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I libri degli altri -3

Il romanzo della scienza. Far appassionare i giovani alla matematica? Con i libri giusti è possibile.

Marco Archetti

Ecco i titoli di Alfio Quarteroni, numero uno italiano in materia. Conversazione su ChatGPT, i tipi da festival letterario e la divulgazione

Per tutta l’estate, ogni settimana sul Foglio troverete l’appuntamento di Marco Archetti con un “bibliomane” diverso. Interviste a intellettuali, professori e scrittori per farci raccontare i libri che li hanno formati e appassionati. L’11 luglio abbiamo pubblicato “Libri che pensano”, intervista al filosofo Umberto Curi, il 18 “Alla ricerca i Proust”, a colloquio con la francesista Mariolina Bertini


 

“Se la mia Buick possiede lo stesso libero arbitrio di Nikolaj Stavrogin, state alla larga” (Woody Allen, “Zero Gravity”).

 

Subito i numeri. Alfio Quarteroni: primo matematico italiano nel 2022, quarantottesimo al mondo nel ranking Top Mathematics Scientist di research.com, 55.000 citazioni registrate da Google Scholar e un indice H pari a 91 (l’indice H è un criterio di calcolo che prende l’iniziale dal cognome di chi l’ha introdotto, cioè il fisico Jorge E. Hirsch, e indica la prolificità e l’impatto del lavoro; come se ogni studioso fosse, per così dire, una causa di cui misurare gli effetti). 

Ora qualche dato: fa ricerca nel campo dell’analisi numerica con applicazioni alla meteorologia, alla medicina, all’ingegneria e all’aerodinamica. A sua firma – quasi un compendio degli ambiti indagati – il volume Le equazioni della pioggia, del cuore e delle vele: modelli matematici per simulare la realtà, per Zanichelli. I suoi, di modelli, erano sul tavolo di Mario Draghi quando si doveva decidere se aprire o chiudere. E’ stato docente in Italia e all’estero (straordinariato a Brescia, poi ordinariato a Milano, Minneapolis e Losanna), direttore della cattedra di modellistica e calcolo scientifico presso la Scuola politecnica federale di Losanna, fondatore del Laboratorio di modellistica e calcolo scientifico del Politecnico di Milano. Premi internazionali per le scienze, membro dell’Accademia dei Lincei, una laurea Honoris Causa in ingegneria navale a Trieste, protagonista di una conferenza plenaria al Congresso internazionale dei matematici nel 2006 a Madrid, numerosissime pubblicazioni, la maggior parte delle quali per Springer di Berlino, l’editore scientifico più importante. Giusto per annaffiare con un po’ di champagne cotanta carriera, si è tolto lo sfizio semimondano di vincere una Coppa America con Alinghi, il team di vela per il quale si è occupato di applicare modelli matematici per ottimizzare la configurazione del natante.

Infine, noterella a margine prima di proseguire: questa appena letta è solo la sintesi maldestra e approssimativa di un curriculum col quale si potrebbe impacchettare, alla maniera di Christo e Jeanne-Claude, la Statua della Libertà.

L’uomo, tuttavia, non ne risente. Anzi, arriva leggero, senza zavorre d’autocelebrazione, senza segnacoli, coturni o ghingheri inutili, azzurro di sguardo, azzurro di giacca, azzurro di camicia, alto, in jeans, affilato e disinvolto, un non eccellente rapporto con le chiavi nell’aprire e chiudere lo studio che ospiterà la nostra conversazione. Ci accomodiamo e, per prima cosa, regola alcune questioni: risponde a una mail dagli Usa in un gagliardo galoppo di polpastrelli, quindi riaffiora e si dichiara a disposizione. 

“Sono nato nel 1952 a Ripalta cremasca, in una casa senza libri. Mio padre aveva la seconda elementare, mia madre la terza. Famiglia contadina. Ero molto stupito dal fatto che mio fratello, che non voleva studiare e che si è messo a lavorare a quattordici anni, nella camera da letto che condividevamo con uno zio, avesse tantissimi romanzi… Le dico la verità: all’epoca mi sembrava una cosa bizzarra, un po’ inutile. Un suo libro che mi colpì e lessi, divorandolo, fu La ragazza di Bube di Carlo Cassola. Io venivo da Tex, Capitan Miki e Diabolik…”. Quarteroni si racconta senza reticenze, del tutto svincolato – ed è un piacere, per una volta – dall’obbligo di imbandire una qualche messinscena di sé. Diabolik lo pronuncia Diabolìk, il che è commovente e suona d’antan – Wikipedia segnala che la pronuncia corretta non sia nemmeno quella che crediamo noialtri saputelli, Diabòlik, bensì Diàbolik, ma mancano riscontri autorevoli. “Poi a quei romanzi mi sono dato anch’io,” prosegue. “E mi sono letto tutto Fenoglio, tutto Pavese. Romanzi ambientati durante la Resistenza, pervasi da un alone di romanticismo. Non avevo alcuna coscienza critica o storica, per me erano come grandi romanzi d’avventura ambientati in luoghi simili a quelli dove vivevo io, in cui si faceva un gran parlare di socialismo. Erano grandi epopee, le si leggeva come quando si guardano i western. Credo che da bambino nessuno si facesse domande sulla condizione dei nativi, no? E comunque: soldi, pochissimi. Infatti i fumetti ce li si passava. Rarissimo comprarli. Sarà successo qualche volta, ma poche”.

