La nave Aquarius (foto LaPresse)

Tutte le inesattezze di Salvini e Toninelli sul caso Aquarius

Luca Gambardella

"Il Regno Unito si assuma le sue responsabilità", dicono i ministri gialloverdi che negano l'attracco in Italia. Solo che Londra, secondo il diritto internazionale, non c'entra nulla

La nave Aquarius noleggiata dall'ong SOS Méditerranée e da Medici senza Frontiere si trova ancora una volta alla ricerca di un porto in cui sbarcare 141 migranti salvati al largo della Libia. Dopo che sia l'Italia sia Malta si sono rifiutate di concedere l'attracco nei loro porti, la città di Barcellona si era offerta per accogliere i migranti che sono ancora a bordo della nave dopo essere stati recuperati venerdì scorso. Oggi però è arrivato il rifiuto – non si sa se definitivo – direttamente dal governo del socialista Pedro Sánchez. "La Spagna non è il porto più sicuro perché non è quello più vicino secondo quanto stabilito dal diritto internazionale", hanno riferito al quotidiano spagnolo País fonti del governo. Per ora, Aquarius resta ferma nel Mediterraneo e al momento si trova tra Malta e l'Italia. "Stiamo chiedendo a tutti gli stati europei di trovare una soluzione e li invitiamo a prendere le loro responsabilità per trovare un porto sicuro nel Mediterraneo", hanno fatto sapere dalla nave.

  

Come è successo lo scorso giugno, quando la nave Aquarius si era trovata al centro di un altro lungo contenzioso tra i vari paesi europei, anche stavolta il governo italiano ha ribadito la chiusura dei porti nazionali. "L'Ong è stata coordinata dalla Guardia Costiera libica in area di loro responsabilità. La nave è ora in acque maltesi e batte bandiera di Gibilterra. A questo punto il Regno Unito si assuma le sue responsabilità per la salvaguardia dei naufraghi", ha scritto oggi su Twitter il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli. Anche Matteo Salvini ha rilanciato via Facebook la stessa tesi, che insiste sulla bandiera battuta dall'imbarcazione. "Proprietà tedesca, noleggiata da Ong francese, equipaggio straniero, in acque maltesi, battente bandiera di Gibilterra. Può andare dove vuole, ma non in Italia!".

 

La nazionalità dell'Ong e quella dell'equipaggio, così come la bandiera battuta dall'imbarcazione non c'entrano nulla con il rispetto del diritto internazionale. Secondo la convenzione di Amburgo del 1979 – una fonte del diritto internazionale sottoscritta anche dall'Italia – la scelta del porto più sicuro si basa sulla prossimità geografica e sul rispetto dei diritti umani. Da poco tempo è stata attivata una zona Sar (Search and rescue) di responsabilità libica, gestita da un Joint Rescue Coordination Centre basato a Tripoli. Secondo Toninelli e Salvini, il fatto che le operazioni di salvataggio dei migranti siano state coordinate dai libici è condizione sufficiente per negare lo sbarco in Italia. In realtà la creazione di una zona Sar non impone lo sbarco nei porti del paese che la gestisce, ma dà solo responsabilità di coordinamento. La norma che invece prevale, e che è rivendicata dalle ong che rifiutano di fare sbarcare i migranti in Libia, è la convenzione di Amburgo e le successive risoluzioni dell'Onu che hanno definito il paese nordafricano non sicuro. Il Regno Unito, insomma, non c'entra nulla con l'Aquarius.

 

Un dato preoccupante evidenziato da quest'ultimo incidente è un altro. Secondo il coordinatore di Medici senza Frontiere, Aloys Simard, i migranti salvati hanno raccontato di avere incrociato nelle ore precedenti al salvataggio altre cinque navi ma nessuna di queste si è fermata per recuperarli (in aperta violazione del diritto internazionale). Se fosse confermato sarebbe un fatto molto grave. Dopo la querelle che ha coinvolto il rimorchiatore Vos Thalassa nel mese scorso, le navi commerciali sono di fatto disincentivate dal governo italiano ad applicare il diritto internazionale e a salvare vite umane.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.