Angela Merkel con Peter Altmaier (foto LaPresse)

La Germania punta sullo stato per garantire il futuro della sua industria

Daniel Mosseri

La “Strategia 2030” del ministro Altmaier fissa nuovi paletti a tutela della sovranità economica nazionale

Berlino. Il più grande surplus commerciale al mondo per tre anni di fila – 299 miliardi nel 2018 secondo le proiezioni dell’Ifo di Monaco – non si ottiene certo con politiche protezioniste. Ecco perché nel giorno in cui l’accordo di partenariato Ue-Giappone è entrato in vigore, Angela Merkel è volata a Tokyo con un codazzo di imprenditori per dare corpo all’abbattimento di oltre il 90 per cento dei dazi doganali fra Bruxelles e il Sol Levante.

 

Eppure l’economia tedesca di domani non potrà più vivere di solo liberoscambismo. Così, nelle ore in cui l’imperatore (dimissionario) del Giappone riceveva la cancelliera (uscente) della Germania, il ministro federale dell’Economia e braccio destro di Angela Merkel, Peter Altmaier, presentava la “Strategia 2030 per l’industria nazionale”. Allo scopo di “garantire la competitività e leadership industriale [tedesca] a livello nazionale, europeo e globale”, il documento prevede una robusta e attiva presenza dello Stato nelle questioni economiche.

 

La Repubblica federale, in altre parole, fissa nuovi paletti a tutela della sovranità economica nazionale. Accanto alla professione di fede pro-liberismo e a favore alla tutela della concorrenza, la strategia illustrata da Altmaier definisce dunque quando “l'azione dello Stato può essere eccezionalmente giustificata o addirittura necessaria per evitare gravi svantaggi per l'economia nazionale e il benessere dello Stato nel suo complesso”. Parole, quelle scritte nel preambolo del documento, che riportano subito alla mente il recente braccio di ferro fra Altmaier e il ministro francese delle Finanze Bruno Le Maire da un lato, e la commissaria Ue alla Concorrenza Margrethe Vestager dall’altro. I due ministri hanno proposto la fusione fra la tedesca Siemens e la francese Alstom, ricevendo le bacchettate di Vestager, secondo cui un colosso franco-tedesco soffocherebbe il mercato europeo delle infrastrutture ferroviarie. Ma essere più realisti del re è inutile e controproducente, ha osservato Altmaier nella sua agenda, “perché non esiste alcun paese che basi il suo successo esclusivamente e senza eccezioni alle forze di mercato”. Traduzione: se le industrie Usa e cinesi hanno i loro campioni nazionali, l’Europa non può permettersi di restare indietro.

 

Per il ministro ed ex capo di gabinetto della cancelliera, non si tratta di velleità protezionistiche ma di mettere i principali blocchi economici globali – Usa, Cina, Unione europea – in condizione di competere equamente. Con la sua agenda 2030, Altmaier completa il disegno abbozzato lo scorso Natale, quando circolò la notizia che Berlino era ormai pronta a impedire per legge l’acquisizione di aziende “strategiche” – perché legate per esempio alla sicurezza energetica o infrastrutturale del paese – da parte di mani non europee. Fa scuola qua il caso di Kuka azienda tedesca leader nella robotica acquisita a fine 2016 dai cinesi di Midea. L’agenda del ministro prevede fra l’altro che lo stato sostenga l'innovazione e contribuire a portare le tecnologie-chiave in Germania e in Europa; che le norme sulla concorrenza siano riviste per facilitare fusioni aziendali in situazioni in cui una grande impresa potrebbe competere meglio a livello globale; e che in “situazioni eccezionali”, lo stato sia autorizzato a nazionalizzare parzialmente un’impresa per evitarne l'acquisizione da parte di investitori stranieri. Propositi prontamente criticati dall’Ifo secondo cui la Germania fa male a rincorrere la Cina, “un paese che sta recuperando un ritardo tecnologico”. In un’economia matura come quella tedesca “le ricerche sulle strategie di politica industriale dimostrano che la forte concorrenza e la pressione al cambiamento sono molto più importanti per il successo, soprattutto per le grandi imprese". Secondo gli analisti di Monaco di Baviera, proteggere le grandi imprese tedesche dalle acquisizioni riduce la pressione competitiva così come la pressione a innovare e cambiare. Meglio sarebbe invece usare la leva fiscale.

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