Foto di Pavel Krotov via Wikimedia Commons

il foglio del weekend

Sorokin, la Cassandra russa

Fu esiliato dall'Urss nella “nave dei filosofi”. Finirà a insegnare a Harvard

Giulio Meotti

Trotskij lo voleva fucilare e Lenin lo ha esiliato. Il sociologo Pitirim Sorokin profetizzò la “rivoluzione sessuale americana” e l’Occidente in crisi terminale

"Ho trascorso la mia vita come contadino, impiegato, insegnante, studente, direttore di giornale, membro del gabinetto Kerensky, esule, professore in università russe, cecoslovacche, americane, e studioso. Sono stato imprigionato sei volte, tre sotto il regime zarista e tre sotto il regime comunista”.

   
Così sintetizzava la sua vita Pitirim Sorokin. Una sera di settembre del 1922 il mercantile tedesco Oberburgmeister Haken salpò dal porto di Pietrogrado, oggi San Pietroburgo, per una destinazione tenuta segreta, nel Baltico. La nave, che le autorità sovietiche avevano preso in affitto da un armatore tedesco, portava un carico speciale: accademici, storici, filosofi, letterati, tutti accusati di essere nemici della rivoluzione e del comunismo. Era la “Nave dei filosofi”, come sarebbe stata definita da Mikhail Glavatskij.

      
Lev Trotskij disse che se la situazione dovesse peggiorare “saremmo costretti a fucilarli tutti”. Le liste dei deportati vengono continuamente aggiornate prima di essere sottoposte al vertice bolscevico. Ai deportati sarà permesso di portare soltanto gli effetti personali e l’equivalente di cinquanta rubli in oro. “L’espulsione degli elementi controrivoluzionari e dell’intellighenzia borghese è il primo avvertimento del potere sovietico a questi elementi sociali”, scriveva la Pravda. A bordo, storici e giuristi come Aleksandr Kizevetter e Venedikt Mikotin, scrittori e letterati come Jakop Apushin, Mikhail Osorgin, Yulij Ajkhenvald, filosofi come Nikolaj Losskij, Lev Karsavin, Semion Franck, Nikolai Berdjaev, il musicologo Ivan Lapshin e il sociologo Sorokin. Finiranno prima nelle celle della famigerata Butirka. Poi prenderanno la strada dell’esilio.

    

“Ogni aspetto importante della vita, dell’organizzazione e della cultura della società occidentale è in una crisi straordinaria”

    
Il saggio di Sorokin “Militarizzazione e comunismo”, un’analisi devastante dell’emergente regime totalitario sovietico, come prodotto della guerra e della degenerazione della società, spinse gli ideologi sovietici a vedere in Sorokin colui che aveva fatto a pezzi la teoria leninista secondo cui la rivoluzione del 1917 era l’apice del progresso umano e il risultato naturale delle leggi della storia. Sorokin fu arrestato e condannato alla fucilazione, ma si salvò per l’appoggio di alcuni amici e l’intervento di Lenin al quale, seguendo il loro consiglio, Sorokin aveva inviato una lettera, dichiarando di dimettersi dal partito socialrivoluzionario e dall’Assemblea costituente, per ritirarsi dalla politica e dedicarsi esclusivamente all’insegnamento e alla ricerca scientifica. Lenin colse l’occasione per fare di Sorokin un caso esemplare dei rapporti di classe tra intellighenzia e proletariato, e scrisse un editoriale sulla Pravda dal titolo “Le preziose ammissioni di Pitirim Sorokin” in cui spiegava che i ceti intermedi, come gli intellettuali  e i  proprietari contadini, da neutrali alla fine  si sarebbero schierati dalla parte giusta del bolscevismo. L’intervento in prima persona di Lenin consentì a Sorokin un periodo di relativa tranquillità, che gli permise di discutere la sua dissertazione e abilitarsi alla docenza. Per evitare la fucilazione però alla fine Sorokin chiese e ottenne che gli fosse concesso di espatriare. Prima in Cecoslovacchia, sotto Jan Masaryk, con la moglie Elena, una biologa cellulare. E nel 1924 gli fu offerta una cattedra universitaria all’università del Minnesota. Da lì approderà a Harvard, diventando uno dei fondatori della sociologia contemporanea.

    
“Viviamo in un’era di colti ‘appaltatori’ intellettuali che possono costruire filosofie motel ma non sono in grado di costruire Partenoni o cattedrali”, scriverà. Il suo viscerale anticomunismo, la sua critica all’allentamento dei costumi sessuali e il suo conservatorismo culturale andavano  contro le tendenze accademiche dominanti del tempo. E così Sorokin è stato a lungo ignorato. Da qualche anno si assiste alla sua riscoperta.  Adesso anche in Italia le edizioni Cantagalli pubblicano un suo classico, “La rivoluzione sessuale americana”. Data di pubblicazione, 1956,  un decennio prima che si realizzasse.

