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Benvenuto “fast oil”, cambio d'epoca nelle estrazioni petrolifere

Gabriele Moccia

Il petrolio va “veloce” e trova nell’aumento dei prezzi un incentivo per correre

Roma. L’industria petrolifera sta progressivamente muovendosi a passi veloci verso una sindrome da “shortermismo" che potrebbe presto far piombare il mondo nell’era del cosiddetto fast oil. A lanciare l’allarme è stato il capo della più grande compagnia petrolifera del mondo la Saudi Aramco. Amin Nasser ha detto chiaramente che la grande industria dell’olio nero rischia una crisi della offerta di lungo periodo, sempre di più ossessionata dai progetti di breve periodo caratterizzati dallo sfruttamento dello shale gas e, più in generale, di produzioni a basso costo e basse complicazioni. 

 

Per intenderci, dire addio ai grandi e faraonici progetti di sviluppo dei giacimenti che hanno caratterizzato la mitica storia dell’esplorazione petrolifera: quello del lago Maracaibo in Venezuela che da circa trent’anni produce il greggio che ha reso il paese uno dei membri del club dell’Opec, per non parlare del mega giacimento di Kashagan in Kazakistan (ci son voluti quasi vent’anni per portarlo a regime). Rispetto ad oggi stiamo parlando di tempi biblici, il fast oil ha fatto nascere una costante corsa contro il tempo. Ai tempi di oggi, il ciclo di vita dei pozzi di shale della grande industria statunitense è in media di circa 8/12 mesi (dall’attività di esplorazione sino al completamento dei pozzi) come riporta un recente studio dei ricercatori del World Research Institute, Ivan Branosky, Amanda Stevens e Sarah Forbes. Uno dei motivi di questa velocità è certamente legato allo sviluppo della frontiera tecnologica che nell’industria dell’energia ha contato di più. 

 

Come afferma un recente studio dell’Agenzia internazionale per l’energia (Aie), la tecnica della fratturazione idraulica, il fracking, utile ad estrarre lo shale gas e il tight oil, ha rivoluzionato l’intera industria energetica e, se prima era prevalentemente appannaggio degli Usa, oggi ha ampiamente sfondato in Cina e in Russia. I due principali rivali degli Stati Uniti, dopo il cartello Opec, in campo energetico. Il fracking non è una tecnica nuova per il settore – nel 1927 lo U.S. Bureau of Mines già studiava la tecnica della frantumazione idraulica – ma è diventata una tecnologia chiave per sbloccare in tempi rapidi i giacimenti di gas, sostiene l’Agenzia. La produzione di gas da queste risorse ‘non convenzionali’ – così chiamate perché richiedono tecniche speciali per la produzione – è più che raddoppiata negli ultimi otto anni al di fuori del nord America ed ha accorciato il ciclo della messa in produzione. 

 

L’aumento dei prezzi del petrolio non fa altro che aumentare questo meccanismo perché oltre al tempo, il fattore costo di produzione diviene un fattore altrettanto determinante. L’effetto è stato ben spiegato da Sanjiv Singh, della principale compagnia petrochimica indiana la Indian Oil Corp, secondo Singh se i prezzi del greggio continueranno a salire, la domanda sul mercato asiatico (al momento il principale in termini di domanda di energia) si sposterà sul gas e sull’elettrico. La doppia trappola della diversificazione delle fonti, spinta dall’aumento dei prezzi come effetto accordo Opec/Russia sul taglio della produzione, sta portando i giganti del petrolio come Bp, Shell e Chevron ha puntare sempre di più sul fast oil. Come riferito dalla stampa americana, Bp ha offerto oltre 10 miliardi di dollari per acquistare gli asset di shale oil e gas onshore negli Stati Uniti di Bhp Billiton. Una mossa utile che offre la possibilità alla compagnia inglese di entrare nel mercato della produzione di petrolio e gas americano, in un periodo in cui i prezzi stanno crescendo. 

 

Anche la Saudia Aramco per aumentare la produzione di shale gas ha stretto di un accordo con la compagnia Usa Halliburton mentre la compagnia petrolifera anglo-olandese Royal Dutch Shell ha accettato di raddoppiare il volume degli acquisti di gas liquido (Gnl) dalla società Venture Global, avvicinando così il gruppo statunitense ad una decisione finale sull'impegnativo investimento nel suo progetto in Louisiana. Un altro elemento è quello geopolitico, la Libia ha ripreso a produrre come ha dichiarato qualche giorno fa il generale Haftar ma lo spettro delle scelte iraniane in ritorsione alle misure sanzionatorie della Casa Bianca. -Il prezzo del petrolio potrebbe aumentare fino a toccare un picco massimo di 250 dollari al barile, nel caso in cui l’Iran dovesse dare seguito alla minaccia avanzata nei giorni scorsi di bloccare i transiti nello Stretto di Hormuz. Un provvedimento, quello di chiusura, che rappresenta una ritorsione alle crescenti pressioni degli Stati Uniti sui Paesi alleati e non, perché azzerino l’acquisto di greggio prodotto dalla Repubblica islamica.

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