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Make Euro great again. Parla il ministro Moavero

Claudio Cerasa

La crisi turca come lezione per gli anti Euro (uscire non conviene). Le differenze tra il 2011 e il 2018. L’importanza dello spread (e i guai che ci sono). Il rischio della fine di Schengen senza svolte sui migranti. Intervista al ministro degli Esteri

Dalla Turchia all’Euro. Dall’Europa alla legge di stabilità. Dall’immigrazione al fiscal compact. Dalle elezioni europee fino al tema delicato dell’affidabilità di un paese come l’Italia. Il ministro degli Esteri Enzo Moavero conosce bene le posizioni del Foglio sul governo del cambiamento e conosce bene le critiche che questo giornale rivolge spesso agli azionisti di maggioranza del primo esecutivo populista d’Italia ma con spirito sportivo e costruttivo accetta di dialogare con noi mettendo a fuoco diversi temi oggetto di divisioni anche all’interno dello stesso governo. La nostra conversazione con Moavero parte dall’attualità e parte da una notizia importante di politica estera finita ieri sui taccuini di tutti i giornalisti: la crisi finanziaria della Turchia di Racep Tayyip Erdogan, che ieri ha avuto un impatto sulle economie europee, e anche su quella italiana (il nostro spread è arrivato ieri a quota 267). Chiediamo a Moavero cosa può dire all’Italia e all’Europa il crollo improvviso della lira turca (che è arrivata a perdere il 13,5 per cento sul dollaro) e la risposta del ministro è chiara e forte. “Il mio primo pensiero è di solidarietà verso un paese importante che è anche un attore cruciale negli equilibri commerciali e finanziari del Mediterraneo. Una situazione di crisi così è una cattiva notizia per tutti e richiama tutti noi a una doverosa vicinanza e a un’attenta vigilanza delle possibili conseguenze nel breve termine del crollo della lira turca. Quanto sta avvenendo in Turchia deve farci riflettere su un punto particolare che riguarda anche il nostro continente: trovarsi all’interno di una area solida come l’Europa, vale a dire di un’area capace di avere una moneta unica forte per più stati diversi e di creare tra quelli stati una rete di protezione in caso di problemi, è un vantaggio. Al contrario, avere una moneta che può fare riferimento unicamente al suo quadro nazionale può non offrire altrettante garanzie dinnanzi a una crisi finanziario e ad attacchi speculativi. Ciò che succede in Turchia andrebbe valutato con attenzione da chi continua ad avere dubbi se avere una moneta come l’Euro sia o no positivo: per me lo è”.

 

Le parole del ministro degli Esteri ci portano ad avvicinarci all’Italia e ci permettono di ragionare su un tema che non potrà sfuggire al governo del cambiamento: l’Euro permette all’Italia di essere meno esposta dinnanzi ad attacchi speculativi rispetto a paesi che l’Euro non ce l’hanno. Ma, domanda del Foglio, l’Italia sta davvero facendo di tutto per evitare di far rivivere ai suoi cittadini condizioni simili a quelle vissute nel 2011? “Ho visto da vicino quella fase e gli sforzi per contribuire a rimettere in ordine i conti dell’Italia e credo di poter dire che il 2011 non c’entra nulla con il 2018. La situazione del 2011 non è riproducibile per almeno due ragioni. La prima ragione riguarda la natura di quella crisi, che fu una crisi internazionale, globale e non di un singolo paese. La seconda ragione riguarda gli strumenti che all’epoca l’Europa non aveva e che oggi, invece, ha per fronteggiare le difficoltà gravi, grazie soprattutto ai progressi fatti dall’azione della Banca centrale europea. Se vogliamo essere precisi, va anche detto che, rispetto al 2011, gli elementi di maggiore criticità che continuano a persistere nel nostro paese sono legati a due punti di debolezza base dell’economia italiana: l’alto debito pubblico e la bassa crescita. E’ almeno da venti, venticinque anni che tutti i governi provano in qualche modo ad affrancarsi da questi problemi e anche l’attuale governo affronta questa sfida di agire su questi due fronti per tenere lontani attacchi speculativi, qualora ve ne fossero. Meno debito pubblico, più crescita. E se posso integrare, anche più investimenti. L’Italia è un paese che paga una spesa improduttiva legata agli interessi sul debito pubblico accumulato e quindi deve con urgenza tornare a incoraggiare gli investimenti. Io non parlo mai solo di investimenti pubblici, che sono importanti e che avranno un ruolo chiave nella prossima legge di stabilità, ma parlo di qualcosa che considero più importante: la nostra capacità di incoraggiare gli italiani a credere in questo paese e investirci.

