Un patto di governo con Draghi

Stefano Cingolani

Notizia. Paolo Savona ha incontrato il capo della Bce. Nonostante le promesse di sconquasso il colloquio è servito a dare garanzie che l’Italia continuerà a muoversi lungo il suo sentiero stretto, senza strappi. Il mantra è rassicurare Lady Spread

Sopire, troncare, rassicurare. Sopire le divergenze, troncare le insinuazioni, rassicurare i mercati internazionali (lo spread si è mosso in su e in giù in poche ore, l’altro ieri: giù dopo l’intervista di Giovanni Tria al Sole 24 Ore e la pacata conferenza stampa del capo del governo Giuseppe Conte, su non appena hanno parlato Matteo Salvini e Luigi Di Maio).

 

Ma le rassicurazioni riguardano anche la Commissione europea e soprattutto la Banca centrale europea. A questo scopo si è mosso anche Paolo Savona. Il ministro per gli Affari europei aveva annunciato un mese fa, in Senato, la sua intenzione: “Dato che ero stato delegittimato dai media, ho cercato la legittimazione democratica, ed è per questo che finora non mi sono mosso. Dopo questa audizione vedrò Draghi”. L’obiettivo originario era spiegare la riforma della Bce e il piano per investire 50 miliardi di euro in opere pubbliche. Ma il colloquio è servito a dare garanzie che l’Italia continuerà a muoversi lungo il suo sentiero stretto, senza violare le compatibilità finanziarie segnate da un debito in continua crescita e senza provocare scossoni alla stabilità dell’Eurosistema.

 

Per Mario Draghi questa è una condizione fondamentale. La Bce, ha ribadito, continuerà a perseguire una politica monetaria espansiva anche dopo la fine del Quantitative easing, il che rappresenta la più importante ciambella di salvataggio. L’anno scorso l’Italia ha pagato 65,6 miliardi di euro per interessi, prima della svolta del 2012 erano 83 miliardi. Gli acquisti di titoli sono stati già ridotti da 60 a 30 miliardi al mese e scenderanno a 15 da ottobre fino a dicembre. Questo avrà un impatto sulla collocazione di Btp, tuttavia la Bce non si metterà a vendere a pioggia, al contrario “intende reinvestire il capitale rimborsato sui titoli in scadenza per un prolungato periodo di tempo dopo la conclusione degli acquisti netti di attività e in ogni caso finché sarà necessario per mantenere condizioni di liquidità favorevoli e un ampio grado di accomodamento monetario”, è scritto nel bollettino economico pubblicato ieri.

 

Dunque, nessuna stretta improvvisa anche se l’acquisto di titoli è stato finora il principale stimolo alla creazione di moneta. La crescita economica resta solida, il rallentamento è soprattutto colpa dei dazi e delle tensioni internazionali. “Nel complesso – si legge nel documento – se venissero implementate tutte le misure annunciate, il livello medio dei dazi commerciali imposti dagli Stati Uniti raggiungerebbe valori mai osservati negli ultimi 50 anni. Tali sviluppi costituiscono un grave rischio per le prospettive dell’attività e del commercio mondiali a breve e medio termine”. Per questo, “sarà necessario un ampio grado di accomodamento monetario”.

 

Insomma, tassi d’interesse bassi almeno per un anno fino all’estate 2019, quando Draghi completerà il suo mandato. Sarà l’eredità che il banchiere italiano lascia al suo successore, una eredità che lo stesso Savona apprezza, anche se forse non basta a cancellare una ruggine che risale indietro nel tempo, alimentata anche dalla verve polemica e dalle sferzanti critiche riservate alla Bce. Né sarà sufficiente a ricomporre la divergenza di fondo: per Draghi l’euro è irreversibile, per Savona no. In quella stessa audizione parlamentare del 10 luglio, il ministro aveva sostenuto che “dobbiamo essere pronti a ogni evento. In Banca d’Italia ho imparato che non ci si deve preparare a gestire la normalità, ma l’arrivo del cigno nero, lo choc”. Di qui l’accenno al piano B di uscita dall’euro: “Mi dicono: ‘Tu vuoi uscire dall’euro?’ Badate che noi potremmo ritrovarci nella situazione in cui sono altri a decidere. Per questo dobbiamo essere pronti”. Parole risuonate come un avvertimento nel grattacielo di Francoforte che ospita la Banca centrale. Anche perché sono ancora fresche le insinuazioni arrivate dalle file gialloverdi, di aver provocato l’impennata dello spread vendendo Btp. La Bce ha precisato che i titoli vengono negoziati in continuazione, ma quel che conta è l’ammontare globale in portafoglio, determinato in rapporto alle quote di ogni Banca centrale nazionale, in modo che nessun paese azionista venga favorito o penalizzato. Tuttavia, il mondo delle “fake news” è il regno del sospetto e del complotto.

 

Il Bollettino uscito ieri non contiene raccomandazioni specifiche. Esattamente sette anni fa la Bce spedì una lettera (firmata anche da Draghi oltre che dal presidente uscente Jean-Claude Trichet) indirizzata a Silvio Berlusconi, per indicare un percorso netto di riforme e risanamento. Non sono più quei tempi. Tuttavia anche le analisi servono a indicare il da farsi. L’economia italiana resta debole. Scrivono gli economisti di Francoforte: “A dieci anni dall’inizio della Grande recessione i consumi privati in Germania e in Francia si collocano a un livello più alto di circa il 10 per cento rispetto al periodo a essa precedente. Per contro, i consumi in Italia e in Spagna non hanno ancora evidenziato una completa ripresa”, pur avendo accelerato dal 2013 in poi.

 

A guardare il grafico pubblicato, si vede che se gli italiani erano secondi per consumi alle spalle dei tedeschi, ora sono invece sotto la media dell’Eurozona. Ciò spezza una lancia a favore del governo che intende rafforzare la domanda interna, per consumi e non solo per investimenti, pubblici o privati. L’andamento dei consumi è correlato alla dinamica dei salari: “Nonostante gli incrementi generalizzati, i redditi da lavoro in alcuni paesi rimangono significativamente al di sotto dei livelli registrati prima del 2008”, sottolinea la Bce e “in Italia e in Spagna, ad esempio, i redditi reali da lavoro dipendente permangono significativamente inferiori rispetto a prima della crisi”. Aumentare i salari è una delle raccomandazioni che Draghi non smette mai di lanciare da mesi. Affinché ciò avvenga, è necessario accrescere la produttività. E’ questa la via maestra per uno sviluppo sostenibile. L’Italia ha un problema in più: il debito pubblico, il suo livello assoluto e la sua dinamica. Nel decennio della crisi abbiamo pagato 800 miliardi per gli interessi, è vitale che il costo del denaro resti il più basso possibile e lo spread scenda sotto quota 200. Qui le rassicurazioni riguardano la politica fiscale. Conte al Corriere della Sera ha detto che “in Europa andremo a testa alta senza chiedere concessioni. Saremo seri, duri, ma né irragionevoli né scriteriati”. Gli stessi toni usati il giorno prima da Tria sul Sole 24 Ore. Tuttavia né i giornalisti né gli operatori finanziari hanno capito finora che cosa in concreto si nasconde dietro questi aggettivi. Sopire, troncare, rassicurare, ma per fare cosa? La risposta per ora non c’è. Si naviga a vista, evitando giorno dopo giorno scogli e cavalloni.