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contro mastro ciliegia

Il realismo non necessario di Cacciari

Maurizio Crippa

Il filosofo spiega la linea di realismo politico (accordi e patti) necessaria all'occidente per non soccombere nelle tre guerre all'orizzonte. Ma si sbaglia, le guerre sono già riunite in una sola minacca, l'unico vero realismo è sapere da che parte combattere

Necessario come l’angelo, Massimo Cacciari ha scritto ieri un corposo commento sulla Stampa a proposito della situazione mondiale e del rischio, per Europa e occidente, che tre guerre già di fatto in corso possano trasformarsi in un unico fronte impossibile da reggere. Un dubbio legittimo e non solo suo: “Contro il caos l’occidente riscopra il compromesso”. E’ filosofo e argomentare è il suo pane. Punto di partenza “un’amara necessità: più la tragedia assume caratteri mostruosi, più cresce l’esigenza di affrontarla con realismo”. Il realismo secondo Cacciari prevede questo: “La Politica con la maiuscola” (concediamogli) è quella che sa affrontare il momento “in base alla recta intentio di raggiungere accordi o patti (stessa radice di pace) ragionevoli o durevoli”. Oppure si precipiterà verso “conflitti sempre più globali”. In guerra è poi fondamentale saper valutare le forze in campo, questo lo dice persino il Vangelo, e stabilire quali “costituiscano il nemico, ovvero l’avversario potenzialmente più pericoloso”. E fin qui, bene. Poi il ragionamento inclina verso vie più sottili, ed è proprio il realismo di Cacciari a non convincere più.

 

Si domanda Cacciari: l’occidente “è forte abbastanza da sostenere e superare l’esplodere simultaneo di tre grandi faglie, di tre colossali terremoti in uno?”. Insomma tre guerre che da “mondiali a pezzi”, direbbe Francesco, potrebbero diventare una mondiale intera. “Nemica la Russia, nemica la Cina e nemico il mondo islamico nella sua totalità, a prescindere dalla posizione di questo o quel governo?”. E si chiede: sono sostenibili i tre fronti o è “irresponsabile il ritenerlo?”. Forse non sono sostenibili, ma essendo le tre guerre state dichiarate da altri, l’alternativa qual è? Cacciari fa sua la strada del buon caro vecchio realismo – radice del pensiero politico europeo, non si può negare. Ma ne fa discendere  che considerare la Russia “il Nemico” (maiuscolo)” è una “affermazione ridicola”: è un nemico “sostanzialmente già vinto”. Altrettanto insano ritiene continuare un allargamento “sine die” del conflitto mediorientale. Il senso della realtà imporrebbe di sapere che sono gli avversari a non volere patti né tregue, ma per Cacciari l’unica prospettiva realista è cercare, da parte occidentale, un accordo: cioè un compromesso, sminuzzando i fronti.

 

Ed è qui che si può dissentire. Sull’idea di realismo, che Cacciari declina in una dimensione (geo) politica tradizionale. E che lo scrivente ha ritenuto sempre valida – ai tempi della guerra idealistica al terrore e dell’esportazione della democrazia fantomatica: quel presunto realismo interventista era, come poi è stato tragicamente evidente e come ha ammesso un portentoso realista come Petraeus, totalmente irrealistico. Ma se ieri c’era un’opzione, oggi l’opzione non c’è. La grande, decisiva diversità oggi è che a essere non realista è proprio la visione tradizionale esposta da Cacciari. Primo, perché quel triplo terremoto è già in atto – il vertice di Pechino con l’ospite d’onore Putin e i più illustri nemici dell’occidente a far corona. Secondo: il nemico, maiuscolo o minuscolo, è unito e ha lo stesso obiettivo. Si può cercare la strategia per vincere o non perdere, non per arrocchi sulla scacchiera. A Stalingrado combatterono due totalitarismi. Dunque? Pur avendo sempre apprezzato la complessità policentrica, oggi preferisco, senza complessi, essere da questa parte del mondo, imperfetto finché si vuole. Vivere in un caos anarchico governato da Antonio Ricci, sognare di potermi trasferire nel Wyoming, leggere libri nichilisti presi su Amazon, vedere brutti film, mangiare carni azotate: il meglio o peggio dell’occidente. E se c’è da fare guerra per poterlo fare, per non farcelo vietare, per difendere libere elezioni in cui liberamente astenersi, questo è l’unico realismo consentito. Irrealistico è pensare ci si debba accordare con chi preferisce la tua morte o l’affondamento del tuo sistema di welfare. Cacciari non usa mai, va riconosciuto, l’ambigua parola “compromesso” che gli viene malamente attribuita nel titolo. Sa che compromesso e resa non stanno insieme, nella buona filosofia. L’opposto di resa è resistenza. Di qua o di là, in mezzo non un confine teoretico, ma un abisso.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"