Frame da "West side story", nuovo film di Steven Spielberg

nuove manie

Ora tutti vogliono rifare Shakespeare

Maurizio Stefanini

Non solo l’ultimo film di  Spielberg, anche il “Macbeth” alla Scala  e le mille versioni di “Romeo e Giulietta”. La corsa a reinterpretare i capolavori del Bardo

Il più sublime copione della storia letteraria mondiale, ma giustamente anche il più copiato, o per lo meno rifatto. L’ultimo a provarci è Steven Spielberg, di cui a Natale esce per la Walt Disney “West Side Story”, remake del musical che debuttò a Broadway nel 1957, e che portato sullo schermo giusto sessant’anni fa si fece dieci Oscar. “Il film più arduo della mia carriera”, dice un regista che pure è  già leggenda, e che spiega ora di essersi innamorato della storia dopo aver sentito da bambino  la colonna sonora di Leonard Bernstein e Stephen Sondheim. Spielberg rifà dunque il film di Robert Wise e Jerome Robbins, che aveva rifatto la commedia musicale. Ma la commedia musicale a sua volta aveva rifatto “Romeo e Giulietta”, spostandoli dalla Verona del Duecento al West Side newyorchese degli anni Cinquanta, ribattezzandoli Tony e Maria, trasformando i Montecchi e Capuleti nelle due bande rivali degli “americani” Jets e dei portoricani Sharks, e condendola con una quantità di musica e balli. Sullo sfondo della 68esima e 110sima strada, prima della loro demolizione. 

Almeno una quarantina le  versioni cinematografiche che  sono state dedicate a “Romeo e Giulietta”. Un certo successo lo ebbe ad esempio, nel 1996,  “Romeo + Giulietta di William Shakespeare” di Baz Luhrmann, in cui  Romeo era un Leonardo DiCaprio ventiduenne. Manteneva intatti i dialoghi ma spostava l’ambientazione a oggi: facendo diventare Verona la Verona Beach, località in riva al Lago di Oneida, nello Stato di New York; rappresentando le famiglie rivali come potenti imperi d’affari; sostituendo alle spade le pistole. Ma abbiamo anche, ad esempio, un  “Giulietta, Romeo e le tenebre”, film ceco del 1960, in cui Giulietta è una ragazza ebrea che l’innamorato cerca di nascondere alla Gestapo durante la Seconda guerra mondiale. C’è pure un “China Girl” del 1987,  ambientato sempre a New York, in cui Romeo è un piazzaiolo di Little Italy e Giulietta la sorella di un boss di Chinatown.   Un “Romolo + Giuly: La guerra mondiale italiana” data a puntate su Fox nel 2018, in cui la faida è tra i pariolini di Roma nord e i coatti di Roma sud.  E vari cartoni animati tra cui il disneyano “Il re leone II - Il regno di Simba”, sequel di un “Re Leone” invece ispirato ad “Amleto”. Piuttosto alla lontana, va detto. Poco più che il tema del figlio che deve vendicare il padre ucciso dallo zio, e poi i due innamorati appartenenti a famiglie nemiche. Ma quest’ultimo, se vogliamo, era un plot di cui faceva largo uso e abuso anche Emilio Salgari: il Corsaro Nero e la Honorata figlia dell’assassino dei suoi fratelli; Sandokan e la anglo-italiana Marianna; Tremal-Naik e l’inglese Ada; il figlio del capo dei thugs e la figlia di Tremal-Naik e Ada…   

A proposito di Disney, entrambe le storie sono state anche messe in parodia sul Paperino italiano. Del 1979 è “L’amorosa istoria di Papero Meo e Gioietta Paperina”, in cui Papero Meo-Paperino è nipote del ricchissimo e anziano Monticchio-Paperon de’ Paperoni, e Gioietta Paperina dell’arrogante Capitan Bulletto-Rockerduck. Alla fine però, invece di morire, i due partono per l’America appena scoperta da Cristoforo Colombo, dando inizio alla stirpe di Paperopoli. Rispettivamente del 1960 e del 2016 sono “Paperin Amleto principe di Dunimarca” e “Il principe Duckleto”. 

