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Cantami, o diva

Maurizio Stefanini e Marco Zoppas

Le opere di Verdi, il Nobel a Dylan. “Da Omero al rock”: un libro spiega perché non si è mai interrotto il rapporto tra musica e letteratura

Pubblichiamo in questa pagina l’Introduzione del libro di Maurizio Stefanini e Marco Zoppas “Da Omero al rock. Quando la letteratura incontra la canzone” (edizioni il Palindromo, 302 pp., 18 euro). Il volume è uscito in questi giorni nelle librerie.

  


  

Non si torna più indietro. L’assegnazione del premio Nobel a Bob Dylan significa che il rock è entrato nel salotto buono della Letteratura con la lettera maiuscola e la linea di separazione tra cultura alta e cultura bassa non ha più motivo di esistere. Prendendone atto ci risparmieremo sterili polemiche su chi abbia il diritto di definirsi poeta e chi no. Stupisce semmai la lentezza con cui da Stoccolma si siano accorti della portata di un avvenimento che ormai risale a cinquant’anni fa. In soli due anni, tra il 1965 e il 1966, Dylan inventò un nuovo linguaggio spostando inesorabilmente l’asticella dei confini della letteratura.

 

Leonard Cohen iniziò tardi a mettere in musica i suoi testi. Prima era stato l’autore di alcune notevoli raccolte di poesie e di due romanzi

Gli autori d’origine dei musical, spesso gli stessi della lirica. Un’opera letteraria può essere “raccontata” anche in una singola canzone

Va comunque riconosciuto che gli svedesi hanno avuto l’umiltà di pronunciare un verdetto storico. Il Nobel del 2016 verrà ricordato a lungo. Ha ancora senso domandarsi se una poesia, una volta messa in musica, rimane una poesia? L’11 novembre dello stesso anno ci ha lasciati Leonard Cohen, un altro grande poeta del rock. Lui e Bob Dylan hanno creato una nuova consapevolezza, hanno innalzato l’umanità di un livello. Davvero può dar fastidio ai detrattori dell’assegnazione del premio Nobel il fatto che le loro parole siano accompagnate dalla musica? Leonard iniziò tardi a mettere in musica i suoi testi e a fare dischi, all’età di 33 anni. Prima era stato l’autore di alcune notevoli raccolte di poesie e di un paio di romanzi acclamati dalla critica, tanto che un recensore lo definì “il nuovo James Joyce canadese”. Parliamo quindi di letteratura perché James Joyce è letteratura. Poi Cohen cominciò a musicare le sue poesie. Smettono di essere poesie soltanto perché adesso nei dischi sono accompagnate da una chitarra e una batteria? Davvero non si capisce il problema.

 

Non perderemo tempo a domandarci se una poesia, una volta messa in musica, rimane una poesia. Semmai ribalteremo la prospettiva del giudizio e ci chiederemo se, da ora in poi, una poesia che non può essere musicata debba ancora essere considerata una poesia. Se le manca qualcosa di essenziale, ci domanderemo, al limite se quel poeta è davvero ancora un poeta o se è il caso che cambi mestiere. (…)

 

Le statue dei Greci e dei Romani ci sono arrivate perfettamente bianche e per questo dal Rinascimento si affermò l’ideale di un tipo di scultura che doveva essere in marmo candido. Perpetuato nei calchi di gesso delle Accademie, questo schema contribuì alla creazione di grandi opere d’arte, superiori, a volte, agli stessi modelli greco-romani. In realtà, come confermato da tutti gli studi archeologici, le statue classiche erano sfavillanti di colori che poi il tempo ha dilavato. Insomma, le statue classiche non assomigliavano a quelle statue neoclassiche che a esse si ispirano. Assomigliavano alle statue dei santi della devozione popolare cattolica o indù, se non ai poster pubblicitari. Cioè esattamente a quel tipo di arte che oggi chi è formato al manierismo neoclassico considererebbe “di cattivo gusto”. Solo che gli artisti antichi non lavoravano per le motivazioni e per le funzioni degli artisti neoclassici di oggi, ma esattamente per le motivazioni e funzioni che oggi fanno lavorare gli scultori di santi o i realizzatori di poster. Insomma, è tutto un colossale equivoco. Anche con effetti benefici, visto che se non si fosse verificato non avremmo avuto la Pietà, il Mosè o il David. Ma, comunque, un equivoco.

 

Mutatis mutandis, la storia del rapporto tra scultura e colore, è più o meno la stessa del rapporto tra letteratura e musica. Abbiamo ricordato il commento che al Nobel a Bob Dylan è venuto da Roberto Vecchioni, non a caso professore di lettere e cantautore al tempo stesso: non esiste in nessuna società preistorica una poesia che sia nata senza musica; la letteratura non è scrittura bensì parola, e come tale può essere cantata. In realtà, prima dell’affermarsi della scrittura, senza un supporto musicale era quasi impossibile memorizzare i versi. Poi la scrittura si è diffusa, e la gente ha imparato a leggere. Dapprima solo le élite, e infatti la poesia popolare ha continuato a lungo ad appoggiarsi al canto. Poi l’educazione di massa ha alfabetizzato tutti, e da ultimo col karaoke non c’è neanche più bisogno di ricordarsi le canzoni a memoria. Anche la musica a un certo punto ha iniziato a essere trascritta, ma più tardi, e tuttora la conoscenza del pentagramma non è altrettanto universale quanto la conoscenza dell’alfabeto.

