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La riflessione

Dal pulp mitologico a quello umano. Anche l'orrore può essere affascinante

Alberto Mattioli

Siamo andati alla mostra Schaurig Schön 2.0, remake di una vecchia esposizione viennese riallestita al castello di Ambras a Innsbruck. Come teorizzava Victor Hugo, anche l'horror può risultare perversamente "bello"

Altro che film dell’orrore, fiction pulp, letteratura splatter, delitti dell’estate, serial killer, maxi incidenti in autostrada, comizi di Conte e quant’altro di spaventoso ci consegna la nostra contemporaneità. Tutto è già stato ampiamente esplorato, cotto e mangiato, déjà vu. Come dimostra questa deliziosa mostra Schaurig Schön 2.0, più o meno “Spaventosa bellezza”, remake di una vecchia esposizione viennese riallestita, molto opportunamente, al castello di Ambras a Innsbruck, sede di una delle più celebri Wunderkammer europee, quella dell’arciduca Ferdinando II del Tirolo. La tesi è che anche l’horror può risultare perversamente “bello”, come del resto teorizzava Victor Hugo, shakespeareggiando nella prefazione al suo Cromwell. Si inizia, ovviamente, con le atrocità mitologiche, per esempio le innumerevoli spaventose teste di Medusa, anche da decapitata sempre con la sua permanente di serpenti come nel quadro di Rubens e Snyders (in arrivo da Brno, quindi finora mai visto). Poi, naturalmente, le polpose Andromede minacciate dal drago, i centauri randellati da Ercole e il povero Marsia scorticato. Qui piace assai la spada d’onore spedita da Papa Gregorio XIII al sullodato Ferdinando che al Brennero faceva la guardia contro l’eresia, con due draghi evidentemente luterani che incorniciano lo stemma dei Boncompagni-Ludovisi, un altro drago: sono finezze. Il pulp mitologico si salda con quello biblico: con il drago regola i conti san Michele, mentre per le teste mozzate c’è solo l’imbarazzo della scelta fra quella del Battista reclamata da Salome e quella di Oloferne mostrata da Giuditta. Il diavolo è onnipresente. Sull’elmo da parata “all’antica” dell’arciduca, realizzato a Milano già allora capitale della moda, sul dorso di una meravigliosa lira da braccio di Giovanni d’Andrea, ma anche nel carnevale dei contadini tirolesi, quando il costume da Lucifero prevedeva ali da drago sulle spalle e, in testa, una maschera cornuta e con la lingua fuori. Insomma, il demonio fa anche le boccacce.

Da Wunderkammer, appunto, la raccolta delle mostruosità “naturali” (Ferdinando collezionava anche esseri umani bizzarri, i soliti nani da corte ma anche giganti – nell’armeria c’è il costume per un tipo alto due metri e 60, peccato non avessero ancora inventato il basket – oppure un uomo-scimmia completamente coperto di peli, faccia compresa), vere o immaginarie. E allora avanti con i serpenti, le sfingi, i grifoni, le idre, i satiri e un corno di narvalo, attribuito però all’unicorno e accreditato di mirabolanti poteri taumaturgici. La bestia più feroce, però, resta l’uomo. E così una sezione è dedicata a celebri crudeli, tipo il capo ussita Jan Zizka, in Boemia considerato semmai un eroe nazionale, qui in un ritratto molto torvo che lo presenta come “avariciae clericorum severus ultor”, severo vendicatore dell’avarizia dei clerici. Naturalmente non manca il conte Dracula, accompagnato da una veduta della città transilvana di Papa dove la gita fuori porta è rallegrata dalla vista di cinque disgraziati impalati, mentre il palo del sesto lo stanno alzando con lui già infilzato sopra e un settimo sta dicendo le sue ultime preci, brrr. Il gran finale non può che essere dedicato a Sorella Morte, con un po’ di memento mori che il bravo cattolico controriformista e barocco tiene sempre con sé per meditare. Tutti Amleti con il teschio full time in mano, pare: ma alcuni sono deliziosi, come la testa double face (Germania, prima metà del Seicento, avorio), metà viso e metà teschio, e con i vermi al lavoro; o come lo scheletrino da tavolo di Hans Leinberger, una meravigliosa Morte ghignante che tiene in mano arco e frecce. Ma forse il pezzo migliore è un olio di Gian Battista Langetti sul suicidio di Catone il giovane, già protagonista dell’unico libretto di Metastasio che va a finire male, mentre si allarga la ferita al ventre dalla quale iniziano a uscire le viscere. Quadro bellissimo, ed ennesima dimostrazione di questa mostra per stomaci forti che l’orrore può essere affascinante; e il brutto, bello.

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