Capodanno 2024 a Milano - foto LaPresse

L'indagine

Milano come Gotham City

Maurizio Crippa

Il capoluogo lombardo è diventato una città insicura o è un’esagerazione dei social? Oppure la campagna elettorale della destra è già cominciata? Un'indagine tra “maranza” e migranti, microcriminalità e buchi nel controllo del territorio

Milano di notte. L’auto scura e silenziosa del sindaco scruta quartieri bui. Lo skyline è quello ormai iconico. Ma visto dall’alto, questa notte, ha qualcosa di minaccioso. “Il suono che viene da là sotto… anche lei ha smesso di sentirlo?”. The long-term Mayor of Gotham City guarda e tace. “Non possiamo permettere che vincano loro”, incalza l’uomo accanto a lui. “Ma combattere coi suoi metodi, non lo posso accettare”, risponde. “Qualcuno una volta disse: sventurato il paese che ha bisogno di eroi”. E the Mayor: “Ma tu li chiami eroi?”. Alla fine del divertente video diffuso online in ottobre per annunciare la reunion dei Club Dogo, nel cielo di Milano invece di Batman appare il loro simbolo. E' solo musica, ma non è solo musica. La trovata di comunicazione è azzeccata, e benissimo aveva fatto il sindaco (long-term) di Milano, Beppe Sala, a prestarsi al gioco con Claudio Santamaria per esorcizzare una certa immagine negativa “che viene da là sotto” di una metropoli diventata improvvisamente minacciosa e insicura. La presunta immagine da Gotham City che Beppe Sala vuole contrastare, anche utilizzando un video ironico che è stato scaricato e visto da almeno due generazioni di giovani milanesi

Ma una mossa comunicativa non può bastare a vincere se dall’altra parte, “da là sotto”, arrivano altri video che raccontano un’altra storia. Da mesi sui social e sui giornali è guerra senza quartiere tra chi denuncia l’insicurezza, e alza i toni, e l’amministrazione milanese chiamata a dare risposte concrete e pacate. Quando Bobo Vieri su un social racconta di come hanno provato a sfilargli il cellulare al tavolo di un ristorante (e non proprio in periferia), l’effetto è un boato come quando segnava un gol al Meazza. Quando il pilota della Ferrari Carlos Sainz, dopo il Gp di Monza, è stato scippato a Milano di un orologio da centinaia di migliaia di euro da tre marocchini di vent’anni, la notizia ha fatto il giro del mondo in dieci minuti. Non importa che siano stati subito presi, e ancora di meno importa che sull’ex giornale della borghesia milanese qualcuno abbia moraleggiato che se vai in giro con un pataccone così, te la sei cercata (detto con pardon per le minigonne). Ha un bel correre Beppe Sala a dire che c’è una campagna mediatica, o peggio che fa notizia perché succede a Milano. Certo, se accadesse a Rovigo non farebbe notizia. Ma lui è sindaco della città più internazionale d’Italia e la reputazione di Milano vale infinitamente di più di quella di Rovigo (con pardon per Rovigo). E se l’immagine del place to be si trasforma in quella di un suburbio da serie tv, per Milano è finita.

Oggi l’ipocrisia odiosa dell’opinione pubblica la lascerebbe bastonare per la via, ma un’estate fa, 2022, il video in cui Chiara Ferragni denunciava il senso di paura persino sotto casa fece il botto di consensi. Il sindaco rispose: “Non condivido quello che dice, è un’opinione. Non considero la situazione drammatica ma degna di attenzione”. Sarebbe stato meno sicuro, un anno dopo. La disfida per decidere se sia Gotham City o il paradiso terrestre si combatte a colpi di social e politica. E se un tempo era una guerra tra cerchi concentrici (Milano è circolare), tra l’esigenza di sicurezza fuori dalle cerchie nobili e la richiesta nevrotica di ciclabili e giardini in centro, oggi anche la celebre Ztl è terreno minato. E’ vero, ci dicono dalla questura: ormai il primo problema della sicurezza è la sua  percezione, i social creano allarmi che spesso non esistono, a  volte arrivano richieste d’intervento per fatti mai avvenuti. Ma poi ci sono i numeri della criminalità che la stessa questura diffonde.

Club Dogo sono una leggenda milanese e furono una rivoluzione nella musica e nel mondo giovanile, Milano le sue strade e le sue storie si prendevano la scena, incanalavano sentimenti e atmosfere. Ma era dieci, quindici anni fa. Ora la scena musicale milanese è intasata di rapper e gansta rap, di trapper. Il rapper Shiva (Andrea Arrigoni) è stato arrestato un mese fa per tentato omicidio dalla Mobile di Milano. Le loro pose violente, che dai testi passano direttamente al teppismo di strada, contagiano fenomeni di emulazione in migliaia di ragazzi. Un mondo finora considerato a parte, su cui da qualche tempo si focalizza – e magari non è solo quello, magari non è tutto lì – il dibattito sulla microcriminalità. Quella che non spaventa più solo le vecchiette (lo scippo da ufficio postale non esiste più), ma i coetanei fuori dalle scuole, nei luoghi della movida. E di conseguenza i loro genitori, famiglie senza problemi di collocazione sociale, spesso economicamente solide. Dei quartieri buoni. Che improvvisamente si trovano nel ruolo di vittime. Anche perché dopo il Covid i figli hanno preso possesso delle notti: secondo l’ultimo rapporto dell’Osservatorio su giovani e alcol a Milano i ragazzi tra i 20 e i 29 anni sono la fascia principale nei locali notturni, cocktail e superalcolici li rendono più vulnerabili di un tempo agli assalti. Due settimane fa sono stati arrestati 16 giovani in un’operazione contro le gang giovanili. Sette i minorenni. Reati dalla rapina allo spaccio, 520 identificazioni tra Gae Aulenti, Duomo, Navigli, Porta Venezia, San Siro. Armi giocattolo ma anche coltelli e tirapugni. Qualche mese fa sono stati condannati i trapper Baby Gang (Zaccaria Mouhib) e Simba La Rue (Mohamed Sadia Lamine) per una aggressione in corso Como in cui furono gambizzati e rapinati due senegalesi.

E’ stato la scorsa estate, Darsena e dehors affollati, che i giornali si sono accorti dei “maranza”, il nuovo nome collettivo della devianza giovanile. Il nome offensivo ma ora rivendicato con orgoglio che sta per “marocchino + zanza”, dove a Milano “zanza” è da sempre il tamarro, l’imbroglione. Pagine e pagine sul look, ma anche sulla forma fluida delle nuove gang aggregate dalla musica: “Fenomeno eterogeneo, non etichettabile, come certa narrativa mediatica semplicisticamente suggerisce, come baby gang, poiché privo di organizzazione interna, di riti, codici, gerarchie o aree di influenza. Sono bande fluide che si aggregano e sfumano alla velocità dei ritmi del web e dei social, che trovano momenti di catalizzazione estemporanei in un singolo evento, in un’occasione di svago o in una ritorsione a fronte di un presunto sgarro”. Così nelle ben strutturate analisi della questura. Ora non c’è serata alle Colonne, uscita da scuola persino nei licei “bene”, attraversamento dei parcheggi centralissimi di Pagano o del Parco delle basiliche che non sia a rischio maranza. Soprattutto per i minorenni. Ma il fenomeno c’è da molto prima. La data di inizio – secondo un articolato documento firmato dal questore Giuseppe Petronzi che inquadra “anche figure del panorama rap di Milano, composto per gran parte da giovani stranieri, ovvero italiani di seconda generazione, spesso protagonisti di episodi criminali connotati da una certa aggressività ed esaltati nei testi dei loro brani musicali” – è addirittura il 15 dicembre 2018, quando un centinaio di fan di un rapper “sfidarono” platealmente gli agenti in zona San Siro. Poi un “evento che ha rappresentato il salto di qualità sia in termini di risonanza mediatica che di riflessi sull’ordine e la sicurezza”, il 10 aprile 2021 in piazza Selinunte: 300 fan di cantanti rap contro con la Polizia. Ora si chiamano maranza. Hanno chiesto a don Claudio Burgio, cappellano del Beccaria e fondatore (nel 2000) dell’Associazione Kayros e che si occupa di supporto e alloggio per minori segnalati dal Tribunale per i minorenni o dai servizi sociali: “Perché vanno nei luoghi della movida a compiere le loro bravate e i reati?”. Domanda banale, ma risposta incisiva: “Perché fa parte dell’immagine grandiosa che vogliono darsi mettersi in uno scenario così brillante. Vogliono sentirsi protagonisti nei luoghi dove è più vistosa la grandezza della città, dove la ricchezza è più appariscente”. Ma non solo la movida. “Dammi le AirPods o dammi 20 euro”, “ti facciamo inginocchiare”, sono le frasi che studenti minorenni si sentono dire da coetanei fuori dalla scuola. 

