L'Ultima Spiaggia di Capalbio resiste
Il salotto estivo della sinistra è ancora lì, con le sue feste e le passeggiate tra i nudisti. Ecco i trent’anni dello stabilimento simbolo di una classe intellettuale trasformata
Trovarsi a Capalbio, al momento del tramonto, è come essere catapultati improvvisamente dentro un quadro di Turner. Nei mesi invernali, dalle mura merlate che sovrastano piazza Magenta o dall’alto della torre aldobrandesca, la vista sulla vallata ricorda le luci e i colori tanto amati dal celebre acquarellista inglese che, proprio in questi giorni, viene celebrato al Chiostro del Bramante di Roma con un’antologica ricca di opere provenienti dalla Tate Gallery. E’ nei mesi estivi, però, che quel paesaggio maremmano riesce a mostrare il suo meglio, soprattutto se ammirato dalle zone di Chiarone, Macchiatonda e Selva Nera, poco distanti dall’Oasi del Wwf dove quei giochi di luce ricordano quadri e icone Turneriane come “A Hulk or Hulks on the river Tamar” (1811) o “Landscape with a tree in the right” (1828).
C’è chi ha parlato della fine del noto stabilimento L’Ultima Spiaggia, “non più il salotto estivo della sinistra radical chic”
C’è il paesino da un lato – da quest’anno “Borgo più bello d’Italia” per il Touring Club – e ci sono le sue spiagge, libere o attrezzate, su cui svetta la bandiera gialla con le cinque vele di Legambiente; c’è la campagna, la possibilità di fare lunghe passeggiate a piedi o in bici (qui vanno alla grande quelle con la pedalata assistita), c’è la solitudine assoluta, ma anche il ritrovarsi tra cene e feste nei casali o nelle ville esclusive, veri e propri mondi a sé nascosti da sguardi indiscreti. Se amate tutto questo, Capalbio è il posto che fa per voi e la sua allure – a meno che non intervengano con qualche orrore edilizio – non tramonterà mai, a differenza di quello che è stato detto, scritto o semplicemente pensato nelle ultime settimane. C’è chi ha parlato di una “mutazione antropologica” di Capalbio e di “estinzione dell’intellighenzia di sinistra”.
E c’è chi ha parlato della fine dell’Ultima Spiaggia – noto ed esclusivo stabilimento balneare con vista sull’Argentario – “non sia più il salotto estivo della sinistra radical chic”, utilizzando, per l’ennesima volta, quel termine coniato da Tom Wolfe di cui tutti abusano da tempo. In effetti qualcosa è cambiato, all’Ultima Spiaggia. Quest’anno non c’è l’ex presidente Giorgio Napolitano, che era solito fare il bagno con la scorta guardato a vista da sotto l’ombrellone dalla moglie Clio o dal figlio Giulio. “Ha una certa età e non è stato bene, non andrebbe in nessun’altra spiaggia con questo caldo”, dice al Foglio una delle ragazze del ristorante. Non ci sono i coniugi Rutelli (da anni di casa a Filicudi) ma un passaggio o un saluto da queste parti lo hanno già fatto o lo faranno. Non c’è la coppia Franco Bassanini-Linda Lanzillota, e non ci sono alcune attrici o attori impegnati nei set o conduttori tv alle prese con programmi estivi o nuove avventure.
Come Federica De Sanctis, per tanti anni volto di Sky, oggi al vertice delle comunicazioni di Poste Italiane, che a Capalbio ha passato solo pochi giorni preferendo l’India, ma al ritorno non si è persa la festa più glam a casa della produttrice Maria Carolina Terzi e Mauro Luchetti, patron e mente di Hdrà. Trecento persone provenienti da ogni dove – anche solo per una notte – hanno mangiato in piedi o ben adagiati sui comodi divani bianchi nel giardino e poi ballato fino a tardi sotto il patio della splendida villa con piscina in pietra. Dall’assessora al Turismo e Pari Opportunità alla Regione Lazio Lorenza Bonaccorsi con il compagno Pablo Rojas (provenienti da Santa Teresa di Gallura), all’artista Paolo Canevari, ex marito di Marina Ambramovic (da Follonica), c’erano un po’ tutti, compresa la cantante Nada, molti giornalisti e gli immancabili Chicco Testa – foreveryoung e scalzo – e Barbara D’Urso, in mini shorts da urlo, provenienti, rispettivamente, dalle più vicine Manciano e Pescia Romana.
