(foto Ansa)

Contro mastro ciliegia

E le scuse a Contrada? Tutti muti sul risarcimento a un servitore dello stato

Maurizio Crippa

La Cassazione ha confermato per l’ex capo della Mobile di Palermo il diritto a una “riparazione per ingiusta detenzione”. Dopo trent’anni di accanimento, una definitiva seppur tardiva giustizia: “Non c’è somma che possa rimediare”

Siamo poco meno che intossicati dalla quantità di casi e di gente che chiede scusa o che scuse pretende, spesso con un velo opaco di ipocrisia: scusatevi per Bibbiano, ancora non vi siete scusati per Cutro, chiedete scusa per (o del) Pride. Si è scusata pure Mara Venier. Ma nessuno che oggi abbia avuto la decenza di scusarsi con Bruno Contrada, perseguitato per ingiustizia. Nel paese ipocrita di scusopoli, dell’inchino insincero alle verità degli altri cui nessuno importa, nessuno ha avuto quantomeno il buon gusto – decenza e onestà intellettuale sono merce troppo rara – di scusarsi davvero, con Bruno Contrada: un servitore dello stato che lo stato non ha saputo o voluto difendere quando era il momento, e per quasi trent’anni. Ma ora è venuto il momento in cui la Corte di cassazione, Sezione quarta penale, ha reso a Bruno Contrada una definitiva seppur tardiva giustizia: rigettando i ricorsi della procura generale di Palermo e del ministero dell’Economia, che avevano avuto persino la protervia di opporsi, ha confermato il diritto di Contrada a un risarcimento come “riparazione per ingiusta detenzione”. “Dopo otto lunghi anni sono state poste in esecuzione le due sentenze della Corte europea dei Diritti dell’uomo che hanno sancito che il procedimento a carico di Contrada è stato fin dall’inizio illegittimo e illegittima era la condanna”, ha commentato il suo avvocato. Bruno Contrada ha 91 anni, ha sofferto fisicamente e moralmente l’indicibile per le false accuse e per l’accanimento giudiziario di chi le ha portate avanti per decenni. Non ha perso un’udienza dei suoi processi perché voleva fosse ristabilito il suo onore.

 

Ora la Cassazione ha stabilito che la sua ingiusta detenzione vale 285.342,2 euro. Davvero poco, ma vale il simbolo. Lui aveva detto: “Non c’è somma che possa riparare e rimediare o risarcire il male che mi è stato fatto. Per i 30 anni di sofferenza che ho subìto”. Ci vorrebbe una Finanziaria, aveva provato a scherzare, ma era una battuta soffocata dall’amarezza. L’avvocato Stefano Giordano ha detto, con altrettanta amarezza: “Siamo giunti a tale risultato finale soltanto perché il dottore Contrada è rimasto vivo nonostante tutta la sofferenza inflittagli”. Rimasto vivo. Come Nicola Mancino, come altri che hanno dovuto resistere a una vita di soprusi e ingiurie prima che fosse loro resa giustizia, coi tempi disumani della giustizia italiana che qualche scellerato vorrebbe persino allungare (fine pena mai, prescrizione mai: aberrazioni figlie di una stessa mentalità illiberale). Condannato e detenuto per un reato inesistente, come ha stabilito la Cedu e riconosciuto la Consulta, l’ex capo della Mobile di Palermo è stato in quegli anni “il diversivo giusto” (dixit l’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino), il capro espiatorio utile. Una vicenda processuale iniziata con l’arresto alla vigilia di Natale del 1992 e, oltre ai processi, costruita come un “romanzo criminale” giornalistico che per anni e anni lo ha additato come una “mente raffinatissima” collusa con la mafia. Depistaggi della guerra di mafia di allora, come ha ricostruito alla fine la sentenza sul depistaggio di Via D’Amelio. Persino il conteggio dei reati inesistenti e delle sentenze nulle o prescritte è un rebus allucinatorio nella storia dolorosa di Bruno Contrada.

 

Ma qui ci vogliamo limitare a sottolineare un ultimo e differente scempio italiano: nessuno oggi ha chiesto scusa. Anzi i giornali che di più e per anni hanno insistito a dipingerlo come un’ombra malvagia sopra la Sicilia delle stragi, sostenendo con piaggeria soltanto le tesi della procura, nonostante le sentenze le smontassero mattone per mattone, oggi hanno taciuto. O peggio. Repubblica Palermo, che di quella pessima stagione dei processi teoretici dell’antimafia è stata una dei testimoni e aedi, ha sfoderato il titolo della vergogna: “Mafia, l’ex numero 3 del Sisde Contrada strappa anche il risarcimento”. “Anche”. Innocente, ingiustamente condannato e detenuto, calunniato da falsi pentiti e da media compiacenti con le procure lungo anni di indagini smentite dalla Corte dei diritti dell’uomo europea. E non hanno neanche la decenza di chiedere scusa. “Neanche”, altro che il loro vergognoso “anche”.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"