      
Destino comune quello di Sorokin a molti esuli anticomunisti in America. Basta pensare alle geremiadi contro la “decadenza” di Alexander Solzenitsyn, le pagine profetiche di Csezlaw Milosz sul “nichilismo”  a Berkeley o quelle del 1972 di Leszek Kolakowski, che quattro anni prima era stato espulso dall’Università di Varsavia per la sua critica alla censura e al marxismo. In un magnifico saggio, Kolakovski attaccò “quella barbarie mentale, quella volontà ostinata di distruggere il sapere, l’università; di abolire tutti i criteri intellettuali, tutto ciò che richiede uno sforzo; di sostituire al pensiero un urlo inarticolato e la violenza. Era il movimento degli enfants gtés delle classi medie”, i bambini viziati del benessere occidentale, e “che esprimeva una vera malattia culturale: la rottura nella trasmissione dei valori sociali”. Kolakowski fu tra i pochi a capire che non era soltanto una “infantilizzazione della società”, ma un autentico movimento che scavava solchi profondi in Occidente. “L’anti-intellettualismo più aggressivo troverà l’entusiastico sostegno di un certo numero di intellettuali cresciuti nella civiltà borghese occidentale, i cui valori essi scartano ostentatamente per umiliarsi di fronte allo splendore di una inequivocabile barbarie”.

    
L’intellettuale che aveva trascorso del tempo in prigione a causa della sua resistenza allo zar, che si era unito alla rivoluzione di febbraio diventando un funzionario del regime di Kerensky, in “The Crisis of Our Age” (1941) sviluppò la sua famosa teoria dei cicli culturali. Sorokin vi sosteneva che le culture si spostano da forme ideative in cui affermazioni di verità trascendenti e norme morali sono i principi organizzativi della vita sociale, a culture idealistiche, che fondono obiettivi ideativi e “sensibili”, a culture sensoriali, che si concentrano esclusivamente su percezioni ed esperienze materiali. Quest’ultima fase rifiuta i valori trascendenti e scivola nella decadenza e nel caos. In “Social and Cultural Dynamics”, scritto dopo la Prima guerra mondiale, Sorokin aveva già osservato che “ogni aspetto importante della vita, dell’organizzazione e della cultura della società occidentale è in una crisi straordinaria... I raggi obliqui del sole illuminano ancora la gloria del passaggio d’epoca. Ma la luce sta svanendo, e nelle ombre che si fanno sempre più profonde diventa sempre più difficile vedere chiaramente e orientarsi con sicurezza nelle confusioni del crepuscolo”.

    

Nello scontro fra i “filistei ottimisti” e le “cassandre pessimiste” si schierò con le seconde. “Almeno non sono sorde”

    
Poi venne la Seconda guerra mondiale, e Sorokin osservò: “Le teorie ‘dolci’ dei miei critici presumibilmente competenti vengono gettate spietatamente dalla storia nel suo inceneritore. L’ottimismo prevalente di allora è svanito. La crisi è qui in tutta la sua cruda e indiscutibile realtà”. Contrariamente alla diagnosi ottimistica, la crisi attuale non è ordinaria, ma straordinaria. È una crisi nell’arte e nella scienza, nella filosofia e nella religione, nella legge e nella morale. “Contrariamente alla sua affermazione, la crisi attuale non è l’agonia della cultura e della società occidentali, né significa la loro irreparabile disintegrazione o la fine della loro esistenza storica... Non esiste una legge uniforme che richieda che ogni cultura e società deve attraversare le tappe dell’infanzia, della maturità, della senilità e della morte”.

     
Sorokin descrive gli effetti sociali devastanti di una radicale deregolamentazione della vita sessuale, elaborando la tesi delle due fasi che accompagnano ogni fenomeno rivoluzionario. Una “tabula rasa” di costumi, regole, tradizioni e la seconda di inevitabile “restaurazione” di un ordine che consenta la sopravvivenza della società precipitata nel caos. Si tratta, in nuce, di quella che Sorokin chiamerà, anche nella conclusione di “La rivoluzione sessuale americana”, “legge della polarizzazione”. Una legge che si richiama ad una concezione ciclica della storia vicina a quella di Vico, con il movimento “a pendolo” della storia: da una fase critica a una fase organica, da una fase di “disordine” a una di recupero di una “normalità naturale”. Secondo Sorokin l’attuale fase “sensistico-passiva” della civiltà occidentale è entrata in una crisi irreversibile. “L’ideologia su cui questa cultura, che pure ha arricchito l’umanità delle più grandi e utili scoperte e invenzioni, si fondava è ormai morta da un pezzo: il mito vittoriano del progresso è scoppiato come una bolla di sapone. Ora questa civiltà sopravvive a sé stessa e da costruttiva è divenuta distruttiva. Essa ha distrutto tutti i valori autentici e contemporaneamente ha dotato l’uomo di capacità autodistruttive inaudite, che solo dal recupero di valori assoluti, universali, eterni potrebbero essere controllate e utilizzate per il bene comune”.