“Le conversazioni si infittivano e le amicizie si allargavano – ricorda Rossella Sleiter – e alla fine nasceva un sentimento di comunità”
Se si frequentano questi lidi, basta davvero poco per essere arruolato – come ha detto qualcuno – tra le “Brigate Rolex capalbiesi”, quelle che – secondo chi non ne fa parte – selezionano, escludono, vivisezionano e condannano. L’Ultima Spiaggia, checché se ne dica, resta sempre la prima, come ci dice Furio Colombo a colazione nel ristorante dello stabilimento, abbronzato e rilassato più che mai, con i suoi occhiali scuri, camicia bianca, shorts blu e Lumberjack d’ordinanza. All’Ultima “ci vai per nuotare o per incontrare e intanto guardare, c’è un po’ di memoria di una certa euforia, polvere di allegria che il vento ha spazzato col tempo e la sabbia”, recitano i versi di una sua poesia dedicata proprio allo stabilimento e raccolta, assieme a tanti alti scritti, ricordi, foto e pensieri dei clienti storici e affezionati in “L’Ultima”, un libro pubblicato di recente da Zig Zag in occasione del trentesimo anniversario.
L’8 agosto del 1987 venne aperto quello stabilimento divenuto nel tempo leggendario per i suoi successi ed eccessi (ma tutto, nella vita, è sempre relativo), un posto “con l’aria libera e pulita, il mare a due passi, l’ombrellone sbrindellante e il lettino riposante”, spiega Alberto Asor Rosa. “Tutto quello che c’è oggi lo si deve – aggiunge il professore – a quei quattro mascalzoni da cui tutto dipende”: Adalberto (detto “il Lungo”), Marcello (“Pelo”), Riccardo (“Cedrone”) e Valerio (“lo Straniero”). Furono loro ad aprire quello che all’epoca di notte diventava anche un dormitorio (avevano sempre coltelli da cucina sotto il letto per difendersi da eventuali malintenzionati) e furono loro, tra quegli assi di legno e un caffè shakerato, ad assistere alla trasformazione del Partito comunista e allo sgretolarsi della sinistra per quella che si era sempre concepita, così come alla caduta del governo Goria tra il 1992 e il 1993.
“Occhetto e La Malfa ci chiesero di uscire perché dovevano parlare”, spiega Riccardo, e lo ribadisce anche nel libro celebrativo, i cui proventi (si può acquistare anche su Amazon) saranno dedicati alla realizzazione di una biblioteca comunale nel borgo. “Il giorno dopo capimmo che quella chiacchierata aveva fatto saltare il banco”. Achille Occhetto, tra l’altro, fu il primo a essere paparazzato su quel lido abbracciato alla moglie Aureliana. Di scatti ce ne furono tanti altri e di tutti i tipi, rubati e non, come il topless di Lilli Gruber o quelli in cui traspare l’eleganza innata di Margherita Buy, vestita Armani anche sulla sabbia, che ricorda “l’Aurelia infuocata” percorsa per arrivarci e l’orizzonte sullo sfondo “che si squaglia come un quadro di Dalì”.
Un posto “con l’aria libera e pulita, il mare a due passi, l’ombrellone sbrindellante e il lettino riposante”, dice Alberto Asor Rosa
Nicola Caracciolo e Rossella Sleiter, vestiti con gli stessi colori che Roberto Calasso sceglierebbe per una delle copertine dei suoi libri Adelphi, hanno da sempre lì il loro ombrellone, color blu navy come le sdraio e i comodi lettini, scelto – questo i quattro proprietari tengono a precisarcelo più di una volta – prima che Berlusconi scendesse in campo nel 1994. “Nessuno di noi si cambiava il costume, pochi usavano la doccia, il sale sulla pelle piaceva a tutti, le conversazioni si infittivano e le amicizie si allargavano – ricorda la Sleiter – e alla fine nasceva un sentimento di comunità che non ci ha mai abbandonato”.
In quel lembo di costa toscana “che confina con il Lazio e che delimita a sud il Santuario dei Cetacei” (la definizione è di Luigi Coldagelli, ufficio stampa Rai), non c’è spazio per leghisti o grillini e l’unico Di Maio ammesso è un vino bianco ghiacciato che si scrive “Di Majo”. Tra tuffi, abbracci, baci, canzoni, fritture, passeggiate, baby sitter filippine e peruviane e gonfiabili di ogni tipo (negli ultimi due anni si portano molto i fenicotteri rosa e gli unicorni, come in un normalissimo stabilimento di Ostia), sono passati un po’ tutti quelli che contano (o credono di contare) e quei “quattro dannati del mare” hanno visto formarsi e crescere famiglie, ma anche sfasciarsene, per poi crescere di nuovo ma con altri volti e altri bisogni.
