombardia-Veneto-Emilia Romagna da noi già descritto nei mesi scorsi (“Ecco il nuovo triangolo d’oro italiano nel cuore d’Europa” sul Foglio del 21 aprile 2018): un’area che sintetizzeremo qui per brevità con l’acronimo LVE, incardinata tra i tre vertici costituiti da Milano-Monza, Treviso-Padova e Bologna-Modena, che può essere definita a pieno titolo la roccaforte del “partito del pil”.

   

 

I recenti dati economico-territoriali diffusi dall’Istat confermano che il pil del LVE era cresciuto in termini reali nel 2017 del 2,4 per cento, cioè di più dei pil della Germania e della Francia (entrambe a più 2,2 per cento). La performance del LVE è stata trainata dalla Lombardia (con il pil aumentato del 2,7 per cento rispetto al 2016), seguita dal Veneto (più 2,3 per cento) e dall’Emilia-Romagna (più 1,8 per cento). E’ in questo triangolo produttivo che risiede e pulsa il cuore dell’economia italiana, con un prodotto a valori correnti nel 2017 di circa 703 miliardi di euro, una volta e mezza più grande di quello del Baden-Württemberg. Il LVE è un’Italia che ha utilizzato a piene mani le misure di politica economica per l’occupazione, la ricerca, gli investimenti e i consumi varate dai governi Renzi e Gentiloni negli ultimi anni. Così facendo il LVE ha ritrovato la via della crescita, dell’innovazione e della competitività. E’ una Italia 4.0 che non ha assolutamente bisogno né della flat tax né del reddito di cittadinanza per primeggiare in Europa e che nel 2017 ha presentato un surplus commerciale manifatturiero con l’estero di ben 44,4 miliardi di euro che fa del LVE uno dei giganti mondiali del manufacturing con Cina, Germania, Giappone, Corea del Sud e Taiwan.

   


La forza del triangolo LVE sta nell’industria, aveva incrementi superiori a quelli dell’industria tedesca. E’ comprensibile che ora il Nord sia “arrabbiato”, con l’economica di colpo inceppata, i tassi in rialzo, la fiducia in calo mese dopo mese, il mercato del lavoro ingessato dal decreto “dignità” e le infrastrutture ferme.


 

La forza del triangolo LVE sta tutta nell’industria, il cui valore aggiunto è cresciuto nel 2017 del 3,8 per cento in Lombardia, del 4,7 per cento in Veneto e del 3,5 per cento in Emilia Romagna: incrementi ampiamente superiori a quelli dell’industria tedesca, che nel 2017 è progredita soltanto del 2,2 per cento. E’ quindi comprensibile che il nord ora sia “arrabbiato”, con la crescita economica che di colpo si è inceppata, i tassi di interesse in rialzo, la fiducia di famiglie e imprese che cala mese dopo mese, il mercato del lavoro che è stato ingessato dal decreto “dignità” e le infrastrutture ferme. Il 2017 era stato un anno fantastico, non solo per l’export ma anche per il rinnovato vigore della domanda interna spinta da investimenti e consumi: una ripresa che adesso è stata azzoppata in pochi mesi dal governo del “cambiamento”.

  

Ancor più sorprendente è il confronto tra i dati di crescita del pil pro capite del triangolo LVE e quelli degli altri due maggiori paesi dell’euro area, in modo da tenere conto delle diverse dinamiche demografiche. Nel 2017 il pil per abitante è aumentato del 2,6 per cento in Lombardia, del 2,4 per cento in Veneto e dell’1,8 per cento nell’Emilia Romagna contro incrementi dell’1,8 per cento sia in Germania sia Francia. In pratica, dal 2015 al 2017 il pil pro capite è aumentato per tre anni consecutivi di più in Lombardia e in Veneto che in Germania e nel biennio 2016-17 allo stesso tasso sia in Emilia Romagna sia in Germania. Sempre nel triennio 2015-17 il pil pro capite è cresciuto in tutte le tre regioni del triangolo italiano LVE di più che in Francia.

  

Più in generale, nel triennio 2015-17 sia il nord-ovest Italia (più 4,9 per cento in termini di crescita cumulata) sia il nord-est (più 4,5 per cento) hanno fatto registrare incrementi del pil pro capite superiori a quelli della Germania (più 4,2 per cento) e della Francia (più 3,3 per cento). E al sud anche la Campania (più 4,4 per cento) ha fatto la sua bella figura. A dimostrazione del fatto che pure nel Mezzogiorno quando un territorio dispone di imprenditori capaci e determinati ad investire non servono i sussidi e gli assistenzialismi per crescere.

  

La lezione che ci viene dai dati Istat riguarda anche la spesa delle famiglie per i consumi finali sul territorio economico. Grazie alle politiche per l’occupazione adottate nel quadriennio 2014-’17, nonché ai tagli delle tasse e ai tanto vituperati 80 euro (cioè 9 miliardi all’anno distribuiti a 11 milioni di italiani, dunque non una “mancetta” ma una misura strutturale che nessuno si azzarderà a levare), i consumi delle famiglie in 5 regioni italiane (Lombardia, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna, Toscana e Lazio) sono già tornati in termini reali abbondantemente sopra i livelli pre-crisi del 2007. In altre 3 regioni (Valle d’Aosta, Veneto e Friuli Venezia Giulia) il ritardo del recupero dei consumi rispetto al 2007 è ormai limitato soltanto in un intervallo compreso tra il meno 1 per cento e il meno 2 per cento. Inoltre, nelle regioni del centro-est e in tutto il Mezzogiorno, dove il divario accumulato durante la crisi è stato maggiore rispetto al nord e al centro-ovest, i consumi delle famiglie sono comunque cresciuti nel quadriennio 2014-’17 tra il 2,5 per cento e il 5 per cento, con l’esclusione della sola Sicilia dove il recupero è stato più modesto (più 1,6 per cento).

  

L’Eurostat, infine, ci ha spiegato che i consumi effettivi per abitante a parità di potere d’acquisto, cioè una misura fondamentale del benessere materiale delle famiglie, sono stati nel 2017 più alti del 10,1 per cento in Italia rispetto alla Spagna dei “miracoli” e quasi del 30 per cento più alti che in Grecia. E ciò nonostante il divario nord-sud che ci caratterizza. Il che dimostra che se il nostro Mezzogiorno vuole andare verso nord e non verso la Grecia necessita di politiche di investimento per lo sviluppo e per i giovani che accrescano i redditi in modo duraturo e non di un nuovo precario assistenzialismo.

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