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I Nobel “ambientalisti” per l'Economia sono la risposta giusta al panico climatico

Simona Benedettini e Carlo Stagnaro

Premiati Nordhaus e Romer, diversi ma simili. Il messaggio è chiaro: i temi dell’ambiente non sono né estranei alla disciplina, né opposti a quelli della crescita

Un Nobel alla razionalità. Non potevano essere più diversi i vincitori del Premio Nobel per l’Economia 2018: Paul Romer per i suoi lavori su innovazione e crescita economica, William Nordhaus per le ricerche in materia di ambiente e sviluppo. A rendere particolarmente affascinanti le motivazioni della medaglia assegnata oggi è il nesso che l’Accademia di Svezia ha voluto istituire tra i due Premi.

  

Sia Nordhaus, sia Romer, partono dall’assunto che l’attività economica può produrre esternalità, ossia effetti su terze parti che non prendono direttamente parte agli scambi. Nordhaus è l’uomo delle esternalità negative. In particolare, quelle derivanti dal cambiamento climatico. Per l’economista di Yale, per limitare la produzione di gas serra serve un meccanismo globale di carbon tax, con imposizione fiscale uniforme in tutti i Paesi. Un sistema di carbon trading – come per esempio l’attuale meccanismo europeo di scambio delle quote di emissioni – potrebbe in teoria raggiungere lo stesso obiettivo, ma prestandosi con maggiori probabilità a errori e, quindi, al fallimento dell’obiettivo. Come rendere vincolante la carbon tax globale, disegnarne l’evoluzione nel tempo e quali sanzioni adottare per chi non rispetta gli accordi sono altri temi che Nordhaus ha affrontato. In sostanza, il cuore del suo lavoro sta nella ricerca di strumenti di policy efficaci ed efficienti: senza minimizzare i rischi ambientali e senza cadere in preda al panico. Si tratta di questioni su cui meditare attentamente, nel giorno in cui l’Ipcc – il panel intergovernativo sul clima – lancia l’ennesimo allarme.

  

All’opposto, Romer è l’uomo delle esternalità positive. La crescita economica è figlia dell’innovazione, e l’innovazione delle idee. Queste ultime hanno natura “non rivale”, cioè – a differenza dei beni fisici – il consumo da parte di un individuo non ne riduce le possibilità di fruizione da parte di altri. Romer parte da Robert Solow (a sua volta Nobel nel 1987), andando a indagare i meccanismi che stanno alla base dell’innovazione tecnologica e trattandola come un fenomeno endogeno alla crescita stessa, ossia influenzata e determinata dalla produzione stessa di ricchezza di un paese. Diversamente, Solow considerava l’innovazione un fattore esogeno. Secondo l’economista della New York University, l’innovazione – a fronte di costi privati – genera benefici diffusi e “pubblici”, quindi appropriabili da parte di altri. Pensiamo, per esempio, alle scoperte in campo farmaceutico. Come fare, quindi, a premiare adeguatamente le esternalità positive che nascono dall’innovazione? I brevetti sono una possibile risposta. Per Romer, la regolazione dovrebbe concentrarsi su questioni quali la loro durata e ampiezza. Né troppo lunghi in modo da limitare eventuali innovazioni incrementali o benefici altri, né troppo brevi e tali da scoraggiare l’innovazione originaria tout court.

  

Cos’hanno in comune Nordhaus e Romer? Ci sono due aspetti. Il primo è il riconoscimento che la buona regolazione dei mercati, influenzando il comportamento degli agenti economici, incide sull’attività economica e, conseguentemente, sulla creazione di ricchezza e l’allocazione di risorse nel lungo periodo. Diventa pertanto essenziale disegnare l’intervento pubblico in modo tale da non limitare il potenziale dei mercati in termini di creazione di valore. Secondariamente, si collocano entrambi nel mainstream, a cui hanno contribuito anche attraverso il rigore formale e la cura stilistica dei loro paper (da capoeconomista della Banca Mondiale, Romer diffuse una circolare invitando a mantenere la ricorrenza della congiunzione “e” al di sotto del 2,6 per cento delle parole, per evitare periodi poco intellegibili). Assegnando il premio congiuntamente, l’Accademia di Svezia ha lanciato un messaggio molto forte: i temi dell’ambiente non sono né estranei alla disciplina, né opposti a quelli della crescita. Questo non significa negare i fallimenti del mercato: anzi, è proprio da lì che Nordhaus e Romer prendono le mosse. La razionalità economica è indispensabile a disegnare policy che correggano il funzionamento dei mercati, evitando di mettere toppe peggiori del buco.