(Spoiler: quando si dice che la mania securitaria è solo dei ceti popolari fuori dalla circonvallazione della 90-91 – il vero confine, tutt’altro che invisibile, tra due Milano, due società e due elettorati – non è più vero. Se anche chi abita in centro inizia a essere preoccupato, l’effetto si vedrà nel voto).

Tutta colpa dei maranza? I dati pubblicati a ottobre dal Sole 24 ore raccontano di una Milano “diventata maglia nera della criminalità in Italia”. Anche se in realtà il totale 2022 dei reati in città risulta in calo sul 2019 (225.078 contro 219.671), dato chiamato ad autodifesa dal Comune, anche se tutti ammettono che i microreati vengono sempre meno denunciati. Crescono però i “reati predatori” e le rapine in strada sono aumentate del 14 per cento. In crescita anche violenze sessuali denunciate, 18 in più rispetto al 2019. Mario Furlan, fondatore dei City Angels, aveva commentato: “Milano mediamente è più sicura di Roma, è più sicura di Napoli, non credo sia una nuova Gotham City. Oggi il problema che è esploso di più dopo la pandemia è quello delle baby gang”. Anche il prefetto Renato Saccone, che ha da poco lasciato il posto a Claudio Sgaraglia, aveva parlato di “percezione di sicurezza” diminuita proprio a causa delle azioni delle bande giovanili, “una criticità che non è solo milanese”. Il questore di Milano, Giuseppe Petronzi, aveva spiegato: “Tra aspettativa di sicurezza e percezione si sta generando un sentiment che vive anche di un effetto rimbalzo attraverso i social”. Beppe Sala attaccò la destra al governo: “Propaganda bieca sulle paure dei cittadini”, ma dopo gli ultimi dati a ottobre ha chiesto al super poliziotto Franco Gabrielli, ex capo della Polizia, di diventare “delegato del sindaco per combattere la criminalità”. Se voleva essere un colpo mediatico, bisogna dire che è rimasto nell’ombra. Gabrielli finora non ha parlato, è atteso dopo le feste a Palazzo Marino per spiegare in Consiglio i suoi piani. Per ora ha messo lì un po’ di idee generali: vigili di quartiere e più pattuglie di notte. Ha spiegato che i nuovi vigili assunti – nel 2022 il Comune ne ha assunti 230 agenti, nel 2023 la previsione è di altri 260 (ma entreranno in servizio solo nel 2024) in base al progetto di arrivare nel 2025 a 3.350 vigili, record assoluto di Milano – verranno dedicati a un quartiere specifico, gireranno per le strade a piedi in in coppia o da soli. Niente di particolarmente performante. Il consigliere d’opposizione Matteo Forte ha dichiarato che avere più vigili non cambia nulla, visto che non sono armati; ma il questore Petronzi preferisce pensare alla sicurezza come a una disciplina olistica, fatta di tante componenti e in cui controllo il territorio ma non basta. In questura spiegano: “Una città con un milioni di poliziotti per un milione di cittadini non ha senso, sarebbe uno stato di polizia”, e sottolineano che è l’effetto social a ingigantire. 

 

(Inciso: il problema diventa politico, con la complicazione che, nonostante l’arrivo di Gabrielli, Milano è una città politicamente isolata e a Roma ha solo avversari. Dopo 15 anni di dominio il centrosinistra rischia di perdere proprio sul dossier su cui si è sempre spesa meno volentieri).


Non sono solo i maranza, hanno ragione prefetto e questore quando parlano di reati di grosso calibro in calo – anche se c’è il ritorno dello spaccio, il Bosco Rogoredo, Porta Venezia, via Padova. Ma nella fascia di mezzo c’è un altro aspetto sociale che, per quanto oggettivamente diverso, si riflette nel sentiment di insicurezza, e da lì precipita in politica. Si tratta della presenza in aumento di migranti irregolari – molti i “transitanti”, che però non riescono a transitare e si assiepano in Stazione Centrale (magrebini innanzitutto) o nella zona di Porta Venezia (eritrei) e attorno ai luoghi dove si può trovare rifugio o almeno un pasto caldo.

