Un momento del dramma ''Dialogues des Carmélites'' di Francis Poulenc, con la regia di Emma Dante e il maestro Michele Mariotti - foto Ansa 

Puccini 2024 - Le opere/2

All'Opera di Roma è in scena "Gianni Schicchi". Parla il maestro Michele Mariotti

Mario Leone

"Puccini svela prima di tutto un morboso carattere umano che rende attraenti le sventure degli altri, noi ridiamo di cose per cui non ci sarebbe da ridere. Siamo di fronte a personaggi terribili e cattivi, inseriti in una situazione di disgrazia" dice il direttore

Nel canto XXX dell’Inferno, Dante ci conduce nelle Malebolge, ottavo cerchio dove si trovano le anime fraudolente. Gianni Schicchi, cavaliere medioevale fiorentino, è qui collocato per aver usurpato prima l’identità e poi l’eredità alla famiglia di Buoso Donati. Giacomo Puccini scriverà un atto unico sulle vicende dello Schicchi inserendolo nel  trittico che si completa con “Il tabarro” e “Suor Angelica”. Puccini e il librettista Giovacchino Forzano optano per un’opera comica dove l’avidità di una famiglia per l’eredità di un congiunto è “punita” dall’avidità di un furbo ciarlatano.
 

Proviamo a rileggere un capolavoro del primo Novecento con il direttore Michele Mariotti che in questi giorni dirige la partitura al Teatro dell’Opera di Roma. Lo spettacolo si inserisce in un progetto più ampio, iniziato nella scorsa stagione, che si concluderà nella prossima: smembrare il trittico e ricomporlo in tre dittici dove una è l’opera pucciniana e l’altra è un lavoro del XX secolo. La scorsa stagione “Il tabarro” faceva coppia con “Il castello di Barbablù” di Bartók. Due storie accomunate dalla violenza e dall’assenza della famiglia. Barbablù aveva sette mogli segregate mentre nel “Tabarro” la morte del figlio porta a una crisi coniugale insanabile. Quest’anno, con “Gianni Schicchi” c’è  “L’Heure espagnole” di Maurice Ravel. Due partiture dove la famiglia è presente ma raccontata nella sua apparenza, nella finta e artefatta felicità. “Nell’“Heure espagnole” – dice Mariotti – abbiamo una moglie che se la spassa con gli amanti appena rimane sola senza marito. In ‘Gianni Schicchi’ una famiglia numerosa è dominata dall’ipocrisia e dalla fame di denaro”. 
 

Le vicende sono accompagnate da musiche molto differenti. Puccini esaspera le sonorità, dedica una romanza a Firenze e poi a Gianni Schicchi e Lauretta, scrivendo “una musica moderna, lui che fu il primo ad accorgersi che l’opera sarebbe morta se non fosse stata rinnovata”. Puccini così diventa il primo dei moderni “e non l’ultimo dei romantici”, chiosa Mariotti, “perché ancor prima delle melodie c’è il teatro, il ritmo teatrale. Penso anche a ‘Tosca’ o a ‘Fanciulla del West’ dove siamo già in atmosfera cabaret”. Puccini assorbe i mutamenti musicali che si affermano in area tedesca con Wagner “ma direi anche con Strauss”, una musica che spesso gli interpreti riducono alle sole grandi melodie pucciniane dimenticando l’arco musicale ma soprattutto la drammaturgia teatrale. 
 

Questa modernità modifica il “concetto” stesso di comico in musica. “Puccini svela prima di tutto un morboso carattere umano che rende attraenti le sventure degli altri – continua il maestro – noi ridiamo di cose per cui non ci sarebbe da ridere. Siamo di fronte a personaggi terribili e cattivi, inseriti in una situazione di disgrazia”. Alcuni esempi. Nella scena dove è occultato il cadavere di Buoso, la partitura vede addensarsi dissonanze sull’ostinato funebre. Violenti urti armonici caratterizzano “il moncherino” dell’“Addio, Firenze”. E poi le reiterate formule ritmiche che diventano una sorta di ostinato; la nettezza musicale con cui Puccini definisce ambienti e situazioni. “Proprio per questo – dice il direttore – c’è un grande lavoro con i cantanti. Provando l’opera mi sono spesso soffermato su alcuni aspetti. Pensi a ‘O mio babbino caro’ che spesso si confonde con un canto romantico. È il capriccio di una ragazzina che vuole soddisfare un suo desiderio minacciando di lanciarsi nell’Arno, fiume nel quale non morirebbe sicuramente. Ancora in ‘Addio, Firenze’, Puccini scrive un pianissimo per parlare del terrore impietrito, gelido, dei protagonisti informati delle conseguenze della loro frode”. 
 

“Alla fine dell’opera i due giovani innamorati sono quelli che godono perché possono coronare il loro sogno d’amore mantenendo una semplicità non ancora corrotta dalla vita”. E Schicchi? “Non penso sia il cattivo della storia – continua Mariotti – non avrebbe voluto commettere un falso ed è spinto dall’amore paterno, dal desiderio che potesse nascere una vera famiglia e non quel covo di serpi dei Donati”. Così l’attenuante che Schicchi chiede al pubblico non è una morale ma un approdo rappresentativo dove si coglie che si sta facendo teatro. Un distacco che è un’ulteriore prova di grande modernità