Matteo Salvini e Enzo Moavero Milanesi (foto Imagoeconomica)

Un'immigrazione amica esiste

Lorenzo Borga

La rissa su Marcinelle ci ricorda che non si può affrontare il fenomeno migratorio con gli strumenti dell’emergenza.Un’idea possibile: riprovare gli ingressi per sponsorizzazione

Braccianti e migranti stranieri come i minatori italiani morti nella tragedia di Marcinelle, in Belgio, 62 anni fa. A ogni anniversario della disgrazia infiamma il contraddittorio tra chi accosta i due fenomeni e chi invece ne rifiuta indignato il paragone. Oggi entrambe le fazioni sembrano sedere nel governo, o almeno così appare dalla polemica sorta tra il ministro degli Esteri e la Lega. E’ un sintomo che ci aiuta a capire come la discussione pubblica che da alcuni anni domina sul tema migratorio è fallace. Sia il discorso umanitario alla Saviano, sia quello securitario e complottista del governo.

 

I migranti che arrivano sono spinti prevalentemente da motivazioni economiche, non umanitarie, e di queste persone abbiamo bisogno

Accoglienza, rifugiati, richieste d’asilo. Oggi il dibattito si fonda su questi termini, su cui serve ribadire parole di verità. La maggior parte dei migranti che arriva sulle nostre coste non è un rifugiato (lo è circa l’8 per cento), né riceve una forma di protezione (che riceve invece circa il 40 per cento). Eppure d’altra parte abbiamo bisogno di manodopera straniera: la popolazione italiana invecchia a velocità elevata, il nostro sistema previdenziale richiede l’apporto di contributi da lavoratori giovani (che finché non attueremo politiche di incentivo alla natalità e queste avranno effetto in circa 20 anni, non potranno che arrivare da stranieri), i posti vacanti nella nostra economia sono alcune decine di migliaia e diversi settori e lavori non sono più appetibili per i lavoratori italiani. Come coniugare dunque questi due elementi? Riconoscendo la realtà: i migranti che arrivano in Italia dall’Africa e dall’Asia sono spinti prevalentemente da motivazioni economiche, e spesso non umanitarie, e di queste persone abbiamo bisogno. Occorre una nuova politica di gestione dei flussi migratori.

 

Oggi in effetti la condizione dei migranti che arrivano sulle nostre coste è molto differente rispetto a quella che conobbero i nostri nonni e parenti arrivando nel resto d’Europa e in America. Allora emigravano per cercare lavoro attraverso visti e permessi, oggi invece i migranti hanno un solo un canale per poter entrare legalmente in Italia: la richiesta d’asilo. Non esistono altri modi per entrare se non richiedere protezione per persecuzioni o guerre in corso nel paese d’origine. Non è più possibile accedere tramite i visti per lavoro, grazie a una legge voluta dall’allora Lega Nord nel 2002: la Bossi-Fini prevede infatti che possa entrare in Italia solo chi abbia già un contratto di lavoro e dunque un reddito sufficiente per mantenersi. Questo ovviamente complica la possibilità di entrare in Italia legalmente e di richiedere il permesso di soggiorno per lavoro: non è per nulla semplice far incontrare domanda e offerta di lavoro a distanza. Inoltre i decreti flussi, che regolano i numeri di extracomunitari che possono entrare nel nostro paese per motivi di lavoro, sono da anni sostanzialmente azzerati, come ha riportato ValigiaBlu. Così la richiesta d’asilo è l’unica strada. Questo comporta diversi problemi: porta i migranti ad affidarsi ai trafficanti di esseri umani e intraprendere viaggi molto pericolosi, complica la gestione e il controllo dei flussi migratori, non permette la selezione dell’immigrazione che arriva sulle nostre coste. Sono per esempio molti i migranti che arrivati in Italia, nella speranza di poter raggiungere gli altri paesi europei, non richiedono nemmeno l’asilo e scompaiono sul territorio italiano. Gli altri rimangono per anni nel limbo delle commissioni territoriali, che devono deciderne la sorte: così vengono spesi soldi pubblici (circa 11 mila euro all’anno, a migrante umanitario) per il loro mantenimento e si complica il processo di integrazione, per via del loro isolamento dalla società ospitante. Questo processo ha effetti negativi anche sul mercato del lavoro, che rappresenta gran parte delle loro possibilità di integrazione. Un fact-checking dell’Ispi riporta infatti che il tasso di occupazione dei migranti umanitari arrivati in Europa è del 26 per cento a cinque anni dal loro arrivo. I migranti economici invece raggiungono nello stesso periodo un tasso molto più alto: il 79 per cento di loro lavora. I ricercatori scrivono che queste differenze dipendono anche dalle “politiche pubbliche dei paesi di arrivo (che spesso pongono limiti legali alla possibilità dei richiedenti asilo di cercare lavoro) e dalla propensione dei datori di lavoro nazionali a utilizzare i richiedenti asilo come manodopera”.