Un’emergenza  grave, ci racconta Fausta Omodeo, responsabile di Rete Milano, una Organizzazione di Volontariato (Odv) che si occupa del primo aiuto emergenziale  ai profughi in transito da Milano. “La percezione di insicurezza viene dalle tante persone in strada, spesso minori non accompagnati (Msna la sigla burocratica, ndr), moltissimi egiziani, qui intorno alla stazione”. Rete Milano non si occupa di sicurezza, ma di persone. Ma ovviamente le cose si intrecciano, anche se il punto di vista di chi le affronta quotidianamente è differente: “Ad esempio a San Vittore ci sono tantissimi minori, e non ci dovrebbero stare, andrebbero inseriti in altri contesti”. Perché sono lì? “Per piccoli reati, qualcuno per spaccio. Ma il Beccaria è saturo. E dovrebbero avere un posto dove stare per evitare il ricorso ai reati”. Ci sono anche molti adulti per la strada. I Cas sono pieni, “ci sono persone che aspettano mesi anche solo per poter presentare domanda di asilo: e allora sono fantasmi, presenze illegali. Noi ci occupiamo di posti per i transitati, una notte o due notti, basterebbe a volte un tendone della Protezione civile e cambierebbe molto”. Ma il centro del comune per i minori di via Zendrini è saturo, sono piene anche altre strutture”. Cosa significa questo, in termini di sicurezza, è evidente. “La notte anche per noi operatori la Stazione Centrale è a rischio, figuriamoci per le persone di passaggio”, dice Omodeo. Ma soprattutto significa che l’alternativa è arrangiarsi o essere arruolati dalla malavita. I numeri sono pesanti. Secondo l’ultimo rapporto Ismu sulle migrazioni  pubblicato a marzo gli immigrati irregolari in Italia sono l’8,4 per cento della popolazione residente. Nel 2022 su 22 mila stranieri arrivati a Milano 1.300 erano minori. Un anno fa il Foglio era stato tra i primi a lanciare l’allarme: “Al momento sono 1.200 i minori stranieri non accompagnati in carico al Comune – quasi il 10 per cento del totale dei minori stranieri  in Italia”. L’assessore al Welfare Lamberto Bertolè ci diceva: “Il sistema milanese è saturo”. Proseguiva l’assessore al Welfare: “Recentemente siamo stati costretti ad alloggiare i ragazzi in comunità addirittura fuori dalla regione e questo incide negativamente sulla qualità dei percorsi  che vengono offerti e che non possono limitarsi a mettere a disposizione un alloggio”. Ora non ci sono più neanche gli alloggi. “Ma capisce che non sono numeri in assoluto non gestibili? Mille in una regione o città metropolitana?”, dice con veemenza Omodeo: “Non è una questione in primis di criminalità e sicurezza: avrebbero diritto di essere accolti. Ma molto spesso sono loro stessi vittime di una criminalità diffusa, incontrollata, qui attorno. Noi stessi abbiamo paura a girare da soli”. Livello di impatto sull’opinione pubblica? Sconsolata la responsabile di Rete Milano: “Molto alto, e questa zona, più di altre, non è sicura”. Ma spiega anche che il compito non è direttamente del Comune, “ma se il governo non stanzia fondi, se mette restrizioni sulle richieste di permessi di soggiorno, facendo diventare calvari di mesi cose che in Germania si sbrigano in un giorno, questo è evidentemente una scelta politica, è fatta per alzare la tensione”. Ora addirittura verranno aboliti i corsi di lingua italiana nei centri di prima accoglienza, lasciando i migranti in balia di una lingua che non sanno. Che tipo di logica è?


