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Che Dio benedica i mercati

Claudio Cerasa

Dove passano le merci non passano gli eserciti. Dove non passano i mercati, passano gli incapaci. Dalla Turchia all’Italia. Dalla lira all’euro. Perché i mercati sono il migliore alleato di una democrazia intenzionata a non fuggire dalla realtà

I mercati, che Dio li benedica. Le difficoltà economiche vissute negli ultimi giorni dalla Turchia non sono naturalmente paragonabili a quelle patite negli ultimi mesi dall’Italia. Ma a voler osservare con attenzione l’impatto che il crollo progressivo della credibilità dei due paesi ha avuto sulle rispettive classi politiche non ci vuole molto a tracciare un unico filo logico che può unire la reazione scelta da Recep Tayyip Erdogan e quella scelta da Luigi Di Maio e da Matteo Salvini di fronte ai problemi della lira turca e a quelli dei titoli di stato italiani. Una reazione che si può sintetizzare con un’unica parola che nel corso dei prossimi mesi sarà destinata ad avere uno spazio sempre maggiore all’interno del dibattito politico italiano: complotto.

 

“Il crollo della lira turca è frutto di un complotto politico contro la Turchia”, ha detto Erdogan. “Se qualcuno vuole usare i mercati contro il governo, sappia che non siamo ricattabili”, ha affermato Luigi Di Maio. “A fine agosto i fondi speculativi ci aggrediranno, può accadere quello che è successo a Berlusconi sette anni fa”, ha avvertito Giancarlo Giorgetti. “Le agenzie di rating devono smetterla di sparare contro l’Italia”, ha aggiunto ieri il sottosegretario leghista Armando Siri.

 

La simmetria tra le reazioni italiane e quelle turche di fronte alle difficoltà economiche registrate dai propri paesi non è circoscritta al singolo ambito del complotto, ma riguarda anche le soluzioni suggerite direttamente e indirettamente dai rispettivi governi per affrontare quel complotto (sia il governo turco sia quello italiano sognano di avere un’economia meno condizionata dai paesi stranieri). Ma l’evocazione della famigerata manina invisibile della finanza mossa dai poteri forti per colpire la sovranità democratica di un paese nasconde in realtà un sentimento di impotenza dinnanzi a un termometro che in modo infallibile fotografa all’interno di un paese la sua salute, la sua affidabilità, la sua credibilità e la sua capacità a essere considerato un contesto sul quale vale la pena scommettere. Quel termometro naturalmente sono i mercati. E solo nelle democrazie guidate da leader pericolosi e irresponsabili può succedere che coloro che ogni giorno si occupano di trovare i soldi per finanziare il debito pubblico di un paese vengano trasformati in nemici giurati della democrazia. I mercati possono essere spietati, duri e crudeli ma il meccanismo che li porta a punire un paese oppure a premiarlo è sempre chiaro, lineare e persino trasparente. Un paese che mostra di essere instabile è un paese che dimostra di essere inaffidabile. Un paese che mostra di non avere a cuore gli interessi dei propri creditori è un paese che dimostra di non avere a cuore il proprio futuro. Un paese che evoca complotti per nascondere le proprie incapacità è un paese destinato ad aggravare e non a migliorare i propri problemi. E un paese con la testa sulle spalle dovrebbe rendersi conto che mai come oggi i mercati più che demonizzati andrebbero santificati. Sono stati i mercati nel 2011 a salvare l’Italia da una politica economica non responsabile portata avanti da un governo ostaggio della Lega. Sono stati i mercati nel maggio 2018 a rendere impossibile in Italia la nascita di un governo anti euro. Sono stati i mercati in questi giorni ad aver evidenziato in Turchia la progressiva pericolosità di un paese sempre più desideroso di imboccare la strada della autocrazia discrezionale.

  

Sono stati i mercati ad aver evidenziato in queste ore i rischi che può correre un paese come l’Italia nel portare avanti politiche ispirate all’autarchia isolazionista – nei giorni della crisi turca lo spread dell’Italia è quello che è cresciuto di più tra i grandi paesi d’Europa e questo nonostante l’esposizione in Turchia delle banche italiane (16,9 miliardi di euro) sia inferiore rispetto a quella della Spagna (82 miliardi), della Francia (38 miliardi), della Germania (17,1 miliardi). E nelle prossime settimane, infine, saranno ancora i mercati – Dio li benedica – a spingere il governo italiano a costruire una legge di stabilità compatibile con i fondamentali del paese, con il peso del suo debito pubblico, con le regole dell’Europa e con le prospettive della sua crescita.

 

Quello che i politici irresponsabili chiamano “complotto” non è altro che la misura dell’affidabilità di un paese – un paese guidato da un governo espressione degli estremismi è destinato a correre meno di come potrebbe e di come dovrebbe. E non è solo un caso che sia stato proprio questo governo ad aver inserito meno di due settimane fa nella lista dei progetti da valutare, ed eventualmente accantonare, una nuova autostrada chiamata Gronda che avrebbe comportato una significativa diminuzione del traffico sul ponte Morandi crollato ieri a Genova. E in fondo i mercati andrebbero benedetti ed elogiati non solo per le ragioni suggerite nell’Ottocento dal grande filosofo francese Frédéric Bastiat (“Dove passano le merci, non passano gli eserciti”) ma anche per ragioni più pratiche. Un paese in cui non vale più la pena investire è un paese pericoloso e un paese che considera un complotto l’umore dei mercati è un paese che ha scelto di far proprio un punto chiave della dottrina della post verità: la fuga dalla realtà. E quando qualcuno riesce a mettere a nudo l’incompatibilità di un paese con la sua fuga dalla realtà le soluzioni sono due. O si accetta improvvisamente la realtà o si fa uno scatto ulteriore per trasformare la fuga dalla realtà nel proprio cavallo di battaglia. E se mai lo spread dovesse diventare la nuova emergenza italiana, la prossima fuga dalla realtà potrebbe essere simile a quella anticipata sette anni fa da Grillo proprio nei giorni dell’esplosione dello spread italiano. “In questi giorni – scrisse il comico sul suo blog – il mantra più usato è ‘non possiamo uscire dall’euro’. Ma c’è sempre un’alternativa, un piano B. Dobbiamo considerare l’uscita dall’euro come possibile”. Riprendiamoci la nostra sovranità, urla oggi Erdogan in Turchia. Riprendiamoci la nostra sovranità, potrebbero urlare un domani i nostri sovranisti. Basquiat diceva che dove passano le merci non passano gli eserciti. Oggi potremmo dire che dove non passano i mercati di solito passano gli incapaci. Buon Ferragosto a tutti.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.