Ferdinand Hodler, La notte, 1890 (foto Wikimedia)

Dieci gocce di Tavor

Nadia Terranova

Chi non dorme è ammalato in egual misura di disperazione e immaginazione. Se non si può riposare allora tanto vale fare di queste ore una mitologia. Ecco le notti degli scrittori

Morire. Non fosse che per fregare l’insonnia”, auspicava Gesualdo Bufalino, e alle ore 3.24 di una notte qualsiasi, decidendomi infine, dopo sfiancanti lotte e irripetibili imprecazioni contro l’invisibile, ad accendere il computer e trascinarmelo a letto, con gli occhiali infilati al buio a casaccio e dunque storti sul naso, guardo dentro l’aforisma e lo leggo al contrario: essere insonni, non fosse che per fregare la morte. Del resto, se in una vera notte buia dell’anima sono sempre le tre del mattino, anche Francis Scott Fitzgerald converrà che l’orologio è un’illusione: oltre le persiane chiuse, oltre chi mi dorme accanto al solo scopo di farmi schiattare d’invidia, oltre la tazzina del caffè mezza vuota e la scatolina degli stabilizzatori del sonno mezza piena, fuori dalla finestra potrebbe essere mezzogiorno oppure l’ora dell’aperitivo, estate o inverno, potrei avere cinque anni o cinquecento, essere me stessa o un’imperatrice, sono perseguitata dalla legge perché ho fatto qualcosa di sbagliato e devo restare sveglia per trovare la soluzione a dei problemi che durante il giorno ho sottovalutato e adesso potrebbero stritolarmi fino a uccidermi. A che storia giochiamo stanotte?


Se in una vera notte buia dell’anima sono sempre le tre del mattino, anche Scott Fitzgerald converrà che l’orologio è un’illusione 


Chi non dorme è ammalato in ugual misura di disperazione e immaginazione, serve tutto il buio del mondo per stare svegli sempre, serve tutta la fantasia del mondo per proiettare sul soffitto le più diverse versioni della propria vita: cosa sarebbe successo se, cos’avrei fatto se invece non, cosa è davvero accaduto quella volta che. A che serve un ipertesto, quando hai la testa bucherellata? Con tutti i romanzi notturni che ho montato e smontato mentre mi rigiravo dal fianco destro al sinistro posso riempire la biblioteca di Alessandria, anzi ora che l’ho citata spengo tutto e mi riaddormento, cioè ci provo, male che vada mi metto a ragionare su come sia stata distrutta, ma poi è stata distrutta sul serio? Nelle notti in bianco, molto meno letterarie delle notti bianche, non ci sono certezze ma c’è spazio per creature mostruose e finali impossibili, pensieri altissimi e ricordi traballanti, e comunque meglio divertirsi dentro un fantasy che scansare la spada di Damocle del mutuo, basta un niente e la visione della prossima rata si sfracella sul petto premendo come un ferro da stiro, mi manca l’aria – pagare, pagare, passerai il resto della tua vita a pagare, mi sussurra minaccioso l’angelo degli insonni. Con tutti i calcoli onirici che ho fatto nei miei dormiveglia su come arrivare a fine mese e su come invecchiare senza pensione e senza Bacchelli, dovrebbero darmi una laurea in economia; e comunque stanotte non ho intenzione di cedere al cupo rotolarmi invano per scansare i miei creditori, il terrore di multe esorbitanti, la certezza che sarò accusata di un delitto che non so di aver commesso, come un personaggio di Kafka – ma con meno ore di riposo in corpo. Stanotte scrivo un articolo, stanotte compio una diserzione; Bufalino, sempre lui, diceva anche così: “Chi si leva dal letto perché soffre d’insonnia non merita quel privilegio.