(Divagazione: a Londra o Parigi la pressione della microcriminalità si sente meno: però lì se esci nelle banlieue e nei ghetti etnici, rischi la pelle. A Milano non ti accoltellano a piazza Selinunte e nemmeno in Centrale, ma in cambio i maranza vogliono il pass per andare a Corso Como)



Chiediamo a Fausta Omodeo se i cittadini capiscono che maranza e minori non accompagnati sono problemi diversi. Nella propaganda di media e politica vale tutto, “ma i ragazzi della seconda generazione, o spesso italiani, che escono dai disagi delle periferie sono un’altra cosa”. Già, e di chi è la responsabilità, chi dovrebbe prendersi cura? Non siamo andati a disturbare don Burgio, ha già il suo gran daffare, ma intervistato da Repubblica la scorsa settimana era stato chiaro: “E’ un problema che cresce, questi ragazzi sono molto soli, hanno adulti di riferimento irrilevanti, non sono abituati a confrontarsi con i valori del mondo reale e, nel loro sfrenato individualismo, si concepiscono come una società tra pari, dove le regole se le fanno tra loro, perché lo stato non esiste”. “Agiscono impulsivamente anche per l’uso di droghe, le nuove sostanze che dilagano”. Vivono ancora in famiglia, “ma spesso è come se non ci fossero genitori. C’è un fenomeno che riguarda i ragazzi di seconda generazione, ma c’è un disagio trasversale che non riguarda più solo alcune categorie sociali”. Il Comune ha difficoltà oggettive a intervenire in questa terra di nessuno, il volontariato ha forze esigue e personalità come don Claudio Burgio, con la sua base tra i capannoni e gli ultimi campi di Vimodrone dove campeggia la scritta “non esistono ragazzi cattivi” sono davvero rare.

E’ qui che la partita ridiventa politica. Marco Granelli, assessore alla Sicurezza, non se lo nasconde anche se preferisce parlare di “percezioni”, al plurale. “La sicurezza è un problema esistenziale, riguarda la vita. C’è stato un cambiamento. Esiste la criminalità dei grandi reati: traffico di droga, appalti, crimine organizzato, ma quello la persona non lo nota. Contano i reati aggressivi che impattano sul cittadino”. Disamina chiara, ma il Comune cosa fa? “Il primo cittadino deve rappresentare per primo il disagio dei cittadini – commenta – perciò Sala fa bene a non minimizzare”. E le soluzioni? “Il punto è rimodellare il controllo del territorio, lo stiamo facendo con le nuove immissioni di agenti locali, 500 sono già concretizzate. Soprattutto stiamo ripensando le regole di ingaggio: siamo ancora fermi al fatto che i vigili, in base ad accordi sindacali ancora dell’epoca di Albertini, escono al massimo 19 notti all’anno in pattuglia. Non è possibile, soprattutto se il limite di età per non fare più pattuglia notturna è a 45 anni”. In effetti, i cittadini hanno ragione di sentirsi poco sicuri. “Oggi abbiamo cinque pattuglie in servizio notturno su un milione di abitanti…”. E bisogna “fare sinergia con la questura, coi comitati civici, abbiamo tavoli di lavoro utili”. Di recente l’ex sindaca Letizia Moratti ha ricordato, frecciatina, che ai suoi tempi aveva una riunione alla settimana con prefettura, questura e polizia locale. Come dire: serve più attenzione. “Ma il comitato per la sicurezza funziona regolarmente”, replica Granelli, “il punto oggi è come controllare in modo più efficace il territorio. Inoltre è vero, dobbiamo investire di più sull’educazione. La maggior parte dei reati è compiuta da giovani tra i 16 e i 25 anni”. Poi, ovviamente, c’è la questione dei migranti e della loro possibile redistribuzione. Ma quella, anche se il cittadino tende a puntare il dito sul Comune, è competenza del governo attraverso la prefettura. Il Cpr di via Corelli, gestito da un’associazione privata su affidamento della prefettura, la scorsa settimana  è stato chiuso dalla magistratura per un’inchiesta di malagestione. La politica del governo, si sa, punta più a respingere che a integrare. E la tensione sociale che se ne genera è sempre una buona carta elettorale.

Così Milano è in mezzo a fuochi concentrici che ne minano l’immagine, e la tenuta sociale anche oltre le responsabilità oggettive. Qualche settimana fa Sala aveva detto: “Stiamo chiedendo – l’ho fatto personalmente al ministro Piantedosi – l’accesso per la Polizia locale al database delle forze di Polizia, in ottica collaborativa. Perché nel momento in cui un nostro agente ferma una persona possa avere un immediato riscontro anche degli eventuali precedenti”. L’assessore Granelli ricorda i progressi in tema di videosorveglianza (stranamente, le reti non sono ancora coordinate). E il punto torna alla scarsa efficienza dei vigili. Parlando a una loro cerimonia, Sala due mesi fa è andato all’attacco: “I vigili di quartiere rappresentano non solo uno dei servizi della Polizia locale ma l’idea stessa che abbiamo del ruolo dei nostri ‘ghisa’ a Milano”. E poi, con un tono ultimativo che ha provocato diversi mugugni: “Sto chiedendo di verificare, senza nessuna caccia alle streghe, se tutti i permessi che ci sono” per gli agenti che hanno chiesto di lavorare in ufficio ed essere esonerati dal servizio in strada “sono giustificati”.

