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I dati del terzo trimestre confermano: è l'Italia, non l'Europa, ad avere problemi di crescita

Sandro Brusco

Arranchiamo da anni, sta per arrivare la recessione e la “manovra del popolo” ha già fatto danni a ciò che serve di più: gli investimenti

Anche se con qualche ritardo, è utile dare un’occhiata un poco più approfondita ai dati sulla crescita reale del pil nel terzo trimestre, in parte per capire meglio le implicazioni congiunturali e in parte per trovare riscontro a dinamiche consolidate di più lungo periodo. La tentazione di interpretare i dati congiunturali attribuendo immediate responsabilità o meriti politici è sempre forte, ma bisogna resistiterle. Tuttavia, con tutte le cautele del caso, alcuni punti sembrano abbastanza evidenti.

 

Punto primo. E’ l’Italia, non l’Europa, ad avere un problema di crescita. Secondo i dati Eurostat, nel terzo trimestre 2018 l’area euro è cresciuta dello 1,7 per cento rispetto al terzo trimestre 2017. La crescita è stata pari a 1,9 per cento per i 28 paesi dell’Unione europea. Nell’Europa meridionale la Spagna è cresciuta del 2,5 per cento e il Portogallo del 2,1 per cento, mentre la crescita dei due paesi economicamente più importanti, Francia e Germania, è stata di 1,5 per cento e 1,1 per cento rispettivamente. Il dato per l’Italia è invece uno striminzito 0,7 per cento. Questa, purtroppo, è una conferma di una tendenza prevalente da parecchio tempo: nel periodo 2014-2017 la media aritmetica dei tassi di crescita reale è stata 1,89 per cento per l’area euro e solo 0,85 per cento per l’Italia. La nostra crescita sembra essere costantemente un punto percentuale inferiore rispetto all’area euro. Così è stato anche per il terzo trimestre 2018.

 

Punto secondo. Sta arrivando la recessione e non ho niente da mettermi. I dati Eurostat mostrano anche l’indebolimento della congiuntura. Il più 1,7 per cento dell’area euro nel terzo trimestre è infatti minore del più 2,2 per cento osservato nel secondo trimestre e arriva con altri segnali di indebolimento del ciclo. E’ probabile a questo punto che l’indebolimento continui almeno un altro paio di trimestri. Niente di drammatico, i cicli economici ci sono da sempre e questo è abbastanza mite, come miti sono stati i cicli prima e dopo la grande recessione del 2008-2009. Per l’Italia però le cose stanno un po’ diversamente. Il paese cresce pochissimo ormai da decenni e quindi entra nella fase di congiuntura negativa in condizioni di estrema debolezza. Sembra inoltre essere prevalsa nella classe politica l’idea che le manovre di finanza pubblica debbano essere procicliche: se l’economia va bene e le entrate fiscali salgono allora, anziché ridurre deficit e debito, si aumenta la spesa. L’ovvio corollario è che se l’economia va male si è costretti a tagliare la spesa pubblica per evitare un deficit eccessivo. E’ quindi probabile che la prossima recessione colpirà l’Italia più degli altri paesi europei. Schiere di politici e giornalisti daranno la colpa alle arcigne autorità europee che non ci permettono di indebitarci a oltranza.

 

Punto terzo. La Germania fa meglio anche se fa peggio. Nel terzo trimestre il pil tedesco è calato dello 0,2 per cento rispetto al trimestre precedente. In Italia il calo è stato dello 0,1 per cento. Possiamo quindi gonfiare il petto di patriottico orgoglio? Prima di farlo è utile guardare un po’ meglio ai dati, in particolare le variazioni delle diverse componenti. I dati dell’istituto tedesco di statistica mostrano che il calo in Germania è dovuto al calo dei consumi privati per lo 0,3 per cento e, in misura minore, alla riduzione delle esportazioni. Anche in Italia i consumi privati hanno subito un calo, pari allo 0,1. Almeno parte di questa frenata è dovuto al rallentamento dell’industria automobilistica per l’introduzione di nuovi test, un fattore temporaneo. Quello che però preoccupa del caso italiano è il calo degli investimenti fissi lordi. Il dato complessivo è meno 1,1 per cento sul trimestre precedente. Mentre i settori abitazioni e fabbricati non residenziali hanno tenuto, con aumenti dello 0,6 e 0,3 per cento rispettivamente, gli investimenti in impianti e macchinari sono caduti del 2,8 per cento. In Germania gli investimenti in impianti e macchinari sono invece cresciuti dello 0,8 per cento. La debolezza degli investimenti è un male cronico italiano che contribuisce in modo determinante al basso tasso di crescita di lungo periodo.

 

Punto quarto. Sì, questo governo ha delle colpe. E’ sbagliato associare a priori variazioni del pil all’azione del governo, dato che cause multiple e al di fuori dal controllo politico possono essere all’opera. Un’analisi delle componenti fa però sospettare che il governo abbia contribuito in modo netto al calo del pil. Il canale è quello classico: si è creata incertezza sugli scenari futuri di finanza pubblica, con promesse stravaganti e proclami belligeranti verso le autorità europee. La teoria economica e il buon senso ci dicono che in situazione del genere le imprese preferiscono attendere che la situazione si chiarisca prima di spendere soldi in programmi di espansione. Gli investimenti fissi lordi sono la componente più sensibile al ciclo e infatti è quella la componente che più ha risposto all’aumentata incertezza. Le dichiarazioni di Di Maio, che ha affermato che la legge di bilancio non può aver avuto effetto perché non è ancora stata approvata, dimostrano una grottesca ignoranza del ruolo che le aspettative sul futuro giocano nel ciclo economico. Peraltro qualche intervento comunque negativo per la crescita è già entrato in vigore, si pensi al mal chiamato “decreto dignità” approvato a luglio.

 

Una piccola osservazione polemica non legata ai dati congiunturali. Sembra essere ultimamente di gran moda una specie di misticismo retrogrado sulla difesa della terra e sul ritorno all’agricoltura. In politica economica questo ha fornito alcuni spettacoli deliranti, tipo le urla sguaiate contro la terribile minaccia dell’olio tunisino o i piani di aumento della fertilità mediante assegnazione di terre pubbliche. Visto che nell’ultimo trimestre l’agricoltura è stato l’unico settore a crescere rispetto al trimestre precedente, qualcuno dei suddetti mistici retrogradi può essere tentato di pensare che l’agricoltura è la soluzione dei nostri problemi. E’ utile quindi ricordare che il valore aggiunto dell’agricoltura nel terzo trimestre è stato di 7,2 miliardi di euro. Il totale del valore aggiunto ai prezzi base è stato 365,5 miliardi. Quindi il valore aggiunto dell’agricoltura è stato il 1,96 per cento del valore aggiunto totale. Giusto per avere idea degli ordini di grandezza.

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