Lo spread di credibilità

Non è un complotto dei mercati. Subiamo le parole storte dei legastellati

Le parole contano. Se a maggio 38,7 miliardi di euro sono fuggiti dall’Italia verso altri e più sicuri lidi europei, come risulta alla Banca d’Italia, lo si deve alle minacce contenute nel “contratto del cambiamento” di Movimento 5 stelle e Lega per uscire dalla moneta unica e alla richiesta alla Banca centrale europea di condonare 250 miliardi di debiti. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, non aveva ancora giurato, e dunque quando Luigi Di Maio afferma, come ieri, che “contro il nostro governo sono in atto attacchi senza precedenti” non sa cosa dice. Magari poteva dare ascolto al direttore generale di Banca d’Italia Salvatore Rossi, un civil servant senza pregiudizi: “Lo spread non è una cosa esoterica né è manovrato da qualcuno – ha spiegato – e la speculazione è un fenomeno secondario. Alla base c’è il diffondersi del timore di un’uscita dell’Italia dall’euro. Questo è il punto”. Insomma purtroppo non c’è nessun complotto ai danni del “governo del cambiamento”, sfortunatamente è tutto vero: l’Italia è tornata al centro della scena e vista dalle cancellerie europee è un’incognita, come ha detto al Foglio John Micklethwait, il direttore di Bloomberg che ultimamente le cancellerie europee le ha visitate. Lo sbianchettamento del contratto non è servito, lo spread ieri è tornato a 280, poi è intervenuta l’odiata Bce; gli interessi richiesti ai nostri Btp restano in linea con i decennali dell’Ungheria. Che però ha il fiorino, non l’euro né la protezione di Mario Draghi. Copertura che non estendendosi ai Bot fa sì che gli interessi a nove mesi superino quelli della Grecia.

 

Le parole contano. Di Maio e Matteo Salvini preferiscono rivolgere comizi – sono ministri e vicepremier, ma la campagna elettorale a quanto pare per loro viene prima – alla platea della Confcommercio, disertando quella meno agevole delle Casse di risparmio, dove c’era Sergio Mattarella e si parlava dei nostri portafogli. Così Di Maio, ministro dello Sviluppo e del Welfare, promette di abolire spesometro, studi di settore, e niente aumento Iva, il tutto senza indicare coperture. Mentre da ministro dell’Interno Salvini si occupa di dazi, di compiacere Vladimir Putin e Donald Trump. Ultimo viene Conte: appena sbarcato al G7 scrive su Twitter che “la Russia rientri nel G8”. Le parole contano. E contano di più le promesse della campagna elettorale scritte sulla felpa del capo della Lega #Bastaeuro degli spergiuri delle ultime settimane sul fatto che la moneta unica non è in discussione. Il ministro per gli Affari europei, l’eurodeluso Paolo Savona può tentare l’inversione a U definendo “pilastri” la moneta e il mercato comune ma non ottiene apprezzabili risultati sui nostri titoli pubblici. Fortunatamente alle imprese del nord che sono indissolubilmente legate al sistema industriale della Germania – di gran lunga primo partner commerciale dell’Italia cui va il 12,4 per cento del nostro export e da cui arriva il 16,3 per cento del nostro import – le boutade interessano molto meno di come riuscire a costruire una valvola o un pistone insieme ai partner tedeschi per battere i concorrenti.

 

Tuttavia le parole – cioè la credibilità – contano e riguardano anche l’Ilva con Beppe Grillo che la vorrebbe riconvertita al turismo, con fondi europei. E Di Maio che quella del suo creatore definisce una “opinione personale” aspettando che la Casaleggio Srl dia la linea definitiva. Nel frattempo, il 30 giugno, Arcelor Mittal si insedierà a Taranto e senza accordo con il governo potrà ridurre la manodopera, o anche andarsene. A chi deve credere l’investitore a Di Maio o a Gribbels?

 

E poiché le parole contano, tornano in mente quelle del banchiere Lorenzo Bini Smaghi a un convegno del Foglio di febbraio 2017: “In caso di vittoria dei populisti e senza impegni immediati sull’euro e sul debito, arriverà il Fondo monetario internazionale”. E’ una prospettiva da incubo, ovvio. Forse evitabile se la piantano, subito, con la propaganda di piazza. E se magari qualche giusta parola viene dall’unico ministro che in questa situazione dovrebbe parlare, quello dell’Economia Giovanni Tria.

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