Il presidente americano Barack Obama (foto LaPresse)

Elogio dei popoli occidentali che si ribellano a queste élite

Riccardo Ruggeri
Il fallimento di Obama sancito da quanto avvenuto a Dallas la scorsa settimana, quello inglese dalle urne pro Brexit, sono un avvisaglia di quanto potrebbe succedere in autunno in Francia, Austria e Italia. L'occidente in crisi torni al discorso di Benedetto XVI a Ratisbona e abbracci Putin.

A Dallas, molti anni fa un bianco uccise, fisicamente, un presidente bianco, ora, nell’anno del Signore 2016, sempre a Dallas, un nero ha ucciso, politicamente, un presidente nero, il primo. Un evento, quest’ultimo, di cui chi conosce l’America vera, quella profonda come il mio mai dimenticato Midwest, percepisce l’aspetto culturalmente e politicamente devastante. Un presidente nero partito in tromba, prima con un Nobel per la Pace, curiosamente assegnato a titolo preventivo, senza merito, poi con un discorso al Cairo, in prima lettura sembrava dettato da Churchill, anni dopo parve scritto dal computer, un “uno-due” che nelle intenzioni avrebbe dovuto segnare un’epoca. Così non fu. Dopo otto anni la presidenza si chiude nel silenzio imbarazzato di un popolo, e nel volto devastato dalla delusione di un presidente precocemente invecchiato (a dimostrazione che era una persona perbene, seppur inadatta al ruolo). Purtroppo, per stanchezza o per sprezzo del ridicolo, chiude, in bruttezza, dando il suo endorsement al presunto futuro presidente (il primo nero passa il testimone alla prima donna bianca), proprio il giorno dopo che costei ottiene dal Fbi un certificato di inettitudine conclamata (esente però da illegalità). Imbarazzante.

 

Venti giorni prima, nella Londra della Magna Carta, il popolo delle periferie, ormai tutta l’Inghilterra si è fatta periferia, salvo pochi quartieri londinesi, dove ricchi idioti durante il giorno fornicano con gli algoritmi e la sera con bambole gonfiate, ha detto “no” a una forma di capitalismo bastardo e alla politica di “consolidamento” fra gli stati, malamente mutuata dal big business.

 

Di quello che resta del fu Impero austro-ungarico, il 2 ottobre prossimo le due leadership attuali, correttamente, affideranno al popolo scelte epocali, altrettanto farà l’Italia il 6 novembre, grazie alla sensibilità di un giovane premier che vuole una certificazione popolare, per andare o meno avanti nel sentiero che si è tracciato. Una scommessa che si merita. Sempre in autunno, quello che resterà del Regno un tempo unito si affiderà a una donna. Per la prescelta, sarà drammatico, dovendosi confrontare con l’unico mito politico del tempo di pace del “secolo breve”, Margaret Thatcher. L’anno dopo toccherà alla Francia giacobina sottoporre al popolo il dilemma se confermare l’attuale inquilino dell’Eliseo (o un suo sosia) o puntare su una donna, questa appare però, a prescindere, inaccettabile per le Classi dominanti. Anche la grande Germania dovrà decidere se confermare o meno l’attuale curioso ircocervo berlinese, metà bottegaia, metà badante.

 

Nella loro infinita ignoranza scolastica, ma sublime intelligenza umana e politica, i popoli occidentali, avendo colto la modestia culturale e operativa dei loro leader attuali, hanno acquisito una convinzione: scegliendo comunque donne il confronto con le eunucoidi leadership maschili neppure si pone. Tanto il garante dell’occidente, e dei nostri valori giudaico-cristiani attaccati dagli islamisti, che piaccia o meno, de facto l’abbiamo affidato a un lupo alfa siberiano che, quatto quatto, mentre noi discutevamo se chiamarlo o meno Daesh, ci ha liberato dall’Isis.

 

Sul colle di Roma che conta, un gesuita argentino continua nel suo impegno di fare radicali pulizie pasquali nelle sacre stanze, come si usava un tempo nelle famiglie piemontesi, da lui frequentate, e nel frattempo cerca, con grande impegno, di recuperare quote di mercato alla sua Comunità.

 

Per fortuna, Dio veglia su noi occidentali. Ci ha lasciato un dono inestimabile, una figura elegante, coltissima, ieratica, la più grande mente e il più grande cuore di quest’epoca, che con timidezza e riserbo, sempre tacendo, vigila su di noi.

 

Quando sono particolarmente triste e preoccupato per il futuro dei miei amati nipotini, mi rileggo il suo discorso di Ratisbona, da un lato una grande pace mi avvolge, dall’altro una grande forza si impossessa di me. Allora sogno una Europa giudaico-cristiana (bianca o colorata mi è indifferente), purché sia esente da insopportabili Illuminati rousseauiani giacobini. E sogno la Russia, come spada.