  
In quest’ultima fase senile, la cultura è caratterizzata da “relativismo totale”, trionfo dell’opinione, disgregazione della famiglia e della scuola, sincretismo culturale. “La cultura occidentale è ormai entrata nella fase di disintegrazione. Il completo disfacimento di tutti i valori religiosi, morali, estetici e politici, la dissoluzione del nucleo famigliare e del matrimonio, la volgarizzazione e la decadenza della letteratura, tutti i valori sono travolti dalla melma nauseante delle forme sociali”. 

     

“C’è una rivoluzione che non ha eserciti o leader e non è stata annunciata sui media. Il suo nome è rivoluzione sessuale”

      
Scrisse che “il carattere tragico del declino e del periodo di transizione, prima che si raggiunga la nuova fase, non ci permette di condividere in alcun modo il superficiale ottimismo dei venditori di ‘progresso’ e dei filistei ‘promotori’ del ‘mercato’”. I pessimisti non è detto che avranno ragione. “Ma le Cassandre che gridano ‘la morte della civiltà’ si sbagliano, almeno non trasformano la grande tragedia di questo processo storico in una commedia musicale”. Gli ottimisti hanno un difetto più grande. “I ‘venditori di progresso’, siano essi i ‘responsabili della scienza’, i presidenti di questo o quello, i giornalisti, non solo si sbagliano ma non hanno nemmeno la virtù delle Cassandre. Sono così sordi che non riescono mai a distinguere un tragico ‘dies irae, dies illa’ da qualcosa di ‘bello e dandy’. Qualunque cosa accada nel corso del tempo, la accolgono come una manifestazione del progresso”.

  
Secondo Sorokin, tutti i disordini storici sono la conseguenza dell’anarchia sessuale. E faceva l’esempio dei periodi di declino assiro, babilonese, cretese, egizio, etrusco, ellenistico, romano e russo. E la proclamazione della Rivoluzione francese delle leggi sul divorzio, abbassando l’età del matrimonio a tredici per le ragazze e quindici per i ragazzi, con le conseguenze dell’aumento vertiginoso dei bambini nati fuori del matrimonio e dell’abbandono, l’aumento del numero di prostitute e l’accettazione di comportamenti scandalosi tra i bambini. Manifestazioni simili si possono trovare in Francia, Austria e Germania durante i disordini del XIX secolo.  

     
Non era un bacchettone, studiava la storia dal punto di vista di un patologo. Sorokin vedeva una società ossessionata dal sesso come una malata dal sesso, il che diminuisce la sua capacità di fare sacrifici e di affrontare problemi, come la difesa e la sopravvivenza. Contrariamente alle convinzioni diffuse al tempo, Sorokin affermava che “le civiltà con la cultura più alta sono quelle che hanno ristretto la libertà sessuale”.
Sorokin prefigurò così anche per l’occidente contemporaneo una rivoluzione che avrebbe fatto tabula rasa di famiglie, generi, figli, comunità: “Senza rumorose e pubbliche esplosioni, le sue scene tumultuose sono confinate nella dimensione privata delle camere da letto e coinvolgono soltanto singoli individui. Non segnata da eventi drammatici su larga scala, non è accompagnata da una guerra civile, da lotta di classe e spargimento di sangue. Non possiede un esercito rivoluzionario per attaccare i suoi nemici. Essa non tenta di rovesciare governi. Non ha grandi leader; nessun eroe la pianifica, nessun ‘politburo’ la guida. Senza un piano né una organizzazione, essa è condotta da milioni di individui, ciascuno agendo per conto suo. Non è stata annunciata in quanto rivoluzione, sulle prime pagine della stampa, o per radio o televisione. Il suo nome è rivoluzione sessuale”.

           
Sorokin alla fine confessò che la maggior parte delle persone e dei leader di società in decomposizione non sono consapevoli di essere malati. La sua teoria ciclica prevedeva sì uno stadio finale di ritorno alla normalità per cambiare il corso degli eventi. Tuttavia, quando la dissolutezza diventa profondamente radicata nella cultura e nelle istituzioni, può essere troppo tardi per fermare la  catastrofe: “Il problema non è più se si sia in declino o meno. Il  problema ora è se faremo l’ultimo passo finale in questo suicidio in corso”. 
    

Di più su questi argomenti:
  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.