 

Per farlo – e tutti sappiamo che l’Italia è un paese che ha un grande risparmio privato – è necessario lavorare su un punto che deve diventare una nostra priorità: rafforzare il sentimento di fiducia”.

 

Facciamo notare però al ministro Moavero che il tentativo di migliorare il sentimento di fiducia nel nostro paese per il momento non procede bene. Rispetto allo scorso marzo, lo spread è salito di 150 punti e questo aumento di spread peserà circa quattro miliardi di euro nella prossima legge di stabilità. In più, come segnalato da Bankitalia, ci sono diverse decine di miliardi di investimenti che in questo momento si stanno allontanando dal nostro paese e anche gli indici della borsa non sono incoraggianti: meno dieci per cento da quando è nato il governo. Il ministro Moavero conosce il problema e la mette così: “Io non penso che quando si parli di spread si parla di un tema astratto che riguarda qualcosa che è distante dalle nostre vite. Gli indici dello spread, così come quelli delle borse, vanno osservati con attenzione perché se lo spread sale e la borsa scende è una pessima notizia per tutti noi italiani, per i nostri risparmi e investimenti, per i nostri mutui. Sento il problema, è un tema da non sottovalutare benché, credo, dipenda prevalentemente dal clima di incertezza che si è venuto a creare in Italia durante e dopo le elezioni del quattro marzo fino alla nascita del governo. E’ comprensibile che a una fase di incertezza ne segua una di disorientamento e occorre lavorare bene per migliorare la nostra percezione di affidabilità. Se non si è affidabili gli investimenti solidi in un paese difficilmente arrivano. L’Italia oggi ha bisogno di questo: non investimenti mordi e fuggi ma investimenti che possano aiutare a dare una nuova, vera prospettiva di crescita al nostro paese”. E il Fiscal Compact per il ministro Moavero, che fece parte del governo che nel 2012 portò in Parlamento la legge, è un peso per l’Italia o una garanzia di affidabilità? “Io penso che ormai il Fiscal Compact sia uno strumento neutrale. Non direi sia un ostacolo alla crescita, serve a dare garanzie più solide ai conti pubblici di un paese, e la sua abolizione non porterebbe benefici. Bisognerebbe anche capire poi chi lo vuole eliminare che cosa ha in mente? Il modo più semplice per sfuggire alle regole europee attuali e fare proposte per cambiarle e ottenere il consenso degli altri o abbandonare l’Europa, che come ha dimostrato il caso del Regno Unito non è esattamente una buona idea”.

 