 

In questo processo, i poemi di Omero e le grandi tragedie di Eschilo, Sofocle ed Euripide sono stati conservati senza le melodie che li accompagnavano, e al di là del testo in prosa è comunque nato anche per la poesia un canone in cui la musicalità della parola può affermarsi senza il supporto del canto. Se vogliamo, la poesia senza canto è anzi più antica della statua senza colore, e anch’essa ha dato all’umanità grandissimi capolavori. Ma perfino al poeta e al letterato è venuta la tentazione di disprezzare il canzonettista, allo stesso modo in cui lo scultore accademico disprezza il realizzatore di statue di santi. Per questo a molti è sembrato strano che un autore di canzoni come Bob Dylan potesse essere insignito del Nobel per la letteratura.

 

Vecchioni: non esiste nella società preistorica una poesia che sia nata senza musica; la letteratura è parola, e come tale può essere cantata

Al poeta è venuta la tentazione di disprezzare il canzonettista, un po’ come lo scultore accademico disprezza chi fa statue di santi

Eppure, in realtà il rapporto tra musica e letteratura non si è mai del tutto interrotto. Se vogliamo, anzi, è diventato molteplice. Si può infatti prendere un’opera letteraria e adattarle una melodia scritta ad hoc. E’ però essenziale che l’opera sia già in versi. Un esempio di altissimo livello è l’Inno alla gioia: la Sinfonia n. 9 che Ludwig van Beethoven fece rappresentare nel 1824, sui versi dell’Inno alla gioia che Friedrich Schiller aveva composto nel 1785 e pubblicato nel 1786. Spesso, però, la poesia originale non è lasciata nella sua interezza, ma è sottoposta a qualche adattamento: versi tagliati o mescolati, o con modeste aggiunte. E’ il caso, ad esempio, della Ninna nanna della guerra di Trilussa cantata da Claudio Baglioni, o di Divina Commedia, Paradiso, Canto XI messo in musica da Angelo Branduardi. Un adattamento può essere poi considerato quando la poesia è messa in musica non nella sua lingua originale, ma in traduzione. Il già citato Angelo Branduardi, prima di mettere in musica Dante nel 2000, nel 1975 aveva fatto la stessa operazione con le Confessioni di un teppista di Sergéj Aleksándrovic Esénin, ribattezzata Confessioni di un malandrino, cantata poi anche in francese e in inglese. Sempre Branduardi nel 1986 pubblicò l’album Branduardi canta Yeats, contenente dieci poesie del Nobel per la letteratura irlandese William Butler Yeats, tradotte dall’inglese da sua moglie Luisa Zappa e da lui musicate e cantate.

 

Scritto in ebraico, il Salmo 137 della Bibbia nella traduzione italiana è stato adattato nel celeberrimo coro Va’ pensiero dell’opera di Giuseppe Verdi Nabucco, mentre nella traduzione in inglese detta “di Re Giacomo” è stato adattato in chiave reggae come Rivers of Babylon, grande hit dei Boney M. (…)

 

Ovviamente, un’opera in prosa non può essere messa semplicemente in musica. Va quindi in qualche modo riscritta, e traslata in versi. Ma il canto è una forma di recitazione, e quindi una forma di trasposizione particolarmente usata è quella del teatro musicale. Antonio Gramsci osservò che in Italia il melodramma di Giuseppe Verdi aveva avuto quel ruolo “nazionalpopolare” che in altri Paesi era stato esercitato dal grande romanzo ottocentesco, e in effetti il Rigoletto e Ernani sono tratti da drammi di Victor Hugo; La traviata da La signora delle camelie di Alexandre Dumas figlio; Il trovatore e La forza del destino da opere teatrali spagnole; Macbeth, Otello e Falstaff da Shakespeare; il Nabucco dalla Bibbia; I masnadieri, Luisa Miller e Don Carlos da Schiller.

 

Si può anticipare che se l’opera lirica continua a essere un grande spettacolo ma con un repertorio che si è sostanzialmente fermato a un secolo fa, partendo dalla musica leggera di oggi è però nato un nuovo genere di teatro musicale che viene variamente definito musical, opera, opera popolare, e i cui autori di origine sono spesso gli stessi della grande opera lirica. Dallo stesso Victor Hugo di Rigoletto e Ernani sono ad esempio tratti sia Notre-Dame de Paris di Riccardo Cocciante che Les Misérables di Claude-Michel Schönberg e Alain Boublil.

