Giacomo Puccini - foto via Getty Images 

Puccini 2024 - Le opere/3

"La fanciulla del West" al Regio di Torino. Parla il direttore Francesco Ciampa

Mario Leone

Lo scandalo della domestica e poi un’opera sperimentale, senza redenzione. "Puccini vuole capire sin dove può spingersi. Opta per un organico molto ampio costruendo tutto il suo percorso compositivo sulla scala esatonale", dice il direttore

Dopo il successo della prima esecuzione di Tosca, per Giacomo Puccini si apre un periodo complesso, costellato da avvenimenti personali che ne determinano le successive scelte musicali. Numerosi lutti minano le sue certezze: muore il librettista Giacosa, suo fidato collaboratore e amico, seguito subito dopo dall’editore Giulio Ricordi, ritenuto da Puccini un secondo padre. Se non bastasse, nel 1903 il compositore è vittima di un grave incidente stradale che lo costringe a un lungo e forzato periodo di immobilità. Anche la vita sentimentale inizia a sfaldarsi: in casa Puccini è assunta la domestica Doria Manfredi verso la quale Elvira, moglie del musicista, nutre una gelosia così forte da spingere la Manfredi al suicidio. Uno scandalo che travolge tutti con conseguenze anche legali: Elvira deve rispondere in tribunale all’accusa di diffamazione e minacce, iniziando un contenzioso che la vede giudicata colpevole. Per fortuna il compositore riesce a evitarle la prigione, accordandosi con i Manfredi e versando loro una ingente somma di denaro.
 

Questo lungo preambolo è fondamentale per contestualizzare la situazione emotiva con cui Puccini approccia la scrittura de La fanciulla del West, che è andata in scena nei giorni scorsi al Teatro Regio di Torino con la direzione di Francesco Ivan Ciampa e la regia di Valentina Carrasco. La fanciulla del West è un’opera travagliata che Puccini  porta avanti a stento. “La mia vita passa in mezzo alla tristezza e alla più grande infelicità  […]. Come risultato la Fanciulla si è completamente inaridita – e Dio solo sa quando avrò il coraggio di riprendere il lavoro”, scrive alla signora inglese e amica Sybil Seligman. “Sicuramente le tristi vicende di Doria Manfredi influiscono sul lavoro di Puccini – dice Ciampa – ma non vedo un vero e proprio tentativo di redenzione. La Doria Manfredi a mio avviso riappare in Liù di Turandot, nel suo sacrificio. Puccini cerca un personale percorso di purificazione non tanto in un’opera specifica, ma più probabilmente nell’arte stessa”. 
 

L’opera prende spunto dal dramma in prosa di David Belasco The Girl of the Golden West, a cui Puccini assiste nel 1907 a New York. Numerosi sono i librettisti che si alternano e Puccini interviene spesso nella stesura del testo, affidandolo poi al duo Zangarini-Civinini. I tormenti che lo affliggono spingono il compositore a sperimentare: “Puccini vuole capire sin dove può spingersi – dice il direttore – opta per un organico molto ampio (il più grande di tutte le sue opere) costruendo tutto il suo percorso compositivo sulla scala esatonale”. Ma se l’uso di un nucleo armonico è un tratto che ritroviamo da Tosca in avanti, la grande novità che caratterizza a Fanciulla – rendendola di fatto uno dei lavori meno eseguiti – è l’aspetto ritmico. “La gestione ritmica e i conseguenti incastri sono il banco di prova per direttore, cantanti e musicisti – continua il maestro – Faccio degli esempi: nel finale i due protagonisti vanno verso un nuovo mondo mentre agli altri è preclusa tale possibilità. Il tempo musicale dei protagonisti è molto più veloce di quello di chi rimane. In generale ogni personaggio cammina e si evolve dentro scansioni temporali diverse. Questo significa avere importanti difficoltà di sincronia. Il direttore deve gestire continui cambi ritmici e di agogica, attacchi all’orchestra e ai cantanti. Questi ultimi devono essere credibili. Occorre la massima concentrazione dalla prima all’ultima battuta”.
 

Spesso la Fanciulla è ricordata come l’opera a lieto fine dove trionfa l’amore e la possibilità di cambiare vita. Non è proprio così. “Come non c’è redenzione per Puccini, lo stesso avviene per i personaggi dell’opera. I due protagonisti decidono di lasciare un mondo di fatica e sofferenza, gli altri rimangono lì senza possibilità di redenzione e privi di Minnie, figura carismatica e di riferimento per tutti. Ma anche il luogo dove i due innamorati si dirigono non è ben chiaro. Sarà un luogo migliore? Vivranno una vita finalmente compiuta? C’è un lieto fine, certo, che non annulla il senso di mistero, il punto interrogativo su coloro che vanno verso qualcosa che è comunque ignoto. Anche questo è un elemento assolutamente innovativo e originale”.
 



Una chiacchierata con musicisti e interpreti per ognuna delle dodici opere di Puccini, nel centenario della morte del compositore. Per “Puccini ’24” abbiamo già scritto di “Manon Lescaut” (il 31 gennaio) e di “Gianni Schicchi” (il 16 febbraio).

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