Al cinema esistono diverse versioni di “Amleto” che rispettano integralmente vicenda e dialoghi, ma in abiti di epoche diverse. Il XIX secolo nel film di Kenneth Branagh del 1996, con Ofelia interpretata da una Kate Winslet ancora fresca di “Titanic”. Nel XX secolo  “Hamlet 2000” di  Michael Almereyda, appunto del 2000. Nel XXI secolo è ambientat “Hamlet”, fatto dalla Bbc nel 2009. Ma c’è anche “Il resto è silenzio”, film tedesco del 1959 su una famiglia di magnati della Ruhr in cui il padre del protagonista è stato denunciato alla Gestapo dalla moglie e dal fratello; e  “Amleto si mette in affari”, film finlandese del 1987 su una famiglia di industriali del legno.
Tutti a copiare e rifare William Shakespeare, insomma! Solo che, appunto, anche il Bardo aveva in realtà copiato. E non solo “Romeo e Giulietta”, ma praticamene tutto. Su undici tragedie, dodici commedie, dieci drammi storici e quattro drammi romanzeschi che ha scritto, non ce ne è in realtà neanche uno che sia farina del suo sacco. Ma a parte alcune cose prese da grandi storici classici come Plutarco, praticamente nessuna delle opere da lui saccheggiate è oggi ricordata, se non per essere stato appunto saccheggiata da lui.  Dalla “Vita di Amleth” di Saxo Grammaticus a “Un capitano moro” di  Giambattista Giraldi Cinzio o alla “Giulietta e Romeo di Matteo Bandello”. Però, appunto, una volta che sono state da lui rilanciate, tutte queste trame sono diventate talmente potenti che continuano a venire ricucinate in una quantità di salse.

Probabilmente ancora più ripresa di “Romeo e Giulietta”, ad esempio, è “Macbeth”: storia di un golpista traditore che diventa re ma viene poi travolto dall’aver creduto a profezie fasulle. Il personaggio è in realtà veramente esistito: nacque nel 1005, divenne re di Scozia nel 1040 e fu ucciso in battaglia il 15 agosto 1057. Pare che in realtà fosse un re saggio e semmai golpisti i suoi nemici, ma da loro discendeva il Giacomo I, re al momento in cui la tragedia andò in scena, e Shakespeare ne fece allora un cattivo appunto shakesperiano. Anche di questa storia è andata adesso in scena alla Scala una ambientazione in abiti moderni, “con giacca ma senza cravatta” e con sigarette elettroniche, sia pure non direttamente della tragedia di Shakespeare ma dell’opera lirica di Giuseppe Verdi da essa tratta. La scelta di lasciare intatti i dialoghi ma in costumi e contesti differenti dall’ambientazione originale viene oggi fatta abbastanza spesso  nel teatro lirico: il primo regista a far rappresentare un Macbeth in abiti moderni fu nel 1923 Barry Jackson al Birmingham Repertory Theatre, ma il grande funambolo di questa idea fu Orson Welles, per alcune ambientazione shakesperiane. Memorabili, in particolare,  un “Macbeth” con attori neri  ambientato a Haiti e con stregoneria vudu;  e un “Giulio Cesare” in uniformi fasciste.   

Un “Giulio Cesare” messo in scena da detenuto di Rebibbia è invece “Cesare deve morire”, film del 2012 di Paolo e Vittorio Taviani. Anche il “Julius Caesar” dalla tragedia di Shakespeare messo in musica da Giorgio Battistelli con prima all’Opera di Roma lo scorso 20 novembre viene ambientata nella Roma di oggi.  “Vediamo il Senato di Roma così com’è ora e sulla scena si muovono uomini politici in abiti moderni”, ha spiegato il regista Robert Carsen. Un Macbeth nero è anche il protagonista di “uMabatha”: opera teatrale scritta nel 1970 dal sudafricano Welcome Msomi, che traduce nei termini della cultura zulu di inizio Ottocento non solo l’ambientazione ma perfino i nomi. Da Mabatha a Dangane. Ma il Macbeth trasposto più famoso è probabilmente quello del “Trono di sangue”, ambientato da Akira Kurosawa nel Giappone delle guerre civili del XVI secolo, e messo in scena utilizzando la tecnica espressiva del teatro No. Ventotto anni dopo, nel 1985, Kurosawa farà la stessa operazione con il “Re Lear”: solo che il re di “Ran” non si trova alle prese con tre figlie femmine ma con tre figli maschi. Ma già un Re Lear con figli maschi era il western del 1954 “La lancia che uccide”. E toni da Re Lear ha pure nel 1990 “Il Padrino Parte III” di Francis Ford Coppola. 