Lo sguardo gli brulica negli occhi, le dita impazienti e spesso tamburellanti. C’è, in tutta la sua figura, perfino nel modo di star seduto, un che di impaziente, di aerodinamico. Bracca i pensieri e poi te li comunica così, senza farli passare prima dal Trucco. “Io ho fatto studi tecnici, le materie umanistiche si facevano davvero all’acqua di rose… Mi sono diplomato molto bene, meglio di tutti, in anni in cui i voti non si regalavano. Poi feci la maturità e la logica delle cose era che mi mettessi subito a lavorare – mi aspettava il posto in banca. Senonché la commissione di diploma, nel trovarsi davanti i miei voti, il mio rendimento, visto che dimostravo di avere qualche talento, ha insistito perché continuassi. A quel punto entrai davvero in crisi. Mi chiedevo: che faccio? Poi decisi di iscrivermi a Matematica, perché era la materia che conoscevo di meno e con la quale volevo misurarmi. I primi mesi fu difficilissimo, non capivo concettualmente l’approccio. Non ingranavo”. Poi il decollo. Un Boeing. “Ma non fu istantaneo. Io venivo da un percorso molto tecnico: partita doppia, tecnica bancaria, dare avere, e non capivo l’astrazione. Dopo la laurea, parto militare e mi arruolo in una batteria della Nato a Rivoli”. E racconta un servizio militare itinerante, in giro a fare esercitazioni. “Sei mesi di corso, poi nove mesi in montagna, tra Piemonte, Valle d’Aosta ed Europa. Una volta alla settimana, licenza speciale: seguivo i corsi del professore con cui mi ero laureato a Pavia”. Una vita colma come una caraffa. Tempo, poco. “Una costante della mia vita. Ma nonostante questo mi è sempre piaciuto molto leggere. Seppur non in modo sistematico. Amos Oz, David Grossman, Eshkol Nevo li ho divorati. Raccontano storie interessanti, hanno il pregio della sintesi però non rinunciano al racconto. Mi sembra di cogliere, in loro, una specie di capacità scientifica di organizzare la storia. Poi ci sono quelli che mi hanno regalato un mondo più favolistico, come Gabriel García Márquez o Isabel Allende. Amo molto anche Mario Vargas Llosa. Narrano di mondi che non conosco e mi permettono di viaggiare, garantendomi sempre uno sfondo storico e la possibilità di collocare le cose che raccontano. Ma anche letture più leggere: La cattedrale del mare di Ildefonso Falcones e L’ombra del vento di Carlos Ruiz Zafón. Elena Ferrante. Ho figlie che sono lettrici assidue, mi consigliano molto. L’ultimo romanzo italiano letto è stato Il colibrì di Sandro Veronesi, molto bello. Poi Manzini, tutto Camilleri, i gialli italiani… li conosce anche lei”, e ride. “In questi giorni mi sto dedicando a molti testi specialistici sull’intelligenza artificiale. In ogni caso, in area scientifica e divulgativa, ho i miei immancabili, magari ne parliamo dopo. Mi dica lei”. 