Uno dei primi a metterci piede – tiene a precisarlo lui stesso – fu Carlo Petruccioli che arrivava da Roma, scendeva nell’allora stazione di Chiarone dove c’era il casale dell’amico Alberto Sironi (il regista di Montalbano) e, insieme, andavano a piedi in spiaggia per poi tornare nella Capitale in serata. Di vero c’è che Capalbio non è un posto per tutti. Un appartamento in affitto per quattro persone durante l’alta stagione arriva anche a tremila euro a settimana, il prezzo di un ombrellone con due lettini oscilla fra i 30 e i 60 euro al giorno, e una cena completa in uno dei pochi ristoranti sul lido costa non meno di 40-50 euro a persona, vini esclusi. Ma c’è l’alternativa.
Se si frequentano questi lidi, basta davvero poco per essere arruolato – come ha detto qualcuno – tra le “Brigate Rolex capalbiesi”
Evitando il vicino stabilimento “La Dogana” – dove riposa Marco Travaglio con il suo costumino a slip – c’è Macchiatonda, subito dopo l’Oasi del Wwf (da visitare, come l’antistante lago di Burano). Qui vi sono due nuovi ampi parcheggi, spiagge attrezzate – economiche – dai nomi decisamente più pop (“Sandy Beach” e “Ginepro Coccolone”), ma anche due posti altrettanto raffinati nella loro semplicità: il “Carmen Bay” – dove sono di casa, pardon, di tenda, Roberto Cicutto, presidente di Istituto Luce Cinecittà con il regista Piero Maccarinelli, il ministro Carlo Calenda e persino Romano Prodi – e il neonato club “La Macchia”, ospitato all’interno di un antico casolare seicentesco con vista sulla spiaggia che l’anno prossimo, proprio con l’apertura del suo primo stabilimento, potrà essere una minaccia per “L’Ultima”.
Nel frattempo, come in ogni estate che si rispetti da queste parti, non mancano le polemiche. Se due anni fa, “il problema” era rappresentato dallo scandalo migranti che avrebbero potuto “minacciare” la tranquillità dei villeggianti o “distruggere” una delle sculture di Niki de Saint Phalle al Giardino dei Tarocchi, quest’anno ci si è messo l’ex sindaco Gastone Franci, come riportato dalla stampa locale, che ha chiesto l’intervento della Capitaneria di porto perché “i nudisti in spiaggia sono troppi”, senza considerare, forse, che in realtà i posti in cui una persona può stare senza costume sono lontani e isolati in quei sei chilometri di natura incontaminata, l’unico fastidio che si può avere è l’inquietante profilo della centrale nucleare di Montalto di Castro.
“Non si tratta di essere bacchettoni, la mia storia personale racconta ben altro – ha dichiarato Franci – ma credo che qualcosa sia sfuggito di mano a chi deve controllare. Ignoro le ragioni, ma il numero dei nudisti si è moltiplicato in questa zona e auspicare un giro di vite, una repressione, o in alternativa una regolamentazione, lo trovo normale”. “Sono intercorsi contatti con le capitanerie di porto per promuovere dei controlli congiunti e con le associazioni nazionali naturisti per verificare la fattibilità dell’istituzione su un tratto di arenile a spiaggia dedicata solo ai nudisti”, gli risponde l’attuale primo cittadino Luigi Bellumori che iniziò a lavorare come barista proprio all’Ultima Spiaggia. “Gli amanti del nudo integrale, se lo fanno con buon senso e riservatezza, possono convivere tranquillamente, in un tratto mappato, con chi passeggia lungomare”.
Problemi capalbiesi, insomma, l’importante è che se ne parli. Come il Premio Capalbio – andato quest’anno, tra gli altri, a Giuliano Amato e Walter Veltroni – la 53esima Sagra del Cinghiale e il primo Villaggio dedicato alla mobilità intermodale sostenibile. Nel frattempo, se – come ci dice Colombo – qualcosa vi turba e qualcosa è cambiato e non ritrovate la festa, non è colpa nostra, è la destra”.
Antifascismo per definizione