 

Un’opera letteraria può in alternativa essere “raccontata” con un gruppo di canzoni raccolte in un concept album. E’ quello che fa Bennato nei suoi due Lp probabilmente più famosi: Burattino senza fili (1977), dedicato al Pinocchio di Collodi, e Sono solo canzonette (1980), dedicato al Peter Pan diJames Matthew Barrie. Quasi contemporaneo è Tales of Mystery and Imagination, concept album di esordio che nel 1976 la progressive rock band inglese The Alan Parsons Project dedicò ai racconti di Edgar Allan Poe (stessa cosa farà Lou Reed nel 2003 con The Raven). Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez è al centro di Terra e libertà dei Modena City Ramblers, concept album del 1997. La buona novella, incisa da Fabrizio De André nel 1970, riprende vari vangeli apocrifi: in particolare il Protovangelo di Giacomo e il Vangelo arabo dell’infanzia di Gesù.

 

Ma un’opera letteraria può essere “raccontata” anche in una singola canzone. Itaca di Lucio Dalla, ad esempio, è l’Odissea di Omero dal punto di vista di un umile marinaio. Massimo Bubola in Eurialo e Niso ha ripreso un episodio dell’Eneide di Virgilio proiettandolo all’epoca della guerra partigiana contro i tedeschi, mentre nel Blues di Re Teodorico ha narrato la stessa storia della Leggenda di Teodorico di Giosuè Carducci. Cándidos degli Inti-Illimani è dedicato a un altro libro di Gabriel García Márquez: L’autunno del patriarca. Samarcanda di Roberto Vecchioni è una favola orientale presente sia nell’incipit del romanzo Appuntamento a Samarra di John Henry O’Hara che nelle Storie di Maghrebinia di Gregor von Rezzori, oltre che nel Talmud, anche se Vecchioni non l’aveva letta direttamente ma ascoltata da un “americano ubriaco”. Il riferimento dello stesso Vecchioni al personaggio di Daniel Defoe in Robinson è invece più generico, così come quello di Montecristo o di Milady ai libri di Dumas: più che altro, si gioca col titolo.

 

Ma qui si va a un’altra variante, in cui l’opera letteraria può dare alla canzone uno spunto, o essere citata. La locomotiva di Francesco Guccini, riprende una storia vera, anche se nella realtà il macchinista anarchico Pietro Rigosi non solo sopravvisse, ma evitò il carcere con motivazioni riguardanti la salute mentale. Il paragone della locomotiva con un mostro simbolo di progresso è però chiaramente ripreso dall’inno A Satana di Giosuè Carducci, anche se il testo è ispirato pure da canzoni anarchiche come l’Inno della rivolta o l’Inno individualista. Roland - Chanson de geste, chanson sans geste è una polemica contro l’epica della Chanson de Roland. Sempre al ciclo carolingio allude Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers di Fabrizio De André (scritta con Paolo Villaggio), in cui si ritrova anche un’ironica citazione dantesca.

 

Andando avanti, si può dedicare una canzone a uno scrittore o a un poeta. C’è ad esempio A.R., canzone di Roberto Vecchioni su Arthur Rimbaud. O Dino Campana di Massimo Bubola. O A Pa’ su Pier Paolo Pasolini, di Francesco De Gregori, cantautore nella cui Alice c’è un “Cesare perduto nella pioggia” che “sta aspettando da sei ore il suo amore-ballerina / E rimane lì a bagnarsi ancora un po’ / e il tram di mezzanotte se ne va / ma tutto questo Alice non lo sa”: cioè, Cesare Pavese. Può essere lo stesso scrittore o poeta a scrivere un testo destinato a essere musicato. Come vedremo, hanno scritto canzoni Pier Paolo Pasolini, Gabriele D’Annunzio, Pablo Neruda, Bertolt Brecht, Jorge Luis Borges. Uno scrittore può poi mettersi a scrivere di musica o di cantanti. Jorge Luis Borges ha in effetti lasciato pagine famose sul tango, Gabriel García Márquez ha scritto di Shakira. Oppure, può essere un cantante che decide di mettersi a scrivere libri. In Italia un’importante trasformazione professionale in questo senso è stata quella compiuta da Francesco Guccini. Ma anche Woody Guthrie una volta aveva provato a cimentarsi in un romanzo.

 

Andando oltre il rapporto tra musica e letteratura, potremmo poi spingerci ad analizzare i rapporti tra musica e arte figurativa. Ormai sanno tutti che Volare di Domenico Modugno fu ispirata da un quadro di Chagall; ma possiamo citare anche Vincent, la canzone che Don McLean nel 1971 dedicò alla Notte stellata di Van Gogh. O Le ragazze di Gaugain di Grazia Di Michele. O la canzone dedicata dai Mecano a Salvador Dalí. O ancora Museica: albo di Caparezza le cui canzoni sono tutte ispirate a quadri famosi.

 

E potremo perfino ricordare qualche cantante che ha preso il nome da un’opera letteraria. Gli alunni del sole: romanzo di Giuseppe Marotta del 1952 e complesso musicale famoso negli anni ‘70. La Compagnia dell’Anello: primo volume della trilogia Il Signore degli Anelli di John Ronald Reuel Tolkien e gruppo musicale di destra nato nel 1977. Tazenda: immaginario pianeta citato nel romanzo di Isaac Asimov Second Foundation, che in italiano fu tradotto col titolo L’altra faccia della spirale, e famoso complesso etno-rock sardo attivo dal 1988.

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