 

I posti vacanti nella nostra economia sono decine di migliaia e diversi settori e lavori non sono più appetibili per i lavoratori italiani

Ma c’è un ulteriore aspetto, che si lega al ricordo di Marcinelle. Oggi la presenza dei migranti talvolta esaspera la popolazione locale perché la loro integrazione è spesso senza controllo e appare agli occhi di molti come un assistenzialismo costoso e poco giustificato. E’ la diffusa retorica del “razzismo al contrario”, per cui i migranti riceverebbero più benefici pubblici rispetto ai cittadini italiani e non sarebbero disponibili a lavorare, ma solo ad attendere per mesi (se non anni) l’esito delle proprie richieste d’asilo. Matteo Salvini ne ha fatto slogan politici e frame micidiali per l’opinione pubblica. La stessa gestione dell’accoglienza è stata definita dal ministro degli Interni una “pacchia”, a cui intende mettere fine. Gli esempi sono innumerevoli: sono stati frequenti gli attacchi ai richiedenti asilo poco dopo il terremoto che colpì le regioni del Centro Italia, “loro negli alberghi e i terremotati italiani nelle tende”; oppure le polemiche per le proteste dei migranti per richiedere l’accesso alla rete wifi o per denunciare la scarsa qualità dell’accoglienza; oppure ancora il fatto che giovani maschi prestanti rimangano per anni “a scrocco” delle cooperative ospitanti. La risposta che i capigruppo parlamentari della Lega hanno indirizzato al ministro Moavero è chiarissima: “Paragonare gli italiani che sono emigrati nel mondo, a cui nessuno regalava niente né pagava pranzi e cene in albergo, ai clandestini che arrivano oggi in Italia è poco rispettoso della verità”. Spesso i migranti di oggi vengono confrontati con i nostri emigranti di un tempo, per rimarcarne la differenza: la loro, si dice, svogliatezza versus la nostra (dei nostri avi, in realtà) intraprendenza e sofferenza. Questa percezione stimola un sentimento di repulsione e invidia sociale nei confronti dei richiedenti asilo, causata probabilmente dalla gestione delle migrazioni stabilita dal governo italiano, e non tanto dalla loro presenza in sé. La loro infatti non è una scelta. La richiesta di protezione umanitaria – che richiede di per sé tempi lunghi – è una via obbligata anche per quei migranti, definiti economici, che intendono lavorare e non scappano da alcuna guerra. E’ intuitivo che se potessero iniziare fin da subito un’occupazione, e accumulare reddito, la loro scelta sarebbe un’altra.

 

La possibilità ci sarebbe: fino al 2002 per i migranti economici era possibile entrare in Italia per sponsorizzazione. Vale a dire attraverso una garanzia offerta da un familiare già residente o da un altro garante per ottenere un visto di ingresso e la possibilità di cercare un lavoro per un determinato periodo di tempo. Nessuna forza politica sembra tuttavia intenzionata a costruire opportunità simili, né di centro-destra né di centro-sinistra (neppure quando era al governo). In realtà in questo modo i migranti potrebbero raggiungere l’Italia in aereo, piuttosto che affidandosi ai trafficanti di essere umani. Potremmo controllarne l’afflusso, il comportamento sul territorio italiano e gli effetti del loro arrivo. Potremmo anche selezionarli sulla base delle esigenze del nostro territorio e delle loro competenze (negli ultimi anni, con il sistema attuale, la quota di persone nate all’estero senza istruzione è cresciuta, mentre per la popolazione italiana scende lentamente), perché l’immigrazione di migranti economici deve essere conveniente per la popolazione ospitante. Eppure la proposta non è presa in considerazione, probabilmente perché se letta con gli occhi di oggi – secondo cui l’immigrazione è un fenomeno che va in ogni modo contrastato – parrebbe un’ulteriore apertura verso l’esterno.

  

Stiamo affrontando il fenomeno migratorio con gli strumenti sbagliati, adatti ad un’emergenza umanitaria e non un fenomeno migratorio strutturale e teso a durare nel tempo. Matteo Salvini e il nuovo governo avranno il coraggio di dare una svolta alla politica migratoria, oppure si limiteranno a bloccare qualche barcone e giocare con la vita dei naufraghi?