Letture

Mingardi vs Felice. Un libro sul dilemma fra libertà e diseguaglianza

Carlo Marsonet

"Libertà contro libertà" è un volume da poco uscito per il Mulino e rappresenta la descrizione di quello che è un duello sulla società aperta. La prima, quella socialista, sostenuta da Emanuele Felice. La seconda è invece difesa da Alberto Mingardi

Libertà come partecipazione ed emancipazione, ovvero come assenza di coercizione e possibilità di scelta. A ben vedere, questa è un po’ la grande dicotomia tra due tipi di libertà, entrambi legittimi e assai floridi nella storia delle idee. La prima può essere concepita come libertà socialista, la seconda come libertà liberale. Uno dei più grandi studiosi del tema, Isaiah Berlin, sosteneva tuttavia che “il significato fondamentale della libertà è la libertà dalle catene, dall’essere imprigionato o reso schiavo da qualcun altro; il resto – proseguiva – è un’estensione di questo significato, oppure una metafora”. Del resto, pensiamoci un attimo, nella quotidianità che tutti viviamo percepiamo di non essere liberi nella misura in cui qualcuno ci impedisce di fare, dire o pensare questo o quello. Ma si può mai sostenere che un desiderio che non si tramuta in realtà sia mancanza di libertà? È oppressione il fatto che un individuo voglia essere un giocatore di basket ma non sia né alto né abbastanza bravo per diventarlo? Difficile a credersi, almeno che non si accusi di oppressione un fattore determinante della vita di tutti, il caso. Trovate la formula magica per la pianificazione della vita stessa e in quel momento sarà eretta la tomba della libertà.
 

È sconfortante pensare quanto la vita di ciascuno non possa diventare con sicurezza ciò che si anela, questo è chiaro. Ma, dopo tutto, libertà non significa organizzazione, sicurezza, certezza. Voler imbrigliare la realtà ha poco a che fare con la libertà. Lo storico francese Élie Halévy riscontrò quest’ossimoro alla radice del pensiero socialista (di cui certamente non era un nemico). Da un lato, socialismo significa desiderio di emancipazione da ogni forma di autorità e libertà dai vincoli: questo suo côté è liberale. Al contempo, però, esso ha in sé un germe profondamente illiberale, che è quello dell’organizzazione, della pianificazione. Il dispositivo coercitivo per eccellenza, lo stato, diviene la panacea di ogni male da curare. Esso costituisce il simbolo della contraddizione interna del socialismo: per giungere alla “liberazione” dall’oppressione, s’invoca proprio l’emblema della coercizione medesima.
 

Di questi due tipi di libertà parla un volume da poco uscito per il Mulino: Libertà contro libertà. Un duello sulla società aperta. La prima, quella socialista, è sostenuta da Emanuele Felice, storico dell’economia all’Università Iulm, mentre la seconda è difesa da Alberto Mingardi, storico del pensiero politico presso il medesimo Ateneo. I due autori condividono l’idea fondamentale che la libertà sia importante in una società aperta. Ma a partire da questo assunto, le posizioni si divaricano. Felice sostiene, rifacendosi a Carlo Rosselli, che liberalismo e socialismo, alla fine, non sono alternativi, e neanche solamente complementari: il secondo è piuttosto il vero erede storico del primo. La libertà è, sì, il contrario dell’oppressione. Ma dal suo punto di vista oppressione non significa solo coercizione.
 

L’oppressione diventa a tal punto elastica che non si riduce alla sua più elementare e oggettiva definizione: io sono oppresso nella misura in cui mi sento tale. Ha più a che fare, insomma, con un sentimento interiore che con un dato esteriore. E questo dà il via a tutta una serie di implicazioni: su tutte, il fatto che in tal modo si legittima il potere coercitivo a (tentare di) eliminare queste catene. Per l’eterogenesi dei fini, ciò crea però un più ampio controllo dell’apparato pubblico, restringendo così la libertà (liberale). Secondo Mingardi, lo stato è per definizione (e origine storica) lo strumento che limita la libertà. Pur necessario che sia, serve restringerne le maglie, altrimenti ha la tendenza a debordare dai suoi compiti.
 

Il liberale, sostiene Mingardi, vuol far da sé, desidera cercare di condurre la propria vita a proprio modo. È però consapevole che non tutto potrà andare come da sue aspettative, per via del caso, per via dei propri errori, della propria mancanza di conoscenza. Ma non se la prende con nessuno per questo, al massimo con se stesso. Felice è di diverso avviso e lo si capisce in maniera plastica dall’enfasi posta non tanto sulla libertà, ma sulle diseguaglianze. Per lui, più che essere un po’ un dato di fatto naturale, esse costituiscono un opprimente assillo che lede la libertà. La diseguaglianza diventa così il primo problema da risolvere: se tutti siamo più eguali, allora siamo più liberi. Ecco svelata la vera natura del discorso liberal-socialista: la preoccupazione di una tale prospettiva non è tanto essere uguali nella libertà, quanto piuttosto essere più liberi perché uguali. Se questo abbia più a che fare con una prospettiva liberale o socialista, lo decida il lettore.

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