L’impressione è che lo sforzo non basti. Marco Bestetti, consigliere comunale e anche regionale di Fratelli d’Italia, a lungo presidente del Municipio 7, il quartiere per nulla facile di San Siro e delle case popolari (spesso fuori controllo: l’abusivismo e l’illegalità di questi complessi sono un’altra delle piaghe che a Milano sembrano irrisolvibili) oppone una visione diversa. Certo non è tenero con le Giunte di sinistra, ormai tre sindacature, che “troppo a lungo hanno minimizzato”. E sottolinea che il primo cambio di passo, invece di annunci vari, sarebbe vedere più divise per le strade. Perché deterrenza e senso di sicurezza vanno assieme. Ricorda che ai tempi di Strade sicure Berlusconi chiese alle pattuglie di tenere sempre accese le luci sul tetto dell’auto: un piccolo segnale, ma conta farsi vedere, esserci. Peccato, ricorda Bestetti, che nel 2011 una delle prime scelte sciagurate di Giuliano Pisapia “fu di rinunciare all’operazione Strade sicure perché i militari per le strade spaventavano la gente”. Due anni dopo  Adam Kabobo nelle strade di Niguarda ammazzò tre persone con un piccone, ma l’allora sindaco riuscì a dire: “Milano resta una città sicura come tutte le grandi città metropolitane, nel senso che ci possono essere dei momenti in cui la follia prevale sul buonsenso”. Qualche problemino di buonsenso con la sicurezza, la sinistra ce l’ha nel Dna. E se adesso inizia ad accorgersene è perché l’allarme è arrivato, come un’onda lunga, fin nei quartieri del centro dove la sinistra raccoglie il 70 per cento dei suoi consensi. Bestetti conosce anche l’altra realtà, spiega che avere una stazione di Polizia locale di fianco al Municipio 7 serve a poco, se poi non hanno l’autorizzazione a sgomberare un campetto rom abusivo. O se gli agenti nei vari quartieri hanno ordini di servizio che nulla hanno a che fare con il luogo loro. “Se stanno prendendo coscienza che la sicurezza non è una ‘sensazione’, ma è nei numeri dei reati di prossimità, bene. Ma francamente non è che si veda la reazione – dice – Aspettiamo da oltre un mese che il super consulente Gabrielli spieghi le sue idee”. Bestetti non è un agitatore e arriva a un punto, paradossalmente non lontano dalle riflessioni di Granelli: “Non basta assumere più vigili, quello che serve è la riorganizzazione completa della polizia locale, cambiare le regole di ingaggio. Ci vuole un intervento energico. Chiamare ora i vigili ‘agenti di prossimità’ non significa nulla, se poi non sono nelle strade”. Quanto ai migranti irregolari, l’alto demone che si agita nelle notti dei milanesi e di ogni piazza poco illuminata, ovviamente la pensa all’opposto di volontari e Giunta: la verità è che ne arrivano troppi, e il governo fa bene a stringere le maglie. Quanto al fatto che tutto però ricada sulla città, spiega che sì, la gestione territoriale spetta al prefetto, dunque lo stato, che però fatica sul concetto di ridistribuzione. E la Regione, dal canto suo, non ha specifici poteri sulla sicurezza, se non il sostegno sussidiario economico ai comuni e alle polizie locali. Forse è il caso di riordinare acque questo? “Sì”, ammette il consigliere Bestetti.

