Foto di Paul Sableman via Flickr

Così il cinismo e l'ironia di Lansdale entrano senza buonismi nell'America nera

Gianmaria Tammaro

"Bastardi in salsa rossa" è l'ultimo libro del romanziere texano. Tra sbirri corrotti, spacciatori, ragazzi confusi e mazzate, ritornano i detective Hap e Leonard 

Messi da parte i racconti solitari, le incursioni in punta di penna e gli sprazzi di reminiscenze occasionali, i libri che Joe R. Lansdale ha dedicato ai due detective Hap e Leonard salgono a quota dieci. L’ultimo, intitolato “Bastardi in salsa rossa”, edito da Stile Libero di Einaudi, è uscito pochi giorni fa in libreria.

 

Dopo quasi trent’anni – tempo funzionale, non reale – di indagini, cazzotti, inseguimenti, accoltellamenti, sparatorie e scopate feroci, siamo finalmente in un’America a noi più familiare, figlia di quella degli anni Novanta, piena di cellulari, smartphone e telecamere, dove una fotografia fuori posto può fare la differenza tra la vita e la morte e dove un omosessuale, se vuole, può dichiararsi senza (quasi) nessun problema.

 

Lansdale scherza sui tempi e sulle persone che cambiano. I suoi Hap e Leonard sono invincibili, pestabili ma indistruttibili, somma di tantissimi cliché e proprio per questo, o forse grazie soprattutto a questo, perfetti. Le loro avventure sono gialli, ma che gialli: si indaga, sotto c’è sempre qualcosa che puzza; i cattivi, i meno cattivi e i buoni tornano puntualissimi, in una nomenclatura attenta e riconoscibile.

 

Anche Hap e Leonard, che fanno occasionalmente da giustizieri senza macchia, si riservano il piacere di una dolce e lenta vendetta. In “Bastardi in salsa rossa”, non risparmiano i cazzotti, le craniate, i montanti, e nemmeno gli insulti per una ragazzina dalla lingua lunga. E che dialoghi: tra i più divertenti che si siano mai letti e scritti. Lansdale dosa saggiamente ironia e cinismo, simpatia e cattiveria. Fa di Hap un tipo brillante ma non troppo; e di Leonard un personaggio quasi sorkiano (anche se, e va detto, Lansdale scrive da abbastanza tempo per non aver dovuto prendere spunto da nessuna delle sceneggiature di Aaron Sorkin).

 

La cosa più incredibile, e che francamente piace di più, è come Lansdale, bianco, riesca a rappresentare, senza cadere in buonismi eccessivi o, al contrario, qualunquismi sfiancanti, la comunità nera. “Gli stronzi sono ovunque”: questa, a guardarsi attorno, potrebbe diventare tranquillamente un mantra religioso.

 

Insieme ai personaggi, detective, cani golosissimi, compagne di una vita, amanti poco lubrificati e figlie ritrovate, tornano anche le arti marziali, altra grandissima passione di Lansdale, che ogni volta si diverte a descrivere e a ricostruire con le parole ciascun movimento. 

 

In “Bastardi in salsa rossa”, si indaga sull’omicidio di Jamar, ragazzo di colore, promettente – ma disinteressata – stella della boxe, e su certi traffici che vengono imbastiti alle Case Popolari. Gli ingredienti principali, ancora una volta, sono: sbirri corrotti, spacciatori, ragazzi confusi e mazzate. Uno dei capitoli più interessanti è quello in cui Lansdale si lascia andare alla malinconia e descrive il bosco dove una volta abitavano Hap e Leonard. Il suo, più che un pigro esercizio di stile, pare più una lettera d’intenti, o d’amore se preferite, in cui ringrazia ciò che è stato e rimpiange (poco, senza esagerare) ciò che non tornerà più.

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