(foto Ap)

Afghanistan, l'ora della vergogna

Adriano Sofri

La disfatta afghana è il colpo più grave al prestigio e all'immagine della democrazia nel mondo

All’inizio ci sono gli aerei che penetrano e infrangono le Torri gemelle, e le persone che precipitano o si gettano giù, schiantandosi. Alla fine c’è l’aereo militare che decolla da Kabul con le persone che si aggrappano al carrello, e poi precipitano schiantandosi. This is the end.

La rotta afghana non riguarda l’esercito e le altre forze armate che si sono arrese senza resistere, e solo in parte i loro capi, un regime spaventosamente unito dalla corruzione e diviso da odii e ambizioni spudorate. La disfatta afghana è il colpo più grave e forse irreparabile al credito, al prestigio e all’immagine della democrazia nel mondo. Si può perdere e fallire dignitosamente: questa è una bancarotta fraudolenta. Un ritiro annunciato da anni si compie nel caos e nella viltà. Le promesse solenni alle persone afghane che hanno operato per gli eserciti e le diplomazie occidentali sono ridicolmente travolte.

Venti anni e miliardi innumerevoli di dollari ed euro tirano le somme nella calca dei fuggiaschi e nell’ingorgo degli elicotteri e degli aerei. I talebani sostituiscono le motorette coi veicoli militari più sofisticati dell’alleanza occidentale, come era successo agli armamenti americani appena forniti all’Iraq, e sequestrati senza colpo ferire dallo Stato islamico a Mosul nel 2014. La shariah torna, e con lei il cuore della vera fede: cancellare dalla terra le due cose più preziose, la musica e la faccia delle donne. 

La democrazia, agli occhi del mondo intero, è ora un modo di essere di soverchiante potenza materiale, tecnica e militare, condannato a risultare ridicolmente imbelle. Di fronte a minacce globali ed epocali, il clima, la pandemia, il mondo si chiede da tempo se la democrazia sappia essere migliore, più degna e più efficace, delle autocrazie, dei dispotismi, delle dittature. Oggi, in Afghanistan, la risposta traballa mortalmente. È l’ora della vergogna per noi, della esaltata derisione da parte dei nemici della democrazia.

Per un’epoca intera, le democrazie che abbiamo chiamato occidente hanno vissuto, spesso vivacchiato, sulla rendita della Seconda guerra mondiale. Quell’epoca è finita, di quel patrimonio sono stati dilapidati anche gli spiccioli. Io non credo di indulgere all’antiamericanismo di maniera, ma ieri mi sono ricordato di una gran manifestazione romana per il Vietnam, durante una visita del presidente Johnson. Vidi lì un manifestante avvolto in una grande bandiera americana, che inalberava un cartello scritto a mano, che diceva: “Mi faccio schifo”. Ieri me ne sono ricordato.

Quanto alla parte dell’Europa, dell’Italia, basta accendere la televisione, guardare facce e bocche dei loro notabili togliendo l’audio: è tutto. 

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