Sfogliare “Harry Potter” e riconoscere Kierkegaard. Una lettura alternativa
Arriva in libreria un'intelligente opera saggistica che spiega l'etica e la teologia a tutti grazie alla saga del maghetto di Hogwarts. Un libro
Mentre Joanne K. Rowling scala le classifiche librarie mondiali con il suo “Maialino di Natale”, favola di intelligente morale contro la cultura dell’usa e getta il cui straordinario successo mostra che la violenta battaglia lgbtq+ contro il diritto di espressione della scrittrice e in genere di chiunque dissenta sul tema dell’autodeterminazione di genere ha meno presa di quel che si crede, nei circoli dei fan nazionali di “Harry Potter” va prendendo quota un volumetto edito dalla Cittadella Editrice, attività della Pro Civitate Christiana, associazione di laici fondata da don Giovanni Rossi ad Assisi nel 1939 e detentrice di un catalogo niente male sui temi dell’etica e dell’educazione scolastica per i più svantaggiati. Si intitola “Harry Potter: una lettura teologica”, è firmato da Gianluca Bracalante, parroco dei paesi di Carpineto Sinello e Guilmi e – sorpresa considerato il livello di originalità e di approfondimento dei testi che ormai capita di leggere anche in altre discipline – è una rielaborazione a fini divulgativi della sua tesi di licenza in Teologia fondamentale alla Lateranense.
Il “don” è infatti giovane, e la lettura del suo saggio di facile approccio anche per chi sappia molto poco di studi religiosi. Basta aver letto la saga di Harry Potter e avere chiaro qualche principio fondamentale di morale: Kant, Spinoza, Kierkegaard, ma soprattutto quello che l’arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte, definisce “il profondo bisogno di magico (della società attuale)” e la vicinanza fra le gesta del maghetto e dei suoi amici e “il logos dell’amore per il prossimo”. In estrema sintesi: se amiamo Harry Potter è perché continuiamo a coltivare la speranza di diventare più buoni, più leali, più giusti. Senza alcun dubbio, la tesi è stata concepita ed elaborata prima che la scrittrice, molto ferrata sui temi della filosofia morale, venisse fatta oggetto di brutali attacchi per le sue idee sull’identità femminile, ma forse proprio per questo la sottolineatura che don Bracalante fa di ogni passaggio e di ogni episodio dei sette libri di Harry Potter attorno al valore dell’amicizia, del dono di sé, della spinta vitale contro la morte, rendono ancora più rilevante il messaggio positivo della Rowling e più squallide le violenze di cui viene fatta oggetto.
“Harry Potter”, scrive l’autore, “ha a che fare con le grandi domande che ci portiamo dentro e che ci rendono esseri pensanti. Non è l’evasione dalla realtà o il rifugio nell’esoterico, e chi lo ha affermato non ha evidentemente letto neanche una riga della grande narrazione epica. Harry Potter rappresenta ogni uomo che si trovi a lottare nella sua esistenza fino alla fine: una storia che ruota attorno al tipo di scelta che ogni individuo deve fare”. Scegliere la vita, o la morte, ma non solo per sé: in relazione agli altri, argomento se vogliamo di stretta attualità anche sul tema green pass. “Harry”, scrive Bracalante, ma il rimando è a Giulio Giorello e a un altro saggio geniale che è “La filosofia di Topolino”, “avverte che il suo non è un Io isolato che cerca la verità nel chiuso di una stanza, bensì un Io che diventa un Noi, perché mira alla libertà propria e dei suoi concittadini e concittadine”. Ne “La malattia mortale”, Kierkegaard avrebbe detto che l’io è libertà attraverso un dinamismo fra possibilità e necessità perché l’Io è la “sintesi cosciente di finito e infinito (…)”, ma che lo sviluppo personale deve “consistere nel distaccarsi infinitamente da se stesso infinitizzando l’Io e nel ritornare infinitamente a se stesso, rendendolo finito”. Solo in questo senso, osserva Bracalante, la libertà è conquista, e dunque per questo noi lettori parteggiamo per la lotta di Harry nel rifiutarsi di interpretare la sua storia personale e sociale (orfano, adottato per pietà dagli zii ottusi) nei termini di un destino deterministico, e di opporsi in ogni modo alle ingiustizie.
Ripercorrere i tratti dei personaggi acquista dunque il senso di una rivelazione, di un cammino di ri-conoscenza nel quale si intersecano fantasia e pensiero e dove personaggi come Dolores Umbridge, la melliflua e bugiarda docente di Difesa contro le arti oscure di Hogwarts, trova perfetta corrispondenza nelle parole di Hannah Arendt su Eichmann e la celebre metafora della “banalità del male” (“non era uno stupido; era semplicemente senza idee, e tale mancanza di idee ne faceva un individuo predisposto a divenire uno dei più grandi criminali di questo secolo”). Ma se la professoressa Umbridge, con la sua visione dittatoriale del ruolo scolastico, incarna la pars destruens di una vita responsabile, quella dell’Esercito di Silente” guidato da Harry rappresenta, come osserva l’autore, la pars costruens, pronta al sacrificio ma anche al ricorso all’astuzia come nel caso, magnifico e molto amato da tutti i fan, del riscatto dell’elfo Dobby, emblema di chi non ha diritti, dei disprezzati della Storia, e del suo successivo sacrificio per Harry, che aprirà la via del coraggio per la ribellione degli altri elfi. Scriveva Pasolini ne “Il caos” che “la carità, al contrario della fede e della speranza, tanto chiare e di uso tanto comune, è indispensabile alla fede e alla speranza stesse. Infatti la carità è pensabile anche di per sé, mentre la fede e la speranza sono impensabili senza la carità: e non solo impensabili, ma mostruose”.
Perché Leonardo passa a Brera