"un'alleanza riluttante"

Quanto conta davvero la Cina in Afghanistan

Giulia Pompili

Pechino sfrutta la propaganda anti-americana e si vanta di intrattenere buoni rapporti con i talebani, ma questo non vuol dire che sia in grado di sostituirsi agli Stati Uniti. I rischi di un pantano che non è soltanto politico

Da tempo sui media asiatici si parla degli interessi della Cina in Afghanistan. Da quando l'America ha annunciato il ritiro, la Cina ha capito di poter avere molto più potere negoziale nella regione. 

Pechino lavora diplomaticamente incassando parecchi consensi: il presidente afghano Ashraf Ghani aveva un buon rapporto con Xi Jinping, ma già da tempo la Cina stava lavorando per aprire canali di comunicazione con i talebani. A metà luglio il portavoce dei talebani Suhail Shaheen aveva detto di apprezzare gli investimenti "amichevoli" della Cina. Il rapporto è stato reso noto da una visita ufficiale fatta da una delegazione di talebani a Tianjin, in Cina, il 28 luglio scorso, cioè pochi giorni prima dell’offensiva finale, dove ad accoglierli c’era il ministro degli Esteri cinese Wang Yi. 

Dopo la conquista di Kabul da parte dei talebani, la portavoce del ministero degli Esteri di Pechino Hua Chunying ha detto che la Cina “rispetta la sovranità nazionale” e che mantiene “contatti e comunicazioni” con i talebani. 

Nonostante la situazione sia sfruttata dalla Cina per fare propaganda anti-americana, tutta la faccenda per Pechino resta particolarmente complicata. Perché da un lato il paese conduce da tempo una battaglia ideologica contro l'islam – che chiama indiscriminatamente "estremismo islamico" – nella provincia dello Xinjiang. D'altra parte, Afghanistan e Cina condividono 47 chilometri di confine, che si poggia proprio sull'area dello Xinjiang. Prima o poi quelle zone potrebbero essere molto calde, potrebbero servire ai ribelli per passare in Afghanistan, addestrarsi, rientrare. Il corridoio del Wakhan, dove l’Afghanistan tocca la Cina, è sempre più una zona militarizzata. Il rischio è che Pechino si ritrovi in un pantano non solo politico, di cui non conosce bene le finalità, per questo quella tra la Cina e i talebani è stata definita un’alleanza “riluttante”.

La Cina, nel suo rapporto con i talebani, può contare sul sostengo del Pakistan, con cui ha rapporti molto stretti. Sui media indiani si parla del “CP2T” (Cina, Pakistan, Turchia e talebani) come della nuova alleanza che potrebbe avere un’influenza determinante nell’area afghana - e non solo.  

C’è poi un altro problema. Per sostituirsi agli Stati Uniti, con investimenti e appoggio politico, la Cina dovrà abbandonare la sua tradizionale politica di non interferenza, che finora era stata la foglia di fico con cui giustificava la sua politica internazionale fatta di soldi e molto poco di sviluppo sociale.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.