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cronaca e storia

“Questa storia è un romanzo già così” può dirlo solo Wilkie Collins

Marco Archetti

La raccolta “True Crime” di una penna che vola sulla pagina, tra storie vivissime, capace di inchiodare caratteri, vanità e loscaggini

Essere amico di qualcuno è, da sempre, segno particolare della biografia di certi scrittori, per lo meno a leggere certe alette e certi paratesti dell’editoria. Non male anche la definizione di sodale – di solito è “sodale di D’Annunzio”. Cornelio Nepote fu amico di Catullo. Isaac B. Singer ci raccontò “un amico di Kafka”. Poi vennero gli amici di Gadda e gli amici di Pasolini. Gli amici di Pavese e gli amici di García Márquez. Sempre numerosi gli amici di Italo Calvino. Per anni Italo Svevo fu, soprattutto, un amico di Joyce.  

 

Curioso che uno scrittore che sugli amici ha aperto il fuoco – la vera e propria persecuzione che possono rappresentare è il centro delle acidissime divagazioni di “Salvatemi dagli amici” – sia stato, per anni, identificato esclusivamente come “amico di Dickens”. Per carità, tutto vero: era tra i pochi che Charles invidiava quanto a capacità di scrittura e venne ospitato spessissimo tra le pagine dei suoi periodici (l’Household Words prima, l’All the Year Round poi, dove videro la luce “La pietra di luna” e “La donna in bianco”). Poi co-firmarono commedie (“The Frozen Deep”) e racconti (“The Lazy Tour of Two Idle Apprentices”), e furono inseparabili per almeno dieci anni. Ma – attenzione – Wilkie Collins ha un’indiscutibile autonomia letteraria. Un indiscutibile valore non vicario. Ed è stato un narratore da far invidia. 

 

True Crime. Grandi casi di cronaca nera della storia europea” (elliot edizioni, 128 pp., 15 euro) è lì a dimostrarlo. Si tratta di una raccolta di scritti selezionati da “My miscellanies”, opera che raccoglieva tutti quelli pubblicati da Collins per i due periodici dickensiani appena menzionati. E tutti – evidentemente – a tema criminale. 

“La vita di questa donna è di per sé un romanzo”. Ecco una frase letale. Chi la pronuncia, di solito, non ha la minima idea di cosa significhi costruirlo, un romanzo, e di quali strumenti servano. Lo dicono anche gli amici e i parenti durante le cene: “Ehi, tu che scrivi, senti qua, ho una storia che è un romanzo già così”. Ma niente è un romanzo già così. In un caso solo – uno solo al mondo – la frase può esser presa in considerazione, e cioè se lo dice mister Collins. E lo dice, lo dice cominciando il racconto della regina Cristina di Svezia, che comandò l’omicidio del marchese Monaldeschi, un italiano bello e ossequioso, a Fontainebleau nel 1657. Anzi, leggendolo ci si convince che sia plausibile addirittura il contrario, ossia che il romanzo, con tutte le sue risorse, con tutti i suoi immaginosi ghingheri lustrati anche col contributo di una IA, annaspi impotente al cospetto delle vicende della vita di una donna come quella. Una donna che a sei anni fu regina, dopo quattro abdicò a favore del cugino e voltò le spalle al trono ereditario scegliendo di fare la viaggiatrice indipendente e di girare in lungo e in largo l’Europa: la storia di una regina che rifiutò la pompa per la conoscenza, il privilegio per l’avventura, e che incontrò tutte le più importanti menti della sua epoca. “Regina errante” la chiama Collins, e poi snocciola un racconto irresistibile fatto di ipocrisie, tradimenti e intrighi cardinalizi – polpastrelli al galoppo per girar pagina e saperne di più.

 

Le storie che racconta Collins sono vivissime, appendice pura, scritte con la penna alata che conosciamo, capace di volare sulla pagina e di inchiodare caratteri, vanità, loscaggini: zuppe e arsenico, deposizioni e sentenze, provincia triste e vedove attraenti, dicerie e indagini nel passato, parroci inguaiati e, infine, il racconto memorabile di un ladro leggendario come Poulailler, nato in circostanze misteriose, figlio adottivo del diavolo. Sarà alla testa di un esercito di ladri noti per truculenza, scelleratezza, destrezza. Metteranno a segno rapine prodigiose, terrorizzeranno Parigi, faranno volare coltelli. Poulallier verrà giustiziato proprio nella capitale. Nello stesso istante, nel villaggio bretone in cui era nato, i pescatori giureranno di aver visto lui e il diavolo, nell’oceano infuriato, a remare urlando tra fulmini e bagliori spettrali, mentre “un clamore di voci diaboliche gridavano in un modo spaventoso, augurando ai due un buon viaggio”.
 

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