Dallas, afroamericani morti: 5 agenti uccisi da un cecchino durante proteste contro polizia (foto LaPresse)

Dallas, in diretta dal Golgota

Giuliano Ferrara

In mezzo alla tragedia americana arrivano i conti morali impossibili tra il valore delle vite nere e quelle degli uomini in divisa blu. E l’ottimismo responsabile di Obama è diventato infine un emblema di impotenza da illuminato.

La tragedia americana è una sequenza atroce e spettacolare di fatti letali e destini personali in diretta video. C’è la maglietta insanguinata del nero colpito in auto da un poliziotto bianco durante un controllo, il pianto della figlia di quattro anni dell’uomo morto ammazzato, le grida della sua fidanzata, il comportamento isterico del funzionario che spara. C’è l’agguato notturno del cecchino che vuole colpire più poliziotti possibile in coda a una manifestazione di protesta intitolata “black lives matter” (le vite dei neri contano), il killer ne colpisce undici in uno scenario di caos, e la vendetta o rappresaglia si porta via le vite di cinque poliziotti. “In diretta dal Golgota”, aveva intitolato Gore Vidal un suo racconto di satira blasfema sulla crocifissione.

 

Tutti a parole si mostrano consapevoli dell’equivalenza etica ed emozionale delle vite soppresse: le vite dei neri, le vite degli uomini in divisa blu (blue lives matter). Da otto anni un nero afroamericano è alla Casa Bianca, e per la condanna del pregiudizio razziale nel mantenimento dell’ordine come per la marchiatura dell’agguato contro i cops (spregevole, vile, despicable) Obama trova parole sensate e comuni, istituzionali e personali, che non hanno colore. Il capo del dipartimento di polizia di Dallas è un nero con i lineamenti da grande attore, e la sua recita con cinque compagni morti sulla groppa suona asciutta, insieme commossa e in certo senso maestosa, con le passioni sotto controllo. Ma tutto questo non basta. I fatti ci sono, la ferocia circola, diffidenza e opposizione razziale intossicano, e il Golgota americano è in diretta simbolica e operativa, digitale e virtuale, sempre, comunque.

 

Cultura e politica complicano il panorama già tragico della vita. La sacrosanta integrazione degli afroamericani, che compie sessant’anni dopo le prime, decisive, vittorie nelle battaglie antisegregazioniste, si è convertita in simbologia civilizzatrice del politicamente corretto, nel solito sogno rousseauiano e giacobino di costringere gli uomini a essere liberi ed eguali (un fenomeno, quest’ultimo che l’America giusnaturalista non conosceva). Ora c’è il risveglio dell’America bianca, low middle class, una classe media che si sente diseredata e lasciata indietro dalle convenzioni vittoriose e dalle retoriche e politiche dell’establishment. La reazione di pancia all’egualitarismo multietnico e muticulturale, in un paese celebre per essere figlio dell’accoglienza meticcia e multiconfessionale, diventa sogno identitario, un’America “di nuovo grande” perché recupera una radice di cui si sente espropriata con radicalità. In mezzo a questo tremendo pasticcio, arrivano i conti morali impossibili con il valore delle vite nere e delle vite blu.

 

Le guerre sono controbilanciate dall’umanitarismo, non si definiscono più in base alla vittoria, quindi non finiscono mai. Prendo questo spunto aforistico, che i lettori di questo giornale conoscono da anni, dai quaderni del professor Cosmo nel romanzo di Edoardo Albinati. La guerra razziale americana, infinita anch’essa e inadatta allo stesso concetto di “vittoria”, dovrebbe implicare la sola prevalenza possibile, quella della giustizia, la giustizia. Il popolo dei blu ha dalla sua la differenza tra un controllo di polizia con esito tragico e preterintenzionale, almeno in senso giuridico, e un agguato premeditato contro il simbolo sacro della sicurezza e della comunità americana, l’uomo in divisa. Seguono gli arresti dei presunti responsabili. Il popolo dei neri, che i giornalisti della Cnn ospitano attoniti e impacciati, mentre la Fox sa già bene a chi attribuire ogni colpa, ha dalla sua il fatto che se uccidi un cittadino con la divisa indosso in genere succede che te la cavi, o te la puoi cavare, perché certe reazioni o azioni sono giudicate incerti del mestiere, con le attenuanti del rischio personale in nome della sicurezza collettiva, e dunque no justice, no nomi, no arresti, la vita nera non conta poi quanto il cuore giusto degli uomini e delle donne vorrebbe.

 

E’ una situazione praticamente, moralmente indecidibile, e per questo tragica. L’ottimismo responsabile di un community organiser come Obama, che non è riuscito a riorganizzare la sua comunità multinazionale secondo un criterio di unità e identità e libertà, diventa così emblema di impotenza da illuminato, anche al di là dei suoi errori, un fallimento che può travolgere il suo lascito fino alle estreme conseguenze.

 

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.