Quanto tira Nairobi in cucina

Giovanni Battistuzzi

Sembra un paradosso ma il Kenya è diventato una delle mete del turismo enogastromico. La Nairobi Restaurant Week è stata un successo di pubblico e sono sempre più gli occidentali che scendono sotto il Sahara per mangiare. Ecco i motivi del boom culinario.

 

Un tempo valeva la frase: "Per mangiare bene, per assaggiare l'alta cucina, due e due soltanto sono gli stati da visitare: Italia e Francia. Il resto non conta, esiste solo per chi ha il coraggio di sperimentare". Fu August Escoffier a pronunciarla in un'intervista rilasciata al Figaro nella seconda metà degli anni Venti. Si ricredette, ma nemmeno troppo, dopo un viaggio in Giappone, che posizionò al terzo posto nella sua personale graduatoria. Escoffier fu il cuoco più importante della Belle époque, fu ricercato e conteso dai migliori alberghi e ristoranti di Francia, Inghilterra e America, fu il primo chef ad essere insignito della Legion d'Onore, nonché inventore della Pesca Melba, uno dei dolci più imitati e mangiati al mondo per tutto il Novecento. Era ed è considerato un mito della cucina francese, uno tra i più grandi innovatori di questa e allo stesso tempo uno dei pochi che nella sperimentazione era riuscito a conservare l'autenticità dei sapori della cucina tradizionale.

 

Ma si sbagliava.

 

Il centro mondiale della cucina infatti sembra aver lasciato l'Europa, attraversato Mediterraneo e Sahara ed essere atterrato in Kenya. E quello che sembra un paradosso lo è solo in parte. Al di là infatti del pericolo islamico, al di là del problema violenza che ancora preoccupa gran parte del paese, al di là di tasso di denutrizione ancora alto – ma in calo: era al 33 per cento nel 2011, è sceso al 24 per cento nel 2014 – nelle zone più povere dello stato africano, sono sempre di più i locali di Nairobi a essere entrati in guide enogastronomiche internazionali e a incuriosire i grandi cuochi europei e gli esperti del settore culinario.

 

L'ultima edizione del Nairobi Restaurant Week, la principale manifestazione gastronomica di tutto il Kenya tenutasi dal 28 gennaio al 7 febbraio nella capitale keniota, ha incrementato del 51 per cento le visite rispetto all'anno precedente e ha segnato una novità: per la prima volta da quando è stata creata tre anni fa è stata meta di turismo internazionale venuto a posta per l'evento.

 

Al di là del successo della manifestazione è tutto il settore della ristorazione a essere cresciuto sia in qualità che numericamente ed economicamente. A Nairobi sono oltre 500 i ristoranti e le tavole calde e otto di questi sono entrati nella guida della rivista britannica Restaurant, una dei più autorevoli magazine del settore. "Se The Test Kitchen a Città del Capo rimane l'eccellenza della ristorazione africana, al Soko del Dusit Hotel, al Sankara restaurant all'interno del Sankara Hotel e al Talisman si possono degustare prelibatezze che per la qualità e la maestria di cottura possono tranquillamente competere con i migliori ristoranti europei", ha scritto Terry Aldmonton sulla rivista.

 

Recensioni e commenti che stanno attirando un turismo diverso da quello tradizionale, amante dell'alta cucina e dei piaceri della tavola, tanto che sono sempre più le agenzie viaggi che offrono pacchetti di degustazione. Pacchetti che nel solo dicembre 2015 hanno portato quasi centomila persone tra Nairobi e Malindi.

 

Un successo dovuto all'evoluzione della cucina keniota negli ultimi anni, che ha rinnovato i piatti della tradizione – per lo più a base di mais, carne alla griglia e una specialità di cavolo verde chiamato Sukuma wiki – grazie all'influenza di quella europea, portata prima dalla dominazione britannica e in seguito dal turismo, di quella asiatica dovuta all'immigrazione degli anni Settanta. E soprattutto dovuta all'ottima qualità delle materie prime: come carni e ortaggi, considerati dal Food&Beverage African magazine i migliori dell'intero continente africano.

 

[**Video_box_2**]La grande varietà di cucine nazionali, come riporta Ariel Zirulnick su Quartz – in pochi isolati si può mangiare africano, cinese, coreano, indiano (l'Open House è considerato il decimo miglior ristorante indiano al di fuori dei confini indiani), italiano e francese –, ha creato una generazione di cuochi che da Nairobi se ne è prima andata verso Londra e New York per poi ritornare alla direzione dei ristoranti delle grandi catene di alberghi che si trovano nella capitale e nelle località balneari. Yussuf Baoyogo è un esempio di questa crescita. Nato a Nairobi, ha iniziato in un piccolo ristorante del centro, ha poi cucinato in un importante cucina a Malindi, ha sorvolato l'Atlantico per lavorare a New York al Balthazar, uno dei locali più chic di Soho, prima di ritornare nella sua città Natale come chef del Soko. Ora è sous-chef del Inn all'interno del St. James Park.

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