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Cosa c'è dietro al registro costruttivo del buonsenso di Salvini

Giuliano Ferrara

Perché la spontaneità del ministro degli Interni con il Foglio è qualcosa su cui farsi delle domande, ma resta uno specchietto e noi non siamo allodole

Sedotto con infinita bravura da Annalisa Chirico, alla quale non per caso applico il nomignolo affettuoso di Chirichessa, manco fosse una mantide, il Truce, cioè Salvini, si è mostrato sabato “affabile” (autodefinizione sua) ai lettori del Foglio. Risultato: Truce nei fatti, suadente nelle forme. La sua chiave è semplice: spontaneità e buonsenso. Non ha mollato di un millimetro sulla chiusura dei porti e sulla caccia alle organizzazioni internazionali di soccorso, la sua battaglia feticcio di questi primi due mesi, e ha ribadito l’ostilità all’Europa di Bruxelles, Parigi, Berlino, l’affiancamento ai regimi di Visegrád che sulla condivisione dei pesi migratori adottano la tolleranza zero; ha sostenuto la reversibilità degli accordi di Schengen e di Maastricht sull’euro, “fatti per essere riscritti”, ma con il tono dell’uomo di stato che attua un progetto politico, reversibile anch’esso nelle sfumature, nel gradualismo, nel negoziato; ha lasciato che il suo putinismo palese e ostentatorio sembrasse solo strisciante, e quanto al succo democratico e liberale della definizione di società e di politica su scala mondiale si è detto convinto che stiamo dall’altra parte, concetto che risulta evanescente visto che dall’altra parte c’è oggi, se parliamo dell’America, un amichetto di Putin e aspirante strongman. Sapeva che i lettori di questo meraviglioso giornale, mai così efficace e vivo come in questi ultimi anni e mesi, non avrebbero perdonato i suoi “lo dico da papà”, le scalcinate teorie sulla “pacchia”, e in genere quella versione del “prima gli italiani” e del “padroni a casa nostra” che eccitano nelle adunate come un tempo gli “spezzeremo le reni alla Grecia”, e via col Duce, il Truce e il Buce (sono insulti queste definizioni, ma Salvini dovrebbe sapere che sono insulti letterari desunti da scritti di un Gran Lombardo, i più sapidi ma non i più volgari). 

 

Tutti amano piacere, e su tutte le scene, anche le più diverse, e tutti i politici amano lasciarsi aperte porte, anche quando chiudono i porti e praticano i respingimenti illegali contro l’immigrazione illegale, immaginandosi il depositum fidei della Nazione come vittima predestinata di ricchi e infidi alleati e magari di finanzieri di razza ebraica in sospetto di complotto (il ministro in Parlamento ha dato il suo contributo alla stupida e ambigua idea che Soros sia all’origine di un complotto contro la pura razza bovina made in Italy). Ma il trucco si vede, perché c’è. Metti l’efficace, lo spontaneo, il buonsensismo al posto dell’affastellamento ideologico, del mito che chiama all’azione brutale (con discreti risultati, orripilanti), metti in un cono di luce a tonalità diffusa l’oscura pulsione a una società chiusa, che fa leva sulla paura e su un’identità raffazzonata e facilista, ed ecco che pensi di avere risolto il problema. Ma ci vuol altro. Salvini il Truce non è il primo a fare della sicurezza e della protezione collettiva uno strumento di azione politica, ma è il primo a farlo dal Viminale, e insieme da leader di un progetto che sta in bilico tra l’affermazione personale la più sfrontata (che gli è parecchio cara), la carta dello svuotamento della destra popolare e matta berlusconiana e quella di un accordo di governo con un’accozzaglia senz’anima, a misura di legislatura, ma sempre reversibile, come fa capire. Per questo la sua esibita spontaneità è demagogia, la sua eredità popolana e leghista è diventata populismo nerastro e brodo di coltura dei peggiori istinti etnicisti e razzisti. Che poi cerchi di imporre a sé stesso anche il registro costruttivo del buonsenso efficace, senza che lo sfascismo e la rottura di fondo, e brutale e intollerante, si veda troppo, è qualcosa su cui farsi delle domande per valutare bene le cose e intensificare il contrasto, senza quartiere, evitando le note melodrammatiche dei tenori del bene assoluto (che palle). La sua intervista di sabato è uno specchietto rilucente piazzato nel punto giusto, e tempestivamente, ma pur sempre uno specchietto. E noi siamo volatili, ma non siamo allodole. 

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.