(Foto di Ansa) 

Come salvare l'occidente

Più che una guerra, questo è l'annichilimento terroristico di una nazione

Alfonso Berardinelli

Putin non deve vincere in Ucraina e si deve raggiungere la pace: questo è chiaro a tutti. Ma nel nostro paese si nota una certa inerzia e vigliaccheria, perchè noi italiani ci siamo assuefatti all'impotenza politica 

La guerra scatenata da Putin e dalla Russia in Ucraina (oggi la maggioranza dei russi appoggia Putin) è una guerra che dura, che può durare a lungo. Più passa il tempo e più ne diventa chiara la gravità, l’importanza e la minaccia per il prossimo futuro della politica europea e mondiale. Anche i nostri leader più prudenti e timorosi sembrano aver accettato l’idea che Putin non può, non deve vincere, perché un tale evento farebbe precipitare il mondo in una catastrofe reale e simbolica, in un degrado morale intollerabile per la politica internazionale. Se l’assurdità, l’insensatezza e la ferocia dell’arbitrio politico e bellico di un autocrate criminale e di una nazione che lo segue ottenessero di cancellare un’intera nazione, un popolo, una democrazia acerba e fragile eppure eroicamente determinata a difendersi e resistere; se questo accadesse, niente e nessuno sarebbe più al sicuro: nessun valore di libertà politica e civile, sulla società e popolazione, potrebbero più avere il minimo di garanzie di sopravvivenza.


Si continua a parlare di guerra, a usare la parola “guerra” per indicare quello che sta avvenendo. Ma si tratta di qualcosa di diverso e di molto peggiore. Nel suo editoriale sul Corriere della Sera, domenica scorsa, Ernesto Galli della Loggia ha richiamato l’attenzione su questo, avvertendo con energia che quella in Ucraina non è una guerra, è una programmatica azione di cancellazione metodica di una realtà nazionale. Si tratta di genocidio, di annichilimento terroristico. Putin non vuole semplicemente conquistare, sconfiggere e annettersi l’Ucraina, vuole distruggerla e annientarla come identità culturale e umana. Quell’articolo è un allarme che non può essere trascurato, mentre nei nostri dibattiti televisivi si dà ancora voce a degli insensibili, imbecilli dottorini che vogliono apparire equanimi quando equanimi non si può essere, e per “equilibrare” con le loro miserabili obiezioni un’indignazione contro la Russia di Putin che invece è ancora insufficiente, anzi in diminuzione. Non si vedono manifestazioni di studenti universitari, né di ultrasinistre anti impero e anti vaccino che denuncino la politica genocida russa.


Ci stiamo quasi abituando a quella guerra, e aiutare “ancora” gli ucraini in lotta ad alcuni comincia a sembrare eccessivo, una specie di scorretta partigianeria. La guerra minaccia infatti di durare più a lungo di quanto durino le nostre iniziali reazioni di scandalo e deplorazione. Diventiamo sempre più attenti agli effetti economici di quel conflitto sulla nostra tranquilla e pacifica vita quotidiana. Si stenta a vedere che, per quanto indirettamente, anche noi europei siamo in guerra, anche noi siamo stati aggrediti, offesi, sfidati, umiliati. 
Eppure si nota una certa e diffusa inerzia e insensibilità nel prendere atto che al di là e dentro quella guerra c’è al primo posto una pratica di sterminio che viene dal Novecento nazista e stalinista: “Si tratta di cose che con la guerra, con lo scontro tra i combattenti non c’entrano nulla. Si tratta di uccisioni per rappresaglia di civili ucraini inermi al di fuori di qualunque scontro militare. Si tratta”, continua Galli della Loggia, “della deportazione in Russia di migliaia e migliaia (c’è chi dice trecentomila!) bambini ucraini”.


Questa guerra non è che contenga dei singoli crimini di guerra compiuti dalle due parti in conflitto. E’ un crimine la guerra di Putin, la guerra russa nata in odio a un paese da distruggere. Il numero di aprile di "Una città" si apriva con una lunga intervista a Oxana Pachlovska, docente di Letteratura ucraina alla Sapienza di Roma, che ora si trova a Kyiv con la madre scrittrice e storica dissidente. Cito poche righe: “Questa furiosa devastazione del paese, le atrocità indicibili, la denigrazione totale della vita umana, nel disprezzo di qualsiasi regola e legge internazionale, significa che sul piano morale la Russia è catastroficamente degradata, per cui rappresenta un pericolo per tutto il mondo democratico”. C’è dietro a tutto questo un vecchio problema culturale russo: anche di fronte alle peggiori atrocità i russi continuano a sentirsi “i salvatori del mondo”.


Ma è difficile non pensare anche a noi italiani e a tutti coloro che continuano a parlare a vuoto di pace, quando la guerra non sta per iniziare ma è già iniziata da tempo e chi l’ha voluta non ha nessuna intenzione di interromperla “per trattare”. Putin non vuole trattare e continua a mentire su tutto, fin dall’inizio, equiparando Nato e nazismo, Ucraina e nazismo. Da noi credo che si parli di pace soprattutto per sbrigarsela a buon mercato senza dire né pensare niente altro che l’impossibile pace, una nobilissima impossibilità. Chi ha deciso di combattere contro l’invasione russa “fino alla morte” perché non fa pensare al partigiano di Bella ciao “morto per la libertà”? Solo in nome di una inflessibile coerenza morale e religiosa, a costo della vita, si può parlare di pace a chi combatte per difendersi. In più numerosi casi si tratta piuttosto di pigrizia e vigliaccheria mentali.
Ma forse qualche parziale scusante o ragione c’è in questa pigrizia e vigliaccheria. Ci si indigna finché l’indignazione precede una azione efficace. Ma noi italiani ci siamo assuefatti, in casa nostra, all’impotenza politica. Da troppo tempo, qualunque scelta politica si faccia, niente di nuovo avviene nel nostro paese.

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