(Foto di Ansa) 

Spazio Okkupato

La solidarietà per gli ucraini rischia di affievolirsi e la colpa non è tutta dei talk

Giacomo Papi

Il razionamento del gas il prossimo autunno non è un rischio ma una certezza: insieme alla penuria del gas anche l'aumento dei prezzi della benzina aumenteranno le fila degli italiani contro il governo, accusato di sostenere militarmente Kyiv

Il 23 giugno 1812, duecentodieci anni fa, l’esercito di Napoleone attraversò il fiume Niemen e iniziò la campagna di Russia. Il ricordo di quella carneficina diventò storia più di cinquant’anni dopo: nel 1865 il conte Lev Tolstoj pubblicò la prima puntata di “Guerra e pace” sulla rivista Russkij Vestnik e nel 1869 Charles Minard, un ingegnere francese in pensione che era stato soprintendente della Scuola dei ponti e delle strade di Francia, disegnò quella che è considerata, a ragione, la più bella mappa di ogni tempo. Se non la conoscete e non ci credete, fermatevi a cercare su Google la “Carte figurative des pertés successive en hommes de l’Armée Française dans la campagne de Russie 1812”: l’avanzata sembra un serpente rosa-arancione che, rimpicciolendosi, striscia oltre il Niemen attraverso località come Wilna, Polotsk e Smolensk, fino a raggiungere Mosca e colorarsi di nero per la ritirata, assottigliandosi su pianure e fiumi sconosciuti come l’Orscha e la Bérézina, sempre più esile, sempre più simile a un filo, fino al fiume dove l’invasione era iniziata (e dove il cartografo si concede, a margine, l’unica nota epica della sua mappa: “Les Cosaques passent au galop le Niémen gelée”). 

L’avanzata e la ritirata sono scandite da piccoli numeri, perché ogni millimetro in altezza del serpente corrisponde a 10.000 uomini. Al momento di attraversare il Niemen, cioè, i soldati di Napoleone erano 422.000, ma un mese dopo a Witebsk si erano già ridotti a 145.000 e a 100.000 l’11 settembre, quando, dopo la battaglia di Borodino, Mosca fu conquistata. Sembrava una vittoria, invece il peggio doveva venire. In basso a destra sulla mappa di Minard compaiono i gradi centigradi e le date: “Zéro le 18° 8bre” e “Pluie le 24° 8bre”. Poi la temperatura precipita: “-9° le 9 9bre”, “-21° le 14 9bre”, “-24° le 1 Xbre”, “-30° le 6 Xbre”. E precipitando, il ghiaccio e la neve risucchiano il serpente napoleonico in rotta, che diventa una linea perché gli uomini stanno morendo a decine di migliaia, ogni giorno, per il freddo e la fame, mentre attraversano a piedi o su cavalli ridotti allo stremo pianure e fiumi ghiacciati. Dei 422.000 che avevano attraversato lo Niemen il 23 giugno 1812, all’inizio dell’estate, soltanto 10.000 soldati tornarono a casa nell’inverno successivo. 

E’ difficile immaginare che cosa succederà in Ucraina nel prossimo inverno. Anche se il clima è più mite che ai tempi di Napoleone (nel 2021 a Kyiv la temperatura è scesa a -1° il 25 ottobre e a -10° il 22 dicembre), il freddo aggraverà il disastro di una guerra che durerà ancora a lungo, ma il cui eco in Italia arriva già attutito. Per questo da autunno nei talk-show italiani, più che del gelo ucraino, ci si lamenterà dei 19° fissati per legge negli uffici pubblici e degli altri disagi provocati dalla scarsità di gas. Qualche giorno fa, in un’intervista a Formiche.net, il presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli, ha previsto, infatti, che il piano del governo, pur essendo “verosimile”, difficilmente risolverà “l’emergenza per il prossimo inverno”: “Non è più un rischio, il razionamento. Ma una certezza. Sa cosa mi ha detto, pochi giorni fa un’impresa? Che in un modo o nell’altro l’Italia razionerà, perché o lo deciderà il governo oppure le aziende chiuderanno, dando vita a una sorta di auto-razionamento”. 

E’ facile prevedere che la penuria di gas, l’aumento dei prezzi della benzina e i termosifoni tiepidi decimeranno in pochi mesi il numero già esiguo degli italiani ancora schierati al fianco della resistenza ucraina, allargando a dismisura le fila già pingui dei filorussi. Si potrebbe cominciare a raccogliere i dati per ricavarne una grottesca mappa alla Minard. Ha fatto scalpore un recente sondaggio di Termometro politico secondo il quale il 27 per cento degli italiani attribuisce la colpa della guerra all’Ucraina, rispetto a una media Ue del 15 per cento, che oscilla tra il 5 per cento di Gran Bretagna e Finlandia, e il 18 della Francia, il 20 della Germania e il 21 della Romania. In molti hanno interpretato questo record – siamo il primo paese europeo – come un effetto diretto dei talk-show che, soltanto in Italia, sono così affollati di ospiti che sostengono le ragioni della Russia e sono ostili alle politiche di Stati Uniti e Unione europea. Di sicuro la quantità di filorussi in tv e il risultato del sondaggio sono coerenti con l’opinione pubblica di un paese popolato, in stragrande maggioranza, da nipoti di fascisti e figli di comunisti. Ogni estate, da decenni, i giornali profetizzano un nuovo “autunno caldo”. Il prossimo probabilmente non lo sarà abbastanza. L’impatto della televisione, per quanto forte, è comunque minore di quello dei caloriferi spenti o al minimo.

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