Il ministro Moavero, pochi giorni fa, è finito al centro di una polemica con i due partiti azionisti del governo, Lega e Movimento 5 stelle, per aver detto, nel corso di una cerimonia in memoria delle vittime italiane di Marcinelle, la seguente frase: “Non dimentichiamo che Marcinelle è anche una tragedia dell’immigrazione. Pensiamoci ora che tanti vengono in Europa. Non sottostimiamo la difficoltà di gestire un tale fenomeno ma non dimentichiamo che i nostri padri e nonni erano migranti”. Moavero sorride e torna sulla polemica: “In quell’occasione ho voluto rendere omaggio alla memoria di nostri connazionali morti 62 anni fa nel disastro minerario e il messaggio che ho provato a offrire per stimolare una riflessione aveva una valenza che forse non sono riuscito a far comprendere. Da un lato, ricordare come in quell’occasione, dopo la tragedia di Marcinelle, l’Europa decise di prendere alcune prime misure di politiche sociali che portarono i lavoratori della comunità europea a essere più tutelati, ma non abbastanza, perché la politica sociale UE è restata incompiuta e ci vorrebbe più solidarietà, così come ce ne vorrebbe dall’Europa quando oggi parliamo di migranti. Il secondo messaggio era legato a qualcosa di più semplice: sui migranti servono regole, serve solidarietà, serve rigore ma serve anche umanità”. Chiediamo a Moavero che cosa manca a suo avviso all’Europa quando si parla di immigrazione e il ministro degli Esteri arriva al punto nominando prima “Schengen” e poi “Dublino”. “Io credo che non sia più accettabile che un paese europeo venga lasciato da solo, caricato di oneri, quando si parla di migrazioni. L’Europa esiste o no? E siccome io credo nell’Europa penso che sia compito dell’Europa considerare i migranti che arrivano in un paese non come una questione che solo un paese deve affrontare ma un tema che è tutta l’Europa che deve affrontare. Il problema non riguarda solo l’Italia ma riguarda anche gli altri paesi più esposti al fenomeno migratorio come la Spagna e la Grecia e io penso che se l’Europa crede davvero in se stessa deve comportarsi di conseguenza e accettare la nostra proposta: qualsiasi migrante arriva in Europa non arriva in un paese ma arriva in Europa, in una comunità, e gli oneri devono essere ripartiti, sia quando si parla di controlli sia quando si parla di ricollocazione”. Proviamo a sintetizzare ministro: senza cambiare il regolamento di Dublino, c’è il rischio davvero che salti Schengen? “Le due cose non sono necessariamente collegate ma è vero è che la rigidità di quel trattato mette in pericolo Schengen. Io sono fiero di quello che ha fatto l’Italia all’ultimo Consiglio Europeo e penso che qualcosa finalmente possa davvero cambiare: gli oneri non sono di un paese, sono di tutti”.

 

Facciamo notare a Moavero però che anche il famigerato “successo” dell’ultimo consiglio europeo non ha cambiato di una virgola il problema e fino a che la solidarietà dell’Europa avverrà sulla base della volontarietà sarà difficile avere un’Europa più solidale. “La parola volontarietà è una parola che va spiegata e la volontarietà quando si parla di migranti non dipende da un consiglio europeo ma dipende dal modo in cui sono scritti i trattati europei, che non prevedono sufficienti strumenti vincolanti. Il punto è chiaro: la volontarietà non si può cambiare, gli strumenti vincolanti non bastano, e ciò che deve cambiare è l’approccio al problema. L’Europa deve essere coerente con se stessa e io penso che siamo sulla buona strada”. E’ una buona strada quella di provare ad arrivare a questo obiettivo andando a braccetto con paesi come l’Ungheria che sognano di scaricare i problemi dell’immigrazione ancora di più sull’Italia? “I paesi come quelli che fanno parte del gruppo di Visegrad non hanno uno spirito cooperativo e questo è un problema per tutti gli stati UE. Si potrebbe anche pensare un domani di creare una cooperazione che non sia basata solo sulla ridistribuzione dei migranti ma anche su una migliore ridistribuzione degli oneri economici ma io non voglio credere che l’Europa sia disposta a trasformare problemi risolvibili in problemi irrisolvibili: i temi da affrontare oggi non sono più drammatici di quelli che vennero affrontati quando le Comunità europee vennero create nel dopoguerra, e chi crede nell’Europa deve fare uno sforzo e provare a raggiungere l’obiettivo della maggiore cooperazione”. E se questo non accadrà, chiediamo a Maovero, è possibile ragionare anche sul tema dei migranti su un’Europa a due velocità? “E’ possibile, dice Moavero, l’importante è che l’Europa abbia una velocità collaborativa”. La nostra conversazione con il ministro si conclude con un ragionamento finale su un appuntamento cruciale dell’Europa che coincide con le elezioni Europee della prossima primavera. In quell’occasione, l’Europa potrebbe aere un Parlamento a trazione populista, guidato da partiti che hanno fatto dell’Euroscetticismo un punto di forza, e al ministro chiediamo se un Parlamento populista, per un’Europeista in prestito a un governo populista, sia un rischio o un’opportunità: “Io penso che la democrazia vada rispettata sempre a prescindere dalle decisioni degli elettori e penso che se i popoli europei voteranno in quella direzione sia bene far di tutto per trasformare la scelta in una opportunità. L’Europa è più forte di quello che sembra e sono sicuro che rispettare le volontà popolari, senza ignorarle, sia l’unico modo per salvare il sogno di un’Europa più forte, più unita e più solidale.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.