Ma in tutta l’Asia va di moda rappresentare in teatro Shakespeare in costumi locali. La trama di Macbeth è una di quelle che affascina di più, e molte di queste trasposizioni sono pure state portate sullo schermo in stile Bollywood.  “Maqbool”, ad esempio, è un adattamento in hindi del 2004 ambientato tra i criminali di Mumbai. “Veeram”, del 2016, è in malayam, nell’India del XIII secolo. “Joji”, pure del 2016, è pure in malayam, tra criminali moderni. E “Mandaar”, di quest’anno, è in bengali, ambientato in un villaggio di pescatori del  Bengala.

La suggestione di spiegare Macbeth nella chiave di uno scontro tra bande di gangster viene però dall’America. “Joe Macbeth”, del 1955, era ambientato a Chicago, mentre  “Teenage Gang Debs” del 1966 è tra una guerra tra bande minorili, e “Uomini d’onore” del 1990 con John Turturro e Rod Steiger si svolge tra mafiosi italo-americani. “Macbeth - La tragedia dell’ambizione” del 2006 è tra spacciatori di Melbourne. Ma in ogni contesto ci può essere una fetta di potere per cui tradire e uccidere: anche per diventare Masterchef: “Scotland, PA”, del 2006, si svolge infatti in un ristorante fast food a Scotland, in Pennsylvania. E  “ShakespeaRe-Told”, serie Bbc del 2005, pure in un ristorante, ma a Glasgow. Nel 2012 uno “Shakespeare deve morire” su un gruppo teatrale che in Thailandia mette in scena il Macbeth fu addirittura vietato dal governo, per i riferimenti che aveva alla repressione nel paese. 

Non c’è invece finora mi stata una parodia disneyana di Macbeth, ma solo una comparsa del personaggio in quella saga in cui Dan Rosa ha raccontato gli antenati di Paperon de’ Paperoni. In compenso una notevole trasposizione della storia sul fumetto nel contesto del West di inizio ‘800 è in due albi di Zagor del 2003: “L’avamposto dei trappers” e “La maschera sul volto”, dove Bill Eyck uccide il  vecchio McKean per prenderne il posto alla guida della Compagnia americana delle Pellicce seguendo la profezia di Faccia Falsa, un misterioso sciamano irochese che cela la sua identità dietro una inquietante maschera lignea. Dopo che Zagor e Cico hanno fatto conoscenza con Bill Eyck, McKean appare a pagina 12, e Taylor, l’amico poi rivelatosi a sua volta traditore,  entra portandogli in regalo un libro. “Me l’ha venduto un locandiere per cinque dollari…”. “Cos’è? Una Bibbia?”. “No, è un libro di un certo Will Shakespeare… dicono che sia il miglior scrittore del mondo”. E si legge la copertina: “Shakespeare Macbeth”. “Non ci vedo più come un tempo, leggere mi affatica la vista”. “Vorrà dire che lo leggerò io e te lo racconterò”. “Adesso occupiamoci di cose più serie, dei nostri affari”. Il libro ricompare alla fine, quando Faccia Falsa lo dà a Zagor. “Prendilo! E’ una storia molto istruttiva. Tutti dovrebbero leggerla!”. “Lo leggerò, un giorno o l’altro”. “Comunque sai già come va a finire!”. 

Ma ancora più attuale è “Otello”, con le sue tematiche interrazziali. A parte un “Paperino Otello” del 1972 che era però ambientato nel Cinquecento, originale sia pure narrato oggi, c’è un “All Night Long” del 1961, nella Londra dell’epoca; un “Kaliyattam” indiano del 1997, nel Kerala di oggi;  un “O come Otello” del 2001, ambientato in un liceo americano; un “Othello” pure del 2001, su un commissario nero della polizia londinese; e uno “Iago” del 2009 con Nicolas Vaporidis studente di Architettura, Laura Chiatti figlia del rettore e un Otello nobile francese. Quanto all’Otello verdiano che il 21 novembre ha aperto la Stagione del Teatro di San Carlo a Napoli, aveva una scena popolata da gommoni, sbarchi di migranti e militari occidentali su fondali desertici, con un Otello bianco e femminicida, una Desdemona in mimetica e la delegazione veneta del terzo atto composta da burocrati in giacca e cravatta, 

