Young Signorino

A forza di giustificare i cialtroni siamo arrivati a definire artista Young Signorino

Simonetta Sciandivasci

Vent’anni e nessun talento, ma per qualcuno “va ascoltato”

Bisogna che cominciamo a sederci dalla parte del torto, e presto, o chissà, domani, su che cosa metteremo le mani. Dice qualcuno che lo sfascio è colpa dei giornalisti che non hanno fermato gli sfascisti e magari fosse così semplice. Di certo, a reiterare la compiacenza verso cialtroni e monnezza (trash, pardon) non sono stati solo i giornalisti: l’abbiamo fatto tutti. E ora eccoci qua, avviluppati nell’impostura per averle voluto dire sempre di sì, come si fa coi matti. “Sono una fan della merda”, ha detto una ragazza in fila per il concerto di Young Signorino, venerdì scorso, a Roma, a chi le domandava come mai l’ascoltasse. Un altro ha detto “riesce a chiamare tutta questa gente senza fare un cazzo: è la cosa più geniale che esista!”. Per capire la meravigliosa lucidità di questi due appena ventenni, vi basta andare su YouTube e ascoltare Mmh ha ha ha e Dolce droga, i pezzi più celebri di questo ventenne che si dice figlio di Satana, erede di Marilyn Manson, poligamo (ragazze, complimenti), e che lavora alla leggenda di sé stesso dal 2016, cioè da quando, dopo essersi risvegliato dal coma (per abuso di farmaci) ha deciso di chiamarsi Young Signorino (prima era un banale Paolo Caputo di Cesena).

  

 

Per capire, invece, la riduzione in scala della nostra resa alla cialtroneria che la parabola di questo ragazzino rappresenta, il modo in cui imparrucchiamo i dati di realtà più sgradevoli, la nostra strenua resistenza a chiamare le cose con il loro nome (se chiami monnezza la monnezza sei un parruccone bolso snob e – male dei mali – intellettuale: devi dire pop/popolare/artistico), basta rivedere la puntata di "Matrix" di venerdì scorso, quando, ospite da Chiambretti, senza mai levarsi né gli occhiali da sole né quel sorrisetto un po’ così che abbiamo noi quando siamo sedicenni e mamma ci dice “nessuno ti capisce come me”, si godeva gli sforzi del conduttore di farlo parlare; la faccia schifata di Orietta Berti (quando lui ha dichiarato di non sapere chi lei fosse, quella ha risposto “non sai neanche chi è Otis Redding?” e no, ovviamente no, e allora lei glielo ha spiegato e lui ha detto “non me ne frega niente”); due psicologi interpellati per dirgli uno (Crepet) che non è ancora il caso di dirsi artista e due (Andreoli) per dire alle mamme che è normale e giusto e sano che a loro non piaccia quello che piace ai propri figli. Tutta una fenomenologia e un’ermeneutica del trash per dire la cosa più vecchia del mondo, e cioè che gli artisti devono essere controversi e disturbanti e che gli adolescenti sono migliori di noi – e questi in particolare sono i migliori della storia, dice che l’ha scritto il Guardian e allora mani in alto, dopotutto senza andare in Inghilterra ce lo prova la ragazzina di “mi piace la merda”, una vestale della verità.

 

 

Non è interessante il dato tecnico di Young Signorino (per la cronaca, non sa suonare, ma gli intelligenti dicono che “ha basi pazzesche”, quelle che fai col pc mica col conservatorio), né abbiamo a cuore che sia un esempio per chi l’ascolta, né ci scandalizza che si senta figlio del demonio e che abbia la faccia tatuata (carina la lacrima, fatti abbracciare piccolo diavolo) e gli piacciano gli psicofarmaci e che soffi e sbraiti e sbuffi nel microfono e prenda a parolacce la gente su Instagram e minacci dal palco di Padova chi gli tira un bicchiere di plastica – a Roma invece sul palco non ci è nemmeno salito, e non ci sarebbe stato niente di male, succedeva pure a Jim Morrison e a Trent Reznor, solo che nessuno di loro ha mai detto, come ha fatto lui, “scusate, i gestori del locale mi hanno causato problemi psicologici”.

 

Questo “artista controverso della trap”, come lo descrivono i giornaloni, non è un musicista ma (almeno per ora) è un personaggio che ha il talento di questo tempo: sembrare di rottura mentre si tengono insieme tutti i cocci. Ed è interessante che a noialtri, adulti o vecchi o giù di lì, manchi il coraggio che hanno i suoi fan: riconoscerlo per quello che è, un cialtrone di cui (con cui?) ridere, tenendosi alla larga dall’epica del disagio e dello spirito del tempo. Sarà che non vogliamo sederci dalla parte del torto perché è piena di anziani, gentaglia che ascolta Otis Redding e i Ramones.

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