Xi Jinping e Re Salman (foto LaPresse)

La sfida sino-russa alla dominanza energetica americana passa da Saudi Aramco

Gabriele Moccia

La quotazione della compagnia petrolifera saudita slitta ancora al 2019, s’apre un varco per i fondi sovrani di Russia e Cina

Roma. Sul cortile della Casa Bianca trumpista, si affaccia una nuova minaccia legata alle strategie americane di dominanza energetica: un asse tra Mosca e Pechino sempre più aggressivo che potrebbe presto saldarsi attraverso la complicata operazione di privatizzazione (parziale) della compagnia petrolifera più grande del mondo, la Saudi Aramco. La quotazione sarebbe infatti ritardata ancora di un anno, al 2019, secondo il principe della corona saudita Mohammed Bin Salman, reduce da un tour nel Regno Unito e negli Stati Uniti, ovvero principali paesi a contendersi l'Ipo da 1-2 trilioni di dollari. 

 

Il nuovo mandato alla guida del Cremlino di Vladimir Putin non si è aperto solo con la gestione della crisi diplomatica nel triangolo Mosca, Bruxelles e Washington ma con la sfida legata al mantenimento della presa politica sull’industria energetica nazionale, che si gioca sul terreno della capacità del capo del Cremlino di tessere la sua tela di relazioni internazionali a vantaggio dell’economia russa e dei suoi interessi commerciali. Con la Cina, Putin condivide una alleanza geopolitica con il Regno Saudita, rafforzatasi durante la tempesta del cheap oil, nel tentativo di garantire un minimo di ordine globale al caos del mercato energetico internazionale. In questo senso sia Putin che il governo di Pechino hanno osservato con molto interesse il tour prima a Londra e poi negli Stati Uniti del principe saudita definito riformista, Bin Salman, è ne sono stati ancora più soddisfatti circa gli esiti, visto che Riad ha deciso di congelare il progetto di quotazione della più grande compagnia petrolifera del mondo, la Saudi Aramco, sulle piazze di Wall Street e della City.  

 

Pochi giorni prima del viaggio di Salman da Mosca – attraverso il Fondo russo per gli investimenti diretti (Rdif) – era arrivato un chiaro segnale di interessamento da parte di un pool di banche russe alla partita della privatizzazione parziale della compagnia saudita – un processo differente dalla quotazione perché avverrebbe per vendita diretta di quote e non attraverso una contesa di mercato. Secondo alcuni analisti, il rallentamento sul versante della quotazione in Borsa avrebbe in questi giorni indotto Riad a ri-accelerare sulla negoziazione di uno schema diverso, uno schema che – per l’appunto – prevede la collaborazione di due Fondi sovrani, il Public Investment Fund saudita e il Russia – China Investment Fund, i cui anchor investor sono il Rdif e la China Investment Corporation, il fondo sovrano che gestisce le enormi masse monetarie cinesi. Il fondo russo-cinese sino ad ora ha investito prevalentemente in operazioni infrastrutturali, ma ha tra le sue priorità d’investimento la sicurezza degli approvvigionamenti energetici dei due paesi. 

 

“In linea di massima, mi sembra che la possibilità che i sauditi privilegino un rapporto con i russi sia più dovuta ad una partita energetica che geopolitica, e sarebbe interessante vedere poi quali di questi due elementi potrà prevalere”, dice Nicolò Sartori, responsabile del programma Energia, clima e risorse dell’Istituto Affari Internazionali. Secondo Sartori, “la Russia si è dimostrata un partner necessario per Riad nell'ambito del dialogo Opec-non Opec, che ha permesso una stabilizzazione dei prezzi e dei mercati, ed evitato all'Arabia Saudita di essere l'unica ad accollarsi gli ingenti costi dei necessari tagli alla produzione. Da questo punto di vista, Riad e Mosca mi sembrano allineati, e forse l'ingresso della Russia nel capitale di Saudi Aramco può essere visto come un tentativo saudita di ‘comprare’ (o meglio farsi comprare) la cooperazione russa in ambito Opec-non Opec. Se invece guardiamo alla dimensione strettamente geopolitica, la mossa è di più difficile lettura. Basti pensare agli ottimi rapporti di Mosca con l'Iran, arcinemico di Riad in medioriente, o a quelli tra sauditi e americani, ripresi con forza dalla presidenza Trump dopo il raffreddamento delle relazioni con Obama”. 

 

Anche per la Cina l’interesse ad acquisire quote di Saudi Aramco fa parte di un rinnovato protagonismo in campo energetico. L’atteso debutto dei futures sul petro-yuan – ovvero i primi futures sul petrolio crude denominati in yuan e scambiati in Cina, sullo Shanghai Futures Exchange - fa parte della strategia della Cina di esercitare una maggiore influenza nella determinazione dei prezzi in Asia e di contrastare il dominio nel mondo dei petrodollari. 

 

Secondo Davide Tabarelli, presidente di Nomisma energia, “lo scenario mondiale è cambiato, ora gli Stati Uniti sono il primo produttore e la Cina il primo importatore ed è la Cina che ha più bisogno di prezzi trasparenti ed efficienza informatica. Il future in yuan è un tentativo ma non dobbiamo dimenticare che ce ne sono stati vari nella storia degli ultimi anni ma il dominio del Wti non si scalfisce". Pechino, dunque, non sembra voler pestare i piedi a Washington, o almeno non intende farlo nell’immediato. Tuttavia, l’imponente rivoluzione energetica che la Cina vuole portare, anche attraverso un ruolo maggiore nella produzione di idrocarburi, shale gas in primis, potrebbe presto generare nuovi attriti con gli Stati Uniti.

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