“La Tempesta”, invece, ha vocazione fantascientifica. A essa ispirata è in particolare “Il pianeta proibito”, un film di fantascienza del 1956, diretto da Fred M. Wilcox. Altair IV è l’isola degli spiriti nel Mediterraneo. Il dottor Morbius, che studiando la scomparsa civiltà aliena dei Krell ne ricostruisce la straordinaria tecnologia, è il duca Prospero, divenuto potente mago sui libri della sua biblioteca. La figlia di Morbius Altaira è evidentemente la figlia di Prospero Miranda. Lo spirito benevolo Ariel corrisponde al robot servizievole Robby, mentre il terribile Mostro dell’Id è Calibano: ma non manca chi dà una parte di Calibano a Robby, e fa coincidere l’entità assassina con lo spirito che agisce su Prospero. Di Ferdinando, figlio del re di Napoli, Miranda si innamora allo stesso modo di Altaira del comandante dell’astronave Adams, interpretato dal Leslie Nielsen anni dopo essere diventato famoso per la serie “Una pallottola spuntata”. E la macchietta del cuoco, in italiano doppiato da Nino Manfredi, ricalca i personaggi di Stefano e del giullare Trinculo. 

Alla fine della “Tempesta”, però, Prospero si limita a spezzare la bacchetta magica: metafora sia del mondo moderno che fa a meno della magia, sia del Bardo che con questa ultima opera si ritira dalle scene. Morbius fa invece addirittura saltare l’intero pianeta, per cancellare una scienza pericolosa che già una volta ha distrutto i suoi creatori.  “Fra un milione di anni la razza umana giungerà al punto in cui erano i Krell nel loro grande momento di trionfo e di tragedia”, Abrams cerca di consolare Altaira. “E il nome di tuo padre brillerà come un faro nella galassia, e ci ricorderà che soprattutto di Dio ce ne è uno solo”.  Ma anche l’immortale che l’equipaggio della Enterprise incontra nell’episodio di Star Trek del 1968 “Requiem per Matusalemme” ha tratti di Prospero-Morbius, anche lui su un pianeta in compagnia di una Miranda e di un robot-Ariel. Tra gli adattamenti non fantascientifici, una “Tempesta” del 1982 con regia di Paul Mazursky in cui Prospero è un architetto di New York che si è ritirato su un’isola greca, e una del 1998 per la Nbc ambientata durante la Guerra di secessione. 

Memorabile se non altro come titolo è “Il bisbetico domato” che Adriano Celentano fece nel 1980 con Ornella Muti, per la regia di Castellano e Pipolo. A parte l’inversione dei ruoli tra protagonista maschile e femminile, c’è una trasposizione nella contemporaneità come con  “La bisbetica domata” in un quartiere popolare romano fatta nel 1942 da Ferdinando Maria Poggioli con Amedeo Nazzari, mentre   “Ah min hawaa” è il titolo di una versione egiziana del 1962 e “10 cose che odio di te” un rifacimento tra giovani americani del 1999. 

A fine Ottocento si svolgono invece un “Come vi piace” di Kenneth Branagh nel 2006, ambientato in una colonia di europei in Giappone; una “Dodicesima notte” di Trevor Nunn  del 1996, con divise austro-ungariche;  un “Sogno di una notte di mezza estate” di Michael Hoffman del 1999, in Toscana. Negli anni ‘20 del XX secolo è “Una commedia sexy in una notte di mezza estate” di Woody Allen, del 1982. Negli anni ‘30 e come musical un “Pene d’amor perdite” ancora di Kenneth Branagh, del 2000. Ma la “Dodicesima notte” è anche alla base di un “She’s the Man” del 2006 in abiti contemporanei, dove Viola si sostituisce al gemello per giocare a calcio.  E pure in abiti contemporanei è il film del 1991  “My Own Private Idaho”, conosciuto in italiano come “Belli e dannati”: storia di due tossicodipendenti ispirata all’“Enrico IV”.