Queste vite senza pietà, che trasformano i nostri pensieri nel nostro destino

Marco Archetti

La “Gelosia”, un manuale di osservazione di Camilla Baresani

Provate a chiedervelo: qual è stata l’ultima volta in cui, leggendo una pagina di romanzo (ma anche due righe con, affiorante, un’osservazione obliqua, un aggettivo di straforo o una similitudine – se ne fanno ancora?) avete gioito di quel soprassalto interiore che ogni lettore felice conosce? Sto parlando proprio di quell’intima, repentina epifania che, sfolgorando al centro di una pagina, vi fa ammettere “sì, è proprio così, che bellezza leggere la vita infilzata nei tratti essenziali, e che ironia, che occhio, questo scrittore non scrive solo con le parole, questo scrittore sa proprio vedere!”

 

Camilla Baresani scrive romanzi contemporanei, sincronici alla vita e al sentire di sé e dei suoi lettori, quindi, per prima cosa, è una scrittrice che conosce il proprio posto. Infatti è sempre lì dove deve stare, sempre dentro ciò che racconta con tutte le forze sensuali, intellettuali e narrative, e con “Gelosia” (La Nave di Teseo, pp. 376, € 15 euro) dimostra ancora una volta quale sia la sua qualità più generosa, ossia quella di non autoesentarsi mai dal più importante dovere di uno scrittore: osservare – arte maggiore ma ormai incredibilmente minore, poco praticata perfino da chi dovrebbe (e uno scrittore dovrebbe sempre, citofonare Balzac). In certe pagine questo romanzo arriva a essere quasi un manuale di osservazione, perché Baresani tiene gli occhi sempre aperti e li chiude solo per evocare meglio la scrittura di cui servirsi, e osserva il destino e i tipi umani rendendoci in cambio – con la leggerezza di chi il mondo lo conosce, perché ha voluto conoscerlo non solo attraverso la scrittura – la molecola-base della nostra esistenza: la venatura incredibilmente ridicola che condanna ogni nostra serissima domanda e la smorfia grottesca che penalizza ogni nostra posa metafisica. E lo fa in splendida, conciliata ubiquità, amando i propri personaggi insieme all’atto stesso di raccontarli, facendoci venire il sospetto che la vita sia proprio come certe essenze, il cui pregiato profumo è costituito anche da una nota contraria, cioè da un grano scientifico di puzza: perché lo sappiamo, non è tutto rosa damascena trigintipetala… Così le grandi notizie arrivano mentre le autobotti degli spurghi vuotano le fosse biologiche, una passeggiata romantica si snoda tra i fetori della monnezza napoletana, un volo aereo che ci porta verso una gioia possibile puzza di stoviglie mal lavate e residui d’uovo, e un piccolo branco di cinghiali invalida la forza tragica di un addio. C’è un fondo di fatale incongruenza nella vita, un clinàmen che Baresani sa raccontare attraverso la storia di un triangolo (Lui, Lei, l’Altra) perché non si accontenta e ci sa mettere anche gli Altri e il Resto, ossia gli errori di valutazione, le vanesie sicurezze da sbranatori emotivi, la nostra insopprimibile tendenza a venderci al prossimo con le parole più sofisticate e manipolatorie, il che ci riesce sempre bene, perché “vendere è un mestiere da ladri” e in fondo ladri siamo tutti, ladri che si credono creatori fino al primo, puerile sospetto (“Lei esisteva già anche prima di conoscerlo”). E intanto – intorno – la vita. Mentre ci ostacoliamo con l’alibi dell’amore, c’è sempre la vita, che però non ha contegno né pietà per le nostre introspezioni. E la vita è una spietata vendetta che ci potrebbe fare felici, mentre la scelta giusta – la cosa giusta – ci condanna senza scampo.

 

Baresani non racconta di patrie perdute per sempre ma di quelle che stiamo perdendo oggi convinti di riconquistarle domani, racconta la rincorsa e noi che rincorriamo, racconta il frivolo e il tragico consustanziali, e lo fa con intonazione d’amore e di comprensione partecipe. Il tempo delle sue pagine non è il tempo gelido dell’analisi, ma della vita mentre si fa e porta a galla la verità di donne incattivite e deluse e di uomini rapaci e meccanici, perché seduciamo per debellare mentre la tela penelopesca dei giorni e la fatica del procedere e del recedere ci tolgono slancio. “Tu ti barcameni!”, rimprovera l’Altra a Lui, in un passaggio del racconto. E coglie il punto. Perché sì, ci barcameniamo tutti. E precipitiamo dal desiderio al bisogno. E poi i nostri pensieri diventano il nostro destino.

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