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un libro

Le vacanze romane della poetessa Ingeborg Bachmann

Ginevra Leganza

Il flirt tra giornalismo di cronaca e poesia: i tremori dell'alta società alla notizia del corpo morto di una ragazza sono materia d'arte che si mescola alla politica e all'attualità

Una sirena accarezzata dalla risacca, senza più scarpe né reggicalze, con le gambe abbandonate alla battigia. E’ Wilma Montesi, prima ballerina della danza mondana raccontata da Ingeborg Bachmann. La poetessa e cronista austriaca la rende protagonista delle sue corrispondenze romane per la Radio di Brema. 
Straniata, incatenata, bruciata infine nel fuoco eterno dell’Urbe, dalla Carinzia Bachmann aveva pianificato un paio di mesi in Italia. Non se ne andò mai. Fatale le fu un inciampo di mozzicone addosso ai vestiti, mentre lei – costretta agli psicofarmaci – inciampava nel sonno nella sua casa in via Giulia.

 

“Non so più perché vivo qui”, diceva come si dice oggi ciondolando per le vie del centro, tra le molestie di un gabbiano e lo sciopero selvaggio dei tassì. Lo ripeteva a passeggio per quelle strade che – inondate di politici, grandi attrici, scandali e delitti d’autore – rendevano la cronaca spiccatamente poetica. Perché se l’anima di un poeta è un nodo ritmico, allora tutto quel che lo riguarda batte a tempo. Persino la perizia del giornalismo, come in questo caso. Quel che ho visto e udito a Roma (Quodlibet, 2022) raccoglie la corrispondenza di quest’eterna vacanza romana, con annessa la prosa d’arte che dà titolo al libro. Un flirt faticoso quello tra cronaca e poesia. Ma ci s’immagina forse uno spazio-tempo più galeotto degli anni Cinquanta a Roma? 

 

La politica si intreccia al caso Montesi, iniziato con la ragazza trovata morta sulle rive di Torvaianica, il Sabato Santo del ‘53. Il corpo di Wilma divenne lo spartito di un insuperato scandalo patrio. La Bachmann ripercorre le palpitazioni dell’alta società: le indagini e le presunte orge a Capocotta, in casa del falso marchese Montagna; le carrieriste di Cinecittà (seconda all’epoca solo a Hollywood); i figli debosciati dei politici; il giovane Piero Piccioni – coinvolto nello scandalo – che forzò il padre Attilio, ministro degli Esteri diccì, a dimettersi... Ma isterismi e patiboli, racconta la cronista-artista, lasciano presto il posto alla compassione. E quelli giudicati colpevoli ricevono da un giorno all’altro la grazia del cuore. Perché gli italiani sono un popolo femminile. Mobile, qual piuma al vento. “Tanto veementi nell’accusa, quanto contriti nella commiserazione”.

 

E mentre alla forca si alterna l’indulgenza, le frivolezze invadono i pensieri della città. Ci si domanda senza impegno se San Pietro sia realmente sepolto in Basilica. E dalle Grotte Vaticane a via Veneto, nei caffè del “quartiere americano”, proliferano commessi viaggiatori del Connecticut e tutta la gente di Hollywood. Si ultimano i lavori di una metro B avveniristica ma un po’ sgangherata, con sole quattro corse al giorno. I teatri e le gallerie si animano. I ristoranti sono gremiti. Il comunista Giuseppe Sotgiu, moralizzatore numero uno d’Italia, è sorpreso a frequentare bordelli con la moglie, e dunque allontanato da Togliatti. Maria Pia di Savoia si sposa da lontano e, a dispetto di una repubblica giovanissima, il popolo vive una ricaduta nella febbre dello sfarzo e segue l’evento come fosse a Roma.

 

E poi la Gina “nazionale”, la Lollobrigida, che si fa rinchiudere per quattro giorni nella hall di un albergo a Milano, offrendo a ventisei pittori l’occasione di immortalarla… Sullo sfondo di sentimenti e cose che non cambiano, con un Tevere trascurato e una stazione Termini dove “i commiati sono presi più alla leggera che altrove”, il caleidoscopio di proto-yuppie pone adesso un tema. 
Cosa ci manca, oggi? È l’alta società che s’è imboscata o sono gli scandali che si adattano a un registro da “Vita in diretta”? Ripescando nel gossip recente, per esempio, un Ciro Grillo – figlio del capocomico indagato per violenza sessuale – non ha l’aria di un figone “capocottaro” e non si presta a resoconti e scritture esaltanti.

 

Ma al di là di questo, non sono solo i fatti e i personaggi ad aver mutato pelle. Anche i novellieri son cambiati. Oltre alla poetessa austrica, per esempio, nei Cinquanta c’era Camilla Cederna a raccontare il caso Montesi. Lo scandalo faceva giornalismo; il giornalismo, letteratura. E nel gossip spirava l’anima di un’intera nazione… Mancheranno le scenografie agghindate dal destino. Il bel mondo sarà un po’ offuscato. Ma anche lo scandalismo – come genere giornalistico-letterario – è quasi tutto in stile Zia Mara. 
La Bachmann, tra cronaca e visioni, insegna a esser profondi nelle sciocchezze. A trattare con lievi mani le cose gravi. Perché forse non è oro quel che luccica. Forse non esistono fatti o misfatti, ma solo eccitanti interpretazioni. E quel che ci manca, forse, è di tornare a prendere sul serio la leggerezza.

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