Desta una grande impressione l’evidente understatement di un uomo come Quarteroni, data la dolomitica levatura. Ogni suo discorso differisce, rimanda a più tardi, venato da un timore di inessenzialità come se ci fosse sempre da dire altro, di più importante che non riguardi lui. “Uno scienziato ha inevitabilmente il senso delle proporzioni”, considera come se fosse ovvio. “Siamo consci che ogni nostra intuizione, pur brillante, non è che un vagito. Poi, per carità, le primedonne ci sono anche qui, ma il numero è molto ridotto. Ha visto le classificazioni di Google Scholar, no? Diciamo che lì non si può bluffare. Lì non contano la mediaticità, l’esposizione. Contano i fatti. Con gli scrittori, invece…”. Invece? “Un mondo che ho conosciuto entrandoci in punta di piedi. La storia è lunga, magari…”. La storia, prego. Eccola: quella di un pesce fuor di editoria. “Sono un habitué del Festival di Polignano, Il libro possibile. Alle prime edizioni andavo, ma non avevo pubblicazioni al di fuori di quelle scientifiche. Ricordo che all’inizio, quando mi chiamarono, fui costretto a rifiutare il loro invito ma mi dispiacque, quando posso vado volentieri nelle scuole per stimolare i ragazzi. In questo paese abbiamo pochissimi laureati nelle scienze dure – ogni tre posti, noi disponiamo solo di una persona, un vero dramma. E il problema sa dov’è? La prospettiva. Manca. Del resto, se uno si appassiona alla filosofia, alla fisica, alla letteratura inglese, non ha bisogno di chiedersi perché si appassiona. Se io devo parlare della matematica ai ragazzi, è più difficile. Allora parto sempre dalla realtà. E dalla fine. E dico loro: senza la matematica voi non sareste qui oggi, perché non avreste potuto nemmeno prendere un treno. E vado con gli algoritmi di ottimizzazione. Sennò è come pensare di far innamorare della musica un bambino facendogli fare un anno di solfeggio. E’ il caso di fargliela ascoltare, prima, o no?”. Vero. Ma va detto che la bibliografia in materia è spesso un po’ ostica. “Dipende. C’è un libro che amo molto, di Ivar Ekeland. Si intitola A caso. La sorte, la scienza, il mondo: sei capitoli per parlare degli aspetti matematici del caso, da Gödel ai sistemi complessi, dalla teoria della decisione alla valutazione delle probabilità. Si fidi”. Va bene, segnato. “Se posso, aggiunga Sapiens, breve storia dell’umanità di Yuval Noah Harari – un libro che rivede tutto il passato alla luce del presente e pone molte domande sul futuro – e Gödel, Escher, Bach: un’eterna ghirlanda brillante, di Douglas Hofstadter, sugli intrecci tra matematica, arte e musica – parla di intelligenza artificiale e di creatività umana. Ma dicevamo. Negli anni sono diventato un habitué del festival Il libro possibile. Il rapporto nacque così: a margine di un incontro con una scuola di Bari, Rosella Santoro, la direttrice artistica, mi chiede di partecipare. Io accetto e mi ritrovo sul palco, per l’evento di chiusura, con Ferruccio de Bortoli e Maurizio De Giovanni. Il mio libro Algoritmi per il nuovo mondo nasce anche da lì: avere un alibi per poter tornare a quel festival. Si tratta di un libro semplice, accessibile, posso dire: da treno? A questo festival ho conosciuto tanti scrittori. E mi sono fatto un po’ un’idea di questo mondo, che è un mondo di persone di grande successo. Alcune, di grande valore umano. Altre no. Anzi”.

(E sì – consideriamo – che non se ne capiscono le ragioni, dopotutto l’intelligenza artificiale i romanzi li sa scrivere, e in una prosa spesso competitiva, parlando di giallisti italiani).

Il professore si rilassa, un po’ si ride e un po’ si divaga. Salta fuori un gioco: chiediamo all’IA chi è Alfio Quarteroni? Lo fa lui, divertito. Risultato: ChatGPT sbaglia molto, perfino la data di nascita, poi tralascia attività importantissime e ne cita di minori, come se non lo fossero. “Migliorerà,” garantisce il professore. “Ma il tema è un campo minato, minatissimo. Proviamo a fare ordine? Un libro fondamentale, molto serio  e ben fatto, è di Massimo Chiriatti: Incoscienza artificiale. Come fanno le macchine a prevedere per noi. La stampa, invece, è sempre mediamente allarmistica, ma mediamente poco informata”. Si fa presto a dire intelligenza artificiale, ma mettersi a studiare significa tuffarsi di testa in un ginepraio. “IA vuol dire molte cose: c’è quella legata all’hardware, cioè a tutto ciò che renderà agevole la vita all’uomo, il cui sviluppo è inevitabile – è nello streamline dello sviluppo tecnologico. C’è la parte della guida autonoma, che spaventa molto, e presenta problemi etici e giuridici – il valore della vita non è uniforme in ogni parte del mondo. Poi il vero grande problema: pochi player al mondo detengono i dati di tutti, e hanno altre finalità che non l’etica”. Domanda: gli algoritmi intelligenti riusciranno a diventare più intelligenti degli umani? Fino a dove si può spingere l’IA? “Stiamo parlando di una zona ancora grigia, e ChatGPT è solo un aspetto. Dovendo sintetizzare il lavoro che fa, noi lo definiamo ‘pappagallo probabilistico’. L’intelligenza non è senziente. Non c’è nessuno dall’altra parte. Solo algoritmi. Quindi, se vogliamo usarla per farci aiutare, bene; se vogliamo usarla per farle prendere decisioni al posto nostro, male. Ma non possiamo pensare alla sua criminalizzazione in toto, perché è un fiume in piena. Pensi al nucleare: lo possiamo usare per debellare con grande precisione un tumore, ma – volendo – anche per minacciare l’universo, come sta accadendo ultimamente”. Più ottimista o pessimista? “Ottimismo scientifico, sempre.” Fogliante ad honorem.

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