via operadeparis.fr

The Royals all'Opera

Un Händel sublime a Parigi. Regia capolavoro di Carsen, con molta ironia sui Windsor

Alberto Mattioli

Il maggior regista d’opera al mondo mette in scena “Ariodante”, che per l'occasione diventa un William ancora con i capelli. In attesa dell'incoronazione, tre ore abbondanti di gran spettacolo con lieto fine

Altro che gala per l’incoronazione o “royal command performance” come ai bei tempi di Vittoria Imperatrice e Regina, e per la verità anche dopo. All’opera l’imminente intronizzazione di Carlo III scatena semmai l’ironia. Vero che si tratta dell’Opéra di Parigi, ma il responsabile, in quanto canadese, è pur sempre un suddito dell’incoronando. Si tratta di Robert Carsen, il maggior regista d’opera del mondo, che a Garnier mette in scena Ariodante di Händel, anno di molta grazia musicale 1735. La fonte del libretto, in effetti, è l’Ariosto, un episodio minore dell’Orlando furioso. Ma ambientato in Scozia, alla corte di un re innominato la cui figlia Ginevra, che ama riamata il prode Ariodante, rimane vittima delle trame del suo innamorato respinto, il malvagio Polinesso “duca d’Albania” che è poi l’italianizzazione di Albany (un duca albanese intrigante a Edimburgo sarebbe stato tanto anche per uno che mandava i paladini a spasso sulla luna). Lieto fine dopo tre ore abbondanti di arie col daccapo, una più sublime dell’altra.

 

Carsen firma il suo ennesimo capolavoro. La reggia, si capisce subito, è Balmoral, il castello scozzese dei royals con il suo arredamento “etnico” e superkitsch: la camera da letto di Vittoria, così innamorata dei luoghi da pubblicare perfino un imbarazzante Diario della nostra vita nelle Highlands (e Disraeli, per adularla, la apostrofava così: “Noi autori, Ma’am”) è riprodotta in scena pari pari, idem la biblioteca. I reali prendono di mira i cervi, sono presi di mira dai paparazzi, assistono alla danza delle spade, fanno merenda sui prati, insomma si comportano proprio come i Windsor a Balmoral, dove i rari invitati erano sottoposti alla micidiale prova del picnic, con quel grigliatore seriale di Filippo che cuoceva (poco) le costate e Elisabetta che riponeva nei tupperware l’insalata avanzata. Sommerso da chilometri di tartan, Ariodante è un William ancora con i capelli (si tratta di un mezzosoprano, canadese pure lei, Emily D’Angelo, perché la parte fu scritta per il grande castrato Carestini); suo fratello Lurcanio, il tenore Eric Ferring, è rossiccio di barba e capelli come Harry; Ginevra, Olga Kulchynska, è una Kate altrettanto stilé e sempre controllatissima, almeno finché non si crede disonorata e allora si aggira per la reggia in déshabillé bianco come una Lucia di Lammermoor che ha esagerato con il whisky.

 

Quanto a Polinesso, è un controtenore francese specialista delle parti da cattivone (questa e Tolomeo del Giulio Cesare sono i suoi cavalli di battaglia), Christophe Dumaux, strepitoso nella sua malvagità al quadrato. Insomma, tutto lo spettacolo è meravigliosamente perfido come sa esserlo Carsen quando decide di divertirsi e divertirti, con punte di genialità nel finale quando finalmente, svelate le macchinazioni e trionfato l’amore, le due coppie, Ariodante con Ginevra e Lurcanio con la di lei amica Dalinda, l’altro soprano, Tamara Banjesevic (brava ma per nulla Megan) tolgono finalmente le loro gabbane a scacchi e se ne vanno in vacanza in bermuda. Il castello viene così aperto ai coristi-turisti, ma nella grande galleria, al posto delle armature, ci sono le statue di cera di Carlo & famiglia. E qui gran risate e applausi dell’Opéra, dove peraltro si sfonda una porta aperta perché l’unico popolo più intimamente monarchico dei britannici sono, appunto, i francesi. Infatti sui giornali si parla dei Windsor molto più che di Macron.

 

Festa per occhi e godimento per le orecchie. Harry Bicket non sarà un prodigio di fantasia, ma assicura buon ritmo, giusti contrasti e plausibilità händeliana, tanto più che l’English Concert è al solito impeccabile. Tutti cantano piuttosto bene, anche se di super virtuosi “assoluti” non ce n’è nemmeno uno. La D’Angelo però è molto intensa nella famosa aria patetica “Scherza, infida” che è la gemma dell’opera e una delle vette del teatro musicale di tutti i tempi. Nel complesso, aspettando quello di sabato prossimo in diretta da Westminster, gran spettacolo: chi può, non se lo perda (ma attenzione perché la Francia attraversa una fase di scioperite acuta, e se le recite sono annullate o trasformate in concerti lo si scopre all’ultimo momento). Quanto all’incoronazione di Carlo, per quella di sua madre di gloriosa memoria fu commissionata a Benjamin Britten un’opera, Gloriana, che si è rivelata con il tempo uno dei suoi capolavori. Segnalo che da noi non è mai stata rappresentata. Se qualche teatro italiano volesse graziosamente darsi una svegliata…