Nell’attesa, meglio provare a cambiare punto di vista. E mettersi dietro agli occhiali di un detective. Luciano Ponzi, titolare della omonima agenzia investigativa ed erede di una famiglia di precursori in questa attività, oggi guida un’azienda che si occupa di sicurezza in molteplici aspetti, non più solo le investigazioni private o le infedeltà coniugali: c’è l’anti stalking, perché la tutela delle donne soprattutto da parte dello stato non è sempre efficace; ci sono il controllo dei minorenni, i servizi di antitaccheggio, di portierato (controllo di stabili e complessi privati), di “guardiania non armata” e la sempre più richiesta security a eventi e manifestazioni. Gli chiediamo se, dal punto di vista di chi riceve richieste di intervento, ci sia conferma che il senso di insicurezza in una metropoli come Milano è in crescita. “In modo esponenziale”, è la risposta diretta di Ponzi. “Sia per quanto riguarda noi, che siamo un’agenzia investigativa, sia per le agenzie di vigilanza, che sono un altro settore con normative specifiche diverse, le richieste sono in continuo aumento. Da parte di privati, di commercianti, di locali o piccole imprese che non dispongono di una security interna”. Si riferisce specificamente a Milano? “Io vivo a Brescia, abbiamo sedi in altre città, ma Milano è senz’altro al centro di questo fenomeno. Cerchiamo continuamente personale”. Spiega Ponzi: il settore della investigazione e della vigilanza privata, sotto il controllo del Viminale, è stato riorganizzato nel 2010 (Dm 269) e ancora nel 2015. Ci sono ad esempio norme molto precise che regolano gli “addetti ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento e di spettacolo in luoghi aperti al pubblico o in pubblici esercizi”, gli steward, che devono essere iscritti in speciali elenchi della prefettura. “Il nostro personale, con caratteristiche e preparazione diverse da quelle degli agenti vigilanti, è molto controllato, ad esempio a livello psico e sanitario, poi la grande differenza è tra le guardie armate e un’attività come la nostra”. Ma le richieste sono moltissime, “si va dai controlli nei negozi”,  anche se esistono dei bugs legislativi che andrebbero sanati: ad esempio l’arresto in flagrante in flagrante è consentito solo a chi fa vigilanza. Sempre più richiesto il servizio antitaccheggio, anche perché sono reati diffusi di cui le vittime non fanno più nemmeno denuncia. “Cresce la richiesta per la protezione minori, anche per i rischi legati alla frequentazione di locali o possibile uso di sostanze”, e poi “servizi come quello che una volta era il portierato, cioè il monitoraggio degli stabili, che non è da parte nostra vigilanza armata, ma offre una maggiore sicurezza”. Questa sensazione della necessità di controllo non genera ulteriori paure? “Ma no, assolutamente,  porta sicurezza. Ad esempio nelle zone della movida, di grandi assembramenti come i concerti o intorno alle scuole è in crescita la consapevolezza che non tutto può essere fatto dalle forze dell’ordine: e in ogni caso la polizia avviene a reato compiuto”. L’agenzia di Ponzi, ci spiega, ha recentemente varato un protocollo con il Comune, l’Ats e i commercianti per svolgere prevenzione in certe zone. “E questo protocollo di Milano ora è stato preso a modello da altre città”. La cooperazione tra istituzioni, forze dell’ordine e agenzie private è un futuro necessario, spiega. Del resto, come ricorda Granelli, un’università privata come Bocconi, che si era trovata alle prese con problemi di sicurezza nel quartiere, li ha risolti istituendo una  “security room” in cui collaborano i propri sistemi di sorveglianza e quelli delle forze dell’ordine. Ma non è tutto. L’Agenzia Luciano Ponzi Investigazioni ha firmato un protocollo con la Fondazione Doppia Difesa, che si occupa delle donne vittime di violenza. Si attiva in fase di indagine e dopo la denuncia, senza sovrapporsi al ruolo di polizia e magistratura. E richieste per attività di bodyguard? “Tutti i vip che vede accompagnati da bodyguard lo fanno al di fuori della legge, spesso con personale non qualificato”, dice Ponzi, perché al momento in Italia non c'è una normativa specifica né un riconoscimento ufficiale di tale professione. Un altro bug della legge, che permette ad esempio a una guardia giurata armata di proteggere i soldi della banca,  ma non il personale che ci lavora. “Però sono i temi di un mondo della sicurezza che si sta trasformando, non solo a livello di percezione ma anche come modello di gestione. E’ importante che istituzioni e aziende che fanno questo lavoro si parlino”. E si parlano? “Devo dire di sì”. C’è “il suono che viene da là sotto…”, e una città che non si vuole rassegnare al marchio di Gotham City ha cominciato ad ascoltarlo

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"