(foto EPA)

Il terrore delle ragazze. Le voci degli studenti afghani in Italia

Fabiana Giacomotti

Il dramma che stanno vivendo a Kabul raccontato da chi studia nelle università italiane. Il lavoro della Conferenza dei rettori per garantire il diritto allo studio

Morteza Khaledi è uno studente del corso di Global Humanities della Sapienza, ha venticinque anni, da otto vive nel nostro paese e collabora con il Cisda – Coordinamento italiano sostegno donne afghane. Artista di etnia hazara, una delle più perseguitate, profugo per anni, è lui a raccontarci del dramma che stanno vivendo in queste ore le studentesse afghane: “Dopo aver promesso che avrebbero rispettato i diritti delle donne, i talebani hanno impedito loro l’accesso alle università. Ieri, a Herat, hanno buttato fuori dai dormitori tutte le ragazze, intimando loro di tornare a casa”. Molte di queste, impossibilitate a raggiungere i villaggi di origine, vagano per le strade, senza nessuno che le accolga per timore di ritorsioni. E dunque eccolo, il dichiarato “bottino di guerra”, pronto per finire nel carniere di uno di quei guerriglieri strafatti di eroina davanti ai quali la comunità internazionale sembra non aver ancora trovato un’unica voce, una delle ragazze nubili dai 12 ai 45 anni pronte a essere date in sposa e, ovviamente, rieducate a suon di violenze. Il diritto all’istruzione compare fra tutte le risoluzioni e le carte internazionali dal 1948, eppure la dichiarazione di ieri del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ci è parsa troppo vaga sul punto: “Siamo particolarmente preoccupati per il futuro delle donne e delle ragazze, i cui diritti conquistati a fatica devono essere tutelati”. Quali diritti? “I talebani non possono garantire o tutelare niente” dice ancora Khaledi, “sono a loro volta un gruppo molto frammentato: alcuni, che hanno ricevuto un’educazione occidentale, la pensano molto diversamente rispetto a chi è cresciuto in un contesto rurale”.

Lo snodo è sempre lo stesso, lo studio negato o garantito: ed è per questo che il Crui, la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, di concerto con altre realtà accademiche internazionali fra cui Princeton, si starebbe attivando per favorire l’accoglienza di studenti, operazione già non facile per via della chiusura di ormai quasi tutte le ambasciate. In Sapienza, dice Mara Matta, docente di Critical theories e Transcultural studies che con altri svolge il ruolo di selezionatrice e coordinatrice dei corsi di laurea internazionali, per il prossimo anno accademico erano già stati pre-accettati quindici studenti, fra cui alcune ragazze: avevano scelto in prevalenza corsi di Artificial intelligence e Sustainable engeneering. Ora, dice, “resta da capire se il nostro ateneo, il più grande d’Europa, riuscirà a coordinare un pool che aiuti il trasferimento di questi studenti. Sarebbe importante”, aggiunge, “poter coinvolgere anche i Collegi universitari di Merito”. Ali Ehsani, trentadue anni, alle spalle una storia di fuga e di violenza stemperata da due libri di successo pubblicati con Feltrinelli e dai risultati accademici (“a ottobre affronterò la selezione per il dottorato di ricerca: voglio occuparmi di relazioni internazionali”), ha trasmesso a Papa Francesco l’appello di una famiglia cristiana e della comunità di cui lui stesso fa parte: “Vedere quello che sta accadendo in Afghanisthan significa tornare a fare i conti con le ferite della mia vita”. Ali arrivò in Italia anni fa attaccato al ventre di un camion dopo un viaggio durato cinque anni attraverso l’Iran e i Balcani in cui perse il fratello. 

Una delle nostre laureate della brillantissima comunità di ragazze pakistane, Mehak Afroz, su nostra richiesta ci ha fatto pervenire il testo anonimo di uno studente afghano di Tor Vergata, al momento bloccato a Kabul: “La notte scorsa i talebani hanno iniziato a cercare (dissidenti) casa per casa; temo per la mia famiglia e per me. Ho nascosto il passaporto, il mio permesso di soggiorno in Italia, il codice fiscale, la mia carta di credito. Ho disattivato tutti i miei account social. I talebani pattugliano la nostra via a ogni ora, sono pericolosi. Spero che non mi arrestino come spia dell’occidente”.

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