Adam Schiff (foto LaPresse)

Al fronte dell'impeachment c'è Adam Schiff

Paola Peduzzi

Il presidente della commissione Intelligence della Camera dei rappresentanti americana, sceneggiatore mancato con una storia tutta tonda

Adam Schiff è il presidente della commissione Intelligence della Camera dei rappresentanti americana: chiama i testimoni, li ascolta (e li interroga), raccoglie le deposizioni, richiede i documenti. E’ il leader dell’inchiesta sull’impeachment contro il presidente Donald Trump, l’uomo che, come dice il titolo del ritratto che il New York Times gli ha appena dedicato, può salvare la democrazia americana, “o distruggerla”.

 

Che Schiff sia importante lo si capisce da una cosa: è al centro degli attacchi di Trump, che lo chiama “pencil neck” (mai visto un collo più stretto del suo, ha detto il presidente) e dice che dovrebbe essere lui al centro dell’impeachment, “e pure peggio”, perché si inventa le cose e guida la caccia alle streghe (o ai topi, dipende) contro la Casa Bianca. Sceneggiatore mancato, ex procuratore, calmo, riservato, Schiff ha già commesso due errori, che hanno fatto preoccupare persino i suoi colleghi democratici: ha dato una sua versione (drammatizzata) della famosa telefonata tra Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, quella del “do me a favor”; ha detto di non aver avuto contatti preliminari con l’informatore che ha svelato per primo la telefonata, ma il Washington Post ha scoperto che non era vero: l’informatore ha chiesto consiglio alla commissione Intelligence prima di depositare la propria testimonianza. Due errori procedurali che hanno scatenato la furia di Trump e quella di molti repubblicani che si sono presentati fuori dall’ufficio dove Schiff ascolta i testimoni gridando: “Facci entrare”.

 

Per i trumpiani, il deputato californiano sta “nascondendo” delle prove e “mentendo”; per i democratici, Schiff sta facendo tutto bene, ma molti non si aspettavano che uno come lui tanto abile con le parole – voleva fare lo sceneggiatore, ha almeno due sceneggiature nel cassetto, una si intitola “Minotaur” e ha come eroe un procuratore – potesse cadere in due errori banali come la drammatizzazione di una telefonata già di suo drammatica e come una bugia facilmente individuabile. Tutti gli esperti continuano a ripeterlo: attenzione, democratici, a gestire bene il processo, senza sbavature, senza confondere la volontà politica con la realtà, stando appiccicati ai fatti, perché l’unica chance di successo di un impeachment che sulla carta è già perso (al Senato ci vogliono i due terzi dei voti, quindi una ventina di repubblicani dovrebbe cambiare idea su Trump e votargli contro) è proprio quella di contrappore alla retorica del presidente e ai suoi tweet furiosi fatti inattaccabili e ricostruzioni precisissime.

 

Adam Schiff può essere il custode di questo rigore? Se lo chiedono tutti, a Washington, il deputato è richiestissimo e intervistatissimo, e i giornalisti non riescono a non indugiare sul fatto che la storia di Schiff è tonda in modo quasi perfetto. Sua moglie si chiama Eva (sì, Adamo ed Eva); il suo primo caso famoso da procuratore federale a Los Angeles riguardava un agente dell’Fbi accusato di spionaggio perché aveva rivelato segreti in cambio di oro, soldi e sesso a una spia russa; quando è stato eletto al Congresso, nel 2001, ha battuto il repubblicano James Rogan, che era tra i 13 deputati che avevano gestito l’impeachment contro Bill Clinton; nel 2010 ha condotto l’inchiesta di impeachment contro un giudice distrettuale della Louisiana, arrivando poi all’espulsione del giudice, la prima da parte del Senato negli ultimi vent’anni. In più Schiff scrive, scrive tanto, del minotauro, ma anche una sceneggiatura sull’Olocausto e una spionistica, e in questa stagione di narrazioni che si contrappongono e la cui forza è determinante (pensate al Russiagate e al rapporto Mueller), chi meglio di uno scrittore può definire il perimetro della storia più importante, quella dell’impeachment? Per di più Schiff è un collaboratore stretto di Nancy Pelosi, speaker della Camera, e come lei è uno di quelli che soltanto da ultimo ha deciso che l’impeachment fosse necessario. Eppure lui è sul fronte di questa battaglia: per strada lo fermano, lo riconoscono (sarà per il collo piccolo, gli ha detto sua figlia), e c’è chi vuole stringergli la mano, sei il nostro eroe, e chi gli dice: perché vuoi distruggere la nostra democrazia? Non possono avere tutti ragione, dice lui, o salvo o distruggo, dipende da come va a finire la storia.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi