“La cosa buffa” è che Antonio è tenuto in ostaggio dai suoi stessi pensieri

Marco Archetti

Torna in libreria per Neri Pozza il romanzo di Giuseppe Berto, uscito dopo “Il male oscuro”, di cui è un po' la prosecuzione con altri mezzi

Ottocentonovantamila lire e una ragazza tutta per sé: ecco quel che immaginava il giovane Antonio. Quei soldi glieli aveva lasciati in eredità un nonno e lui li giudicava funzionali alla possibilità amorosa, non avendo mai avuto una ragazza e attribuendo l’inconveniente “più che altro a scarsezza di denaro”. La ragazza, invece, gliela serve il destino al Caffé alle Zattere e si chiama Maria: universitaria, padre nelle Forniture Marittime, madre presidentessa di un comitato benefico di lustro, entra in scena con un cappello bianco a tesa larga, una spolverata di lentiggini, un dente storto. Fascinosa ma non bellissima, “se non altro non aveva le gambe a bottiglia”. In quello stesso bar, nelle prime righe del romanzo, Antonio filosofeggia e ripercorre a ritroso la sua esperienza sentimentale, che proprio con Maria comincia – “una delle più insolite e lacrimevoli storie” – e con la più smaliziata Marica va a finire.

Di cosa parla "La cosa buffa", romanzo di Giuseppe Berto

 

Sia chiaro che io sono per l’ordine, e che ciò è inutile”, ci avverte Giuseppe Berto in una riga di prefazione, quindi, sulle ali di una citazione di Joseph Conrad – “Che cosa buffa è la vita, quel misterioso articolarsi di logica implacabile per uno scopo ben futile…” –, avvia la gioiosa macchina da guerra di questo romanzo, “La cosa buffa” (Neri Pozza, pag. 369, euro 19), uscito due anni dopo “Il male oscuro” (1966) e concepito prima. Ma non sorprende, perché de “Il male oscuro” è la prosecuzione con altri mezzi. E già che siamo alle definizioni: “La cosa buffa” venne definito dallo stesso Berto “un romanzo piuttosto all’antica”, ma non bisogna dargli retta, semmai è vero il contrario. E’ un romanzo che il tempo ha arricchito, tutt’altro che prevedibile o risaputo. La voce di Antonio, che racconta in prima persona, guizza tra percezioni e autopercezioni ed è, in pieno, la nostra voce: la voce di chi vive un mondo frammentario e incomprensibile secondo criteri logici, un mondo che non riscatta e figuriamoci se redime, un mondo che tutto potrebbe essere e che tutto potrebbe fare di noi, trasformandoci in santi o assassini con la medesima, cruenta disinvoltura

La trasformazione di Antonio, il protagonista

Antonio si salva perché è un inetto, il che è già tremendo, ma il lettore sente che potrebbe trasformarsi, a ogni capitolo, in un omicida o in un asceta. Non lo fa solo perché non dà seguito a sé stesso, perché è uno che interrompe i lavori, perché traccheggia e si rimescola inutilmente, ma il suo dilemma non è mai di ordine morale – il suo è il dilemma di chi ha tutti i dilemmi, come dire nessun dilemma. Grande ruminante, è uno studente svagato, un insegnante accidioso, un provinciale inerme. E’ uno che fa ma che soprattutto disfa, bravissimo a retrocedere, a sparire a sé stesso, schiacciato da quel che accade e da quel che non accade – tutto come niente, anche qui. E’ uno che rimastica continuamente sé stesso e che rivede le proprie decisioni fino a distruggerle e a desiderare sempre il contrario, compromettendo la vita stessa, cioè la sua “fattibilità”. Uno che mentre è in alto mare, preda di dubbi laceranti e lontano da entrambe le sponde – raggiungere quella di fronte o tornare indietro? restituirsi al passato o darsi al futuro? – è sempre più immobile e incapace di agire, e intanto i pensieri lo strangolano e lo tengono in ostaggio, costringendolo a tirare avanti alla carlona e a registrare il tragico scompenso tra l’imponenza della aspirazioni fantastiche e l’esiguità delle prospettive reali – esiguità che lui fa ulteriormente a pezzi.

Eppure “La cosa buffa” non tradisce il titolo: è un romanzo comico, comico di un riso che, a un certo punto, non è più solo ridere. E’ un romanzo minuzioso e aereo da cui bisogna lasciarsi portare e che fila via, liberatorio e spiraliforme, superbamente ambientato in una Venezia minore, inadeguata e mai felice, gremita di censori morali occhiuti. Ma “La cosa buffa” è, soprattutto, una storia d’amore. Anzi, due, perché due sono le donne. Anzi, nessuna: perché Antonio non esiste. Antonio non riesce a essere nemmeno sé stesso.

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