Nelle notti in bianco non ci sono certezze ma c’è spazio per creature mostruose, finali impossibili, pensieri altissimi, ricordi traballanti 


I nottambuli sono dei disertori.” Ma io sono pavida e con lucida determinazione diserto solo a metà, accendo il computer e lo piazzo sul cuscino sopra le mie ginocchia, sono sicura che Gesualdo capirebbe: se avesse fatto finta di dormire, quando avrebbe trovato il tempo di tradurre I fiori del male? Addirittura il tempo di tradurlo prima dall’italiano al francese e solo in seguito viceversa – eccoli i passatempi degli insonni, i giochi che i giusti dormienti non capiranno mai. Eluned Summers-Bremner, studiosa di letteratura e di storia delle donne, ha scritto Insonnia. Una storia culturale, pubblicato da Donzelli qualche anno fa, e ha spiegato che non dormire non è stato sempre un disvalore, non è stato sempre definito come l’erosione ansiosa del sonno vitale. Nell’antichità l’insonnia era sintomatica di un grande concentrato di energie, quindi, non avendo alternative, mi conviene identificarmi in Gilgamesh, il combattente che pregustava lo scontro mattutino, e raccontare a me stessa che non cedo al riposo perché non mi va di perdere tempo. Oppure posso optare per un personaggio di Don DeLillo e perdermi in complicate autorappresentazioni e definizioni scientifiche della mia sconvenientissima veglia. Oppure ancora diventerò Snoopy, che non riesce a smettere di pensare al cibo e confessa la più grande verità: “E’ terribile restare svegli di notte e pensare ai problemi della vita, ma restare svegli e pensare alla pizza è intollerabile”. Una visita al frigo, e passa la paura. Ricominciamo da capo.


“Chi si leva dal letto perché soffre d’insonnia non merita quel privilegio. I nottambuli sono dei disertori”, diceva Bufalino 


Ma dove trovi il tempo di leggere se sei sempre in giro, ma quand’è che scrivi tu che non ti fermi un attimo, alzo gli occhi al cielo e rispondo sempre quello: non dormo, ho a disposizione il doppio delle tue ore. E ammetto, qui dove non può sentirmi nessuno, che c’è sempre un leggero senso di superiorità nell’ostentare di non aver ceduto alla più sana destinazione della notte, ma quegli altri, i dormiglioni, non devono averla a male: a loro la beatitudine neonatale degli occhi senza borse, a noi la convinzione di essere più intelligenti, più sovversivi. Una convinzione del tutto sbagliata, ma lasciateci sognare, almeno da svegli. “Che è il sonno, se non l’immagine della gelida morte”, si chiedeva Ovidio, un altro insonne alla ricerca di facili consolazioni, perché se dormire non si può allora tanto vale farne leggenda, mitologia. Tutto dev’essere cominciato con lui, oppure con mia nonna paterna: ogni sera prendeva mezzo Tavor e arrivata a ottant’anni non aveva mezza ruga, dormire ti fa la pelle splendida, dormire sì che ti rende più intelligente – noi insonni lo sappiamo, sotto sotto, e infatti odiamo, odiamo tantissimo chi non soltanto si riposa ma ha pure la tracotanza di vantarsene. Quando una delle mie più care amiche mi confessa, sbadigliando “non ti capisco, io ho dormito dieci ore”, l’invidia mi distrugge, medito di introdurmi a casa sua nottetempo e torturarla in stile Arancia meccanica, dovrà pur entrare nei miei panni qualche volta, a cosa serve l’amicizia se non a soffrire insieme? Al ginnasio dormivo da mia nonna perché mia madre lavorava fuori città, e una sera, siccome ci piaceva chiacchierare e sfogliare Oggi e Gente, mi infilai in modo del tutto naturale nel suo lettone di vedova e mi addormentai fra le ciarle. La mattina si svegliò indignata e inferocita: non mi hai lasciata in pace un attimo, parlavi, ti muovevi! Dopo quella colazione di rimproveri andai a scuola mestissima e da allora fu apparecchiato per me il divano-letto nella stanza accanto – ma non è un ricordo di umiliazione, è un ricordo felice: dunque c’è stato un tempo in cui dormivo, un tempo in cui dormivo a lungo e profondamente, di quei sonni di cui non ti ricordi nulla e sono gli altri a ricordarseli per te.

