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Cosa vuole Macron da Trump

Daniele Raineri

Il francese arriva alla Casa Bianca per salvare il deal atomico con l’Iran, ma c’è una visione più ambiziosa

Roma. Ieri il presidente francese, Emmanuel Macron, è arrivato a Washington per incontrare Donald Trump e l’agenzia Reuters riassume efficacemente la visita così: “E’ una missione di soccorso per salvare l’accordo sul nucleare iraniano”. Il tempo è agli sgoccioli. Trump pensa che il patto firmato dal predecessore Barack Obama nel luglio 2015 sia “il peggiore di sempre” e ha imposto agli altri firmatari un ultimatum che scade il 12 maggio, fra soltanto 18 giorni. Se gli altri paesi coinvolti dell’accordo non parleranno in fretta con Teheran e non riusciranno a inserire clausole molto più dure nell’accordo, Trump si ritirerà e quindi farà scattare di nuovo le sanzioni economiche americane contro l’Iran. Attenzione però: questo non è più l’Iran del 2015, è un paese esasperato dalle ristrettezze economiche dove le proteste della folla impoverita viste a gennaio sono calate di molto ma non si sono mai davvero fermate e dove la paura della repressione governativa sta svanendo un giorno alla volta. Teheran non vuole modificare le clausole del patto nucleare, ma teme un nuovo giro di sanzioni economiche.

  

Tra i punti dell’accordo che l’Amministrazione Trump trova molto insoddisfacenti e vuole modificare ci sono la libertà di accedere e di ispezionare le basi militari iraniane, che oggi non è completa, e il permesso di continuare a fare test missilistici, che non riguarda strettamente il programma atomico ma che secondo gli americani dovrebbe fare parte del deal – perché un’eventuale arma nucleare sarebbe trasportata da un missile e quindi anche i test portano l’Iran più vicino alla capacità di colpire con testate atomiche.

  

Macron arriva a Washington con la missione di salvare l’accordo originale. Il presidente francese riconosce che non è perfetto, ma lo accetta come il miglior compromesso mai raggiunto su un tema così difficile da negoziare. “Non c’è un piano B”, ha ricordato domenica. Dalla parte di Macron ci sono l’Unione europea, la Germania, la Russia, la Cina e anche l’Iran, che come si è detto tiene molto alla continuazione dell’accordo – spesso indicato con la sigla Jcpoa, Joint comprehensive plan of action. “Il presidente Macron ha ragione quando dice che non c’è alcun piano B se fallisce il Jcpoa. E’ tutto oppure niente – scrive su Twitter il ministro degli Esteri Javad Zarif – I leader europei dovrebbero non soltanto incoraggiare il presidente Trump a restare nel deal atomico, ma anche e soprattutto a cominciare a implementare la sua parte di accordo in buona fede”.

  

Alcuni paesi europei, tra cui Francia e Italia, da tempo sono al lavoro per sfruttare la fine delle sanzioni economiche e l’apertura di un mercato così vasto come l’Iran, ricco di risorse naturali e abitato da più di 80 milioni di persone. Ci sono motivi per essere pessimisti. L’Amministrazione americana e Israele guardano con molto sospetto al governo iraniano, che sebbene descriva il suo programma di ricerca atomica come un’iniziativa scientifica per fini civili lo ha tenuto nascosto fino a quando ha potuto e lo ha portato avanti per almeno una decina di anni all’interno di installazioni militari speciali e molto protette scavate nel fianco di montagne. Il timore è che succeda un bis di quello che è già accaduto in Siria, dove nel settembre 2013 il governo del presidente Bashar el Assad ha firmato un accordo davanti alle Nazioni Unite che prevedeva la consegna e la distruzione del suo intero arsenale di armi chimiche. Il presidente americano Barack Obama descrisse quell’accordo come uno dei risultati più importanti in politica estera del suo doppio mandato. Tuttavia si è scoperto che il governo siriano aveva nascosto e conservato una parte dell’arsenale di armi chimiche e lo si è anche scoperto nel peggiore dei modi quando nell’aprile 2017 un aereo ha bombardato con l’agente sarin un piccolo centro nel nord della Siria e ha ucciso un centinaio di civili. E’ possibile che il governo israeliano e l’Amministrazione americana – una delle più diffidenti di sempre nei confronti dell’Iran, con due voci molto schierate come Mike Pompeo al dipartimento di stato e John Bolton al Consiglio di sicurezza nazionale – vedano nella Siria di Assad un esempio perfetto di come non fare.

  

Il dossier siriano è attaccato al dossier Iran anche in un altro modo. Se ne parla poco, ma l’America in questo momento ha una leva contro il governo di Damasco che è molto più potente delle bordate missilistiche lanciate due settimane fa contro tre siti vuoti. E’ una leva che se fosse manovrata potrebbe costringere Assad a negoziati reali e non alle messinscene vuote viste a Ginevra e ad Astana. Allo stato attuale delle cose Trump di fatto controlla una parte enorme dell’est della Siria, grazie alla collaborazione sul campo fra i suoi duemila uomini, la sua aviazione e le milizie curdo-arabe che hanno strappato quelle aree allo Stato islamico. Macron vorrebbe che gli americani restassero nelle guarnigioni che hanno creato negli ultimi due anni perché vede come molti altri il potenziale di negoziato politico della Siria orientale: è arida e desolata ma è la zona del paese dove ci sono il gas e il petrolio, non in quantità da far girare la testa ma abbastanza da far tirare avanti il governo di Damasco. Se Assad non si riprende quelle zone dovrà continuare a chiedere il mantenimento all’Iran, che spende in questo appoggio esterno i miliardi di dollari che in teoria aveva guadagnato grazie al deal atomico e che come si è detto ha già problemi economici con i suoi cittadini in casa. Tuttavia il presidente americano continua a dare segni di impazienza e vuole andarsene, lasciando magari il posto a un contingente di soldati arabi che per ora esiste soltanto in teoria (i sauditi ci stanno, gli egiziani no per esempio). Josh Rogin, un commentatore del Washington Post, lo ha fatto notare in un editoriale recente: che senso avrebbe imporre di nuovo le sanzioni all’Iran e allo stesso tempo fargli un favore così grosso in Siria?

 

I russi osservano tutto il viavai e tentano di non scontentare gli iraniani, che stanno scucendo tutto quel denaro per Assad, e di non far innervosire troppo gli israeliani, che vogliono sradicare gli iraniani dalla Siria. Ieri il quotidiano russo Kommersant ha annunciato che la Russia avrebbe dato gratis all’esercito di Damasco il suo sistema di difesa S-300 contro le intrusioni aeree, “per bloccare i raid americani e israeliani”. Poi al pomeriggio il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha detto che per ora è soltanto un’ipotesi. In pratica è stato un avvertimento a mezzo stampa, a ogni iniziativa troppo pesante corrisponderà una reazione pesante.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)