Ammetto che c’è sempre un leggero senso di superiorità nell’ostentare di non aver ceduto alla più sana destinazione della notte

 

 

Qualche volta, in realtà, succede ancora. Anche se è una romanticheria facile, succede in prossimità del mare, possibilmente su un’isola, meglio se non ci sono auto e motorini, se poi la finestra affaccia su una scogliera allora è davvero perfetto, il rumore delle onde è un narcotico naturale, appoggio la testa sul cuscino, provo a leggere ma non sento più niente, solo il fruscio dell’acqua, più è buio e più sento solo quello, e quando vado via dalla vacanza senza occhiaie e con la pelle di una bambina delle elementari mi chiedo: ma come mai non vivo tutto l’anno in questo magnifico posto? Dev’essere perché, negli anni, mi sono affezionata alla mia insonnia come ci si affeziona agli errori e ai disastri: non sono più solo cose che ti sono successe, ma fatti che ti costituiscono, che fanno parte di te come l’assillo di doverli risolvere, e poi quando li hai risolti o il tempo li ha superati avverti un certo senso di smarrimento, chi sono io senza il mio trauma? Essere insonni significa soprattutto potersene lamentare, e “come stai?” è una domanda spaventosa se non hai la possibilità di sbuffare: eh, sapessi come ho dormito male.


Quando una delle mie più care amiche mi confessa, sbadigliando “non ti capisco, io ho dormito dieci ore”, l’invidia mi distrugge


 

“Iniziai ad andare in ibernazione come meglio potevo a metà giugno del 2000, a ventisei anni. Vidi l’estate morire e l’autunno diventare freddo e grigio da una stecca nella veneziana. Sentivo i muscoli rattrappirsi, e le lenzuola erano ingiallite anche se di solito mi addormentavo davanti alla tele sul divano”, scrive Ottessa Moshfegh in uno dei libri di cui più si è parlato la scorsa estate, Il mio anno di riposo e oblio (Feltrinelli). Moshfegh racconta l’esperimento di una ragazza che, con l’aiuto della sua psichiatra, decide di dormire un anno consecutivo per guarire da una sofferenza profonda che le impedisce di vivere una quotidianità tutto sommato soddisfacente; purtroppo non posso dirvi di più, non sono riuscita ad andare oltre le prime pagine, sopraffatta da un sentimento di odio. Per quanto infelice e tormentata, la protagonista riesce comunque a dormire: è bastato questo a rendermi insopportabili le sue peripezie. Sono una brutta persona, lo so, ma non fino in fondo, quindi riprenderò Moshfegh che mi sembra abbia scritto un gran libro e troverò anche la risposta giusta per quell’altro amico che trova insopportabili le mie, di peripezie: benzodiazepine è la sua parola chiave e non si capacita che io possa lamentarmi di qualcosa che reputa risolvibile con un farmaco. Ma tu sei insonne o no? gli ho chiesto una volta, e lui: prendo così tante medicine che non ho più la possibilità di saperlo. Quando smetterò di essere affezionata al mio borbottio voglio diventare anch’io così, inconsapevole e leggiadra, del resto il sonnifero fa parte dei solidi valori familiari e mia nonna, da lassù, sta già approvando.


Grazie alla mia esperienza ventennale, sono un’esperta dei libri buoni per la notte, che non sono gli stessi per il giorno


 

Nel frattempo, anche dentro i miei libri si passa parecchio tempo svegli. Negli Anni al contrario sono insonni sia Aurora che Giovanni; in Addio fantasmi Ida vive notti allucinate; in Storia d’agosto, di Agata e d’inchiostro, la ragazzina dodicenne si assopisce poco e male. Ci vuole una certa dose di sadismo governativo a scrivere romanzi: se non dorme l’imperatrice, allora non è permesso a nessuno di farlo. Ci manca solo che alle tre del mattino, quando tutti mi lasciano sola, anche i personaggi dei miei libri si mettano a russare sereni come chiunque mi dorma accanto: allora ditelo, che mi volete far saltare i nervi. Se c’è una cosa che noi insonni ci portiamo dietro dalla notte, non è la scoperta di chissà quali segreti, non sono rivelazioni né apparizioni, ma umori instabili, caratteracci, rispostacce. Se la squadra della tesi per cui non dormire rende cretini avesse bisogno di segnare un altro punto, basterebbe ricordare Insomnia, di Christopher Nolan. Uscì nel 2002 e aveva come protagonista un detective interpretato da Al Pacino, si chiamava Will Dormer e non dormiva mai, trascorreva lunghe notti di reciproci ricatti con uno scrittore interpretato da Robin Williams. Il sole artico non tramontava sulla scena e i due, che avevano entrambi ucciso qualcuno, più che insonni sembravano ubriachi, considerata la serie di delitti e di guai a catena che erano sempre più incapaci di arrestare. Allora avevo poco più di vent’anni e di norma dormivo ancora abbastanza, uscii dal cinema con un certo spavento sottopelle e giurai a me stessa che se mai fossi diventata un’assassina la prima cosa che avrei fatto non sarebbe stata consegnarmi alla polizia ma dormire per dodici ore di fila prima di prendere una decisione, e soprattutto staccare il telefono.

Moshfegh racconta l’esperimento di una ragazza che, con l’aiuto della sua psichiatra, decide di dormire per un anno

 

 

Nel film di Nolan c’era tantissima luce e gli occhi di Al Pacino erano sempre più affaticati. Siccome qualsiasi metafora che abbia a che fare con il sole che ferisce gli occhi puzza subito di pessima letteratura, è meglio che le notti degli scrittori siano molto buie, anche in presenza di albe precoci e tramonti tardivi. Se ipotizziamo una mappa narrativa dei disturbi del sonno, abbiamo almeno tre grandi famiglie di insonni: quelli che si addormentano tardissimo, quelli che si svegliano prestissimo, quelli che si svegliano in mezzo alla notte e poi si riaddormentano (qualche volta). Io oscillo tra la terza e la seconda famiglia – alla prima appartengo solo d’estate, quando il giorno è troppo caldo e la notte diventa il luogo naturale per fare tutto, in quel caso però non si tratta di insonnia ma di sopravvivenza, quindi mi sa che non vale, e in ogni caso noi insonni del secondo e del terzo tipo tendiamo a non considerare quegli altri nostri fratelli, sono al massimo dei tiratardi. A parte Guccini, naturalmente, ma se hai scritto una serie di Canzoni di notte una più meravigliosa dell’altra tutto ti è permesso, sei il re dei senza sonno, sui nostri pigiami per favore scrivete: “Io solo qui alle quattro del mattino, l’angoscia e un po’ di vino, voglia di bestemmiare”. Tutti gli altri, se fanno bisboccia, l’insonnia la meritano anche un po’ quindi peggio per loro.

 

Anche noi che ci svegliamo presto, poi, non siamo mica eroi: mia nonna (l’altra, non quella del Tavor) era una maestra e usciva di casa alle sette e mezza per andare a scuola dopo aver già preparato il pranzo e la cena, innaffiato il giardino e deciso l’assetto della giornata di tutti noi. Anche mia madre insegna, e aveva abitudini simili negli anni in cui doveva tirarmi su. Ovunque, nel mondo, le donne che lavorano si svegliano almeno tre ore prima del resto della famiglia: basterebbe questo a dimostrarne la superiorità, anche se non ho ancora capito se fosse più femminista la nonna che governava il mondo prima dell’alba o quell’altra che difendeva il suo sonno a costo di chiudere la nipote nell’altra stanza, entrambe le opzioni mi sembrano allettanti, purtroppo a me è toccata la terza, la più sfortunata, un destino che più che un’imperatrice mi rende una creatura inutile. Di solito, dopo essermi svegliata nel cuore della notte, dopo aver prodotto malattie, reati, colpe, dialoghi immaginari per un numero di ore sufficiente a sfinirmi, mi riaddormento giusto il tempo di chiudere gli occhi e in un attimo suona la sveglia. E’ il miglior modo per impazzire, altro che governare il mondo. L’amico delle benzodiazepine si è arreso e mi ha consigliato di andare a lavorare nei campi, un po’ di fatica fisica non può che farmi bene. Mi piacerebbe sostenere la tesi secondo cui l’insonnia è un privilegio dei benestanti, mi piacerebbe incitarmi da sola a non sottrarre più le mie braccia all’agricoltura al fine di narcotizzarmi da sola, purtroppo però non sarebbe vero nemmeno questo: ho trascorso alcuni mesi della mia vita adulta a praticare un’attività di fatica e non dormivo neppure allora.


Quelli che si addormentano tardissimo, quelli che si svegliano prestissimo e quelli che si svegliano in mezzo alla notte 


Anzi, avere le braccia e le gambe indolenzite peggiorava la situazione. O sono senza speranza o “ma vai a lavorare” è una frase buona solo a far sentire tanto giusto e proletario chi la pronuncia, in ogni caso tanto vale allietarci con la buona letteratura. Di solito, dopo essermi svegliata con il cuore in tumulto e aver vissuto una decina di vite possibili, accendo la luce e mi metto a leggere; grazie ai miei ultimi quasi vent’anni da insonne, sono un’esperta dei libri buoni per la notte, che non sono gli stessi per il giorno. Anzi, sconsiglio di riprendere lo stesso volume che si sta leggendo di giorno, per evitare una pericolosa connessione con la quotidianità che riduce le possibilità di dormire fino ad azzerarle; sono ideali invece i fumetti, c’è qualcosa di ipnotico nel rapporto fra testo e immagini, qualcosa di rilassante e di veloce nella lettura, e soprattutto la sensazione di un tempo determinato, per esempio da poco ho divorato il bellissimo P. La mia adolescenza trans, della talentuosa catanese Fumettibrutti, pubblicato per Feltrinelli. Funzionano anche i racconti, per la stessa ragione, purché non troppo raffinati (l’adorata Alice Munro è meglio riservarla alla mattina), e i libri a episodi: perfetto Pinocchio, perfette Le storie del castello di Trezza di Giovanni Verga, perfette le storie di fantasmi, un po’ di paura e passa la paura. Nessuno dorme bene come chi fa amicizia con i propri incubi, quelli della veglia e quelli prodotti dal non dormire (“Non il sonno, ma l’insonnia della ragione genera mostri”: è sempre Bufalino), e la più perfetta definizione dell’insonnia non è a parole, è illustrata e si trova in un albo (a proposito, vanno benissimo anche quelli). L’autore è Mercer Mayer, il titolo Una strana creatura nel mio armadio, l’editore Kalandraka: è la storia di un bambino che non vuole dormire perché è convinto che nella sua stanza ci sia un mostro schifoso, e a, differenza di ciò che avviene nelle storielle tranquillizzanti con cui gli adulti vogliono rassicurare i piccoli, il mostro c’è veramente. Una tavola rappresenta il bambino asserragliato a letto, armato, vigile e provvisto di elmetto come una sentinella: è così che affrontiamo la notte noi che ci raccontiamo di soffrire di clinofobia (la paura di andare a letto), e anche se mi piacerebbe chiudere questo pezzo dicendo che è arrivata l’alba e si è portata via tutto, sappiamo benissimo che non è vero. Sono sempre le tre del mattino, stiamo sempre cercando invano di scrivere come Fitzgerald, ci sono i creditori alle porte e sicuramente ho qualche malattia che non so di avere – la cosa peggiore è che sono perfettamente consapevole di come a quest’ora sia tutto falso, tranne il malumore che domani, da mattina a sera, come al solito mi